Dopo
la laurea filologica a Bonn, Pirandello visse a Roma fin dal 1892, e
qui, nel 1901, pubblicava, tra il giugno e l’agosto, il romanzo
L’esclusa sulle colonne de “La Tribuna” (il romanzo verrà poi edito in
volume nel 1908).
Attrici o semplici madri, mogli o amanti… le donne in Pirandello sono comunque portatrici per eccellenza del marchio della dissonanza fra quello che appare nella quotidianità sociale e quello che la persona vive interiormente. Costretta in ruoli sempre troppo restrittivi, combattuta fra diverse tensioni e desideri di segno opposto, umiliata dalle convenzioni sociali, sacrificata a portare senza fine una maschera che s’identifica con il suo stesso destino, la donna appare, nei testi dello scrittore siciliano, ostinatamente tesa a incontrare quell’altra, quella sconosciuta a sé e alla società, che in fondo è lei stessa.La menzogna, il sospetto, l’interiorità sono gli ingredienti che fanno vacillare un’esistenza.La realtà è uno specchio che si rompe in mille pezzi e smette di riflettere una sagoma unica; una situazione oggettiva e verosimile.
La vicenda della pirandelliana Marta Ajala sfiora un tema che nei primi anni del Novecento è al centro del dibattito critico: il valore dello studio per l’autodeterminazione di ogni persona, uomo o donna.Quando Marta decide di riscattarsi e di affermare la sua dignità, si chiude in una stanza a studiare, sfidando i malumori della made e della sorella, che in un primo momento interpretano il suo isolamento con sospetto.Marta pratica , con l’ostinazione della pioniera, quella prospettiva che negli stessi anni veniva proposta come ineludibile della vicenda di Lina, la protagonista del primo romanzo femminista italiano, Una vita di Sibilla Aleramo.
“(…) Era chiaro! Marta Ajala avrebbe occupato il posto di maestra supplente nelle prime classi preparatorie del Collegio, solo perché “protetta” del deputato Alvignani.
E vi fu, nei primi giorni, una processione di padri di famiglia al Collegio: volevano parlare col Direttore. Ah, era uno scandalo! Le loro ragazze si sarebbero rifiutate d’andare a scuola. E nessun padre, in coscienza, avrebbe saputo costringerle. Bisognava trovare, a ogni costo e subito, un rimedio. Il vecchio Direttore rimandava i padri di famiglia all’Ispettore scolastico, dopo aver difeso la futura supplente con la prova degli ottimi esami. Se qualche altra avesse fatto meglio, sarebbe stata presa a supplire in quella classe aggiunta. Nessuna ingiustizia, nessuna particolarità…
- Ma sì! -. Il cavalier Claudio Torchiara, ispettore scolastico, era del paese e amico intimo di Gregorio Alvignani. A lui i reclami si ritorcevano sotto altra forma e sotto altro aspetto. Voleva l’Alvignani rendersi impopolare con quella protezione scandalosa? E invano il Torchiara s’affannava a protestare che l’Alvignani non centrava né punto né poco, che quella della maestra Ajala non era nomina governativa. Eh via, adesso! Che sostenesse ciò il Direttore del Collegio, TRANSEAT!, ma lui, il Torchiara, ch’era del paese; eh via! Bisognava aver perduto la memoria degli scandali più recenti… Era venuta dunque così dall’aria quella nomina dellAjala? E in coscienza se il Torchiara avesse avuto una figliuola, sarebbe stato contento di mandarla a scuola da una donna che aveva fatto parlare così male di sé? Che fior di maestra per le ragazze!
(…) Ricominciò la guerra fin dal primo giorno di scuola.
Già le altre maestre del Collegio, oneste e brutte zitellone, se la recarono subito a dispetto. Gesù, Gesù! un breve saluto, la mattina, con le labbra strette, e via; un freddo, lieve cenno del capo, ed era anche troppo! Un’onta per la classe delle insegnanti! Un’onta per l’Istituto! Il mondo, sì, intrigo: per riuscire, mani e piedi! ma onestamente, oh! anzi, onoratamente. E, sotto sotto, commentavano con acre malignità il modo con cui il Direttore e gli altri professori del Collegio fin dal primo giorno si erano messi a trattare l’Ajala; e rimpiangevano quella cara maestra Flori che non avrebbero più riveduta. La Flori: che pena! Riusciti vani i nuovi e più aspri reclami delle famiglie, le ragazze (assentatesi per alcuni giorni dalla scuola all’annunzio della nomina di Marta) cominciarono man mano a ripigliare le lezioni; ma cattive, astiose, messe su evidentemente dai genitori contro la nuova maestra. A nulla giovò l’affabilità con cui Marta le accolse per disarmarle fin da principio; a nulla la prudenza e la longanimità. Si sottraevano sgarbatamente alle carezze, si mostravano sorde ai benevoli ammonimenti, scrollavano le spalle a qualche rara minaccia; e le più cattive, nell’ora della ricreazione in giardino, sparlavano di lei in modo da farsi sentire o, per farle dispetto, accorrevano ad attorniare le antiche maestre e a carezzarle, piene di moine e di premure, lasciando lei sola a passeggiare in disparte.
Ritornando a casa, dopo sei ore di pena, Marta doveva fare uno sforzo violento su se stessa per nascondere alla madre e alla sorella il suo animo esasperato. Ma un giorno, ritornando più presto dal Collegio, accesa in volto, vibrante d’ira contenuta a stento, appena la madre e Anna Veronica le domandarono che le fosse avvenuto, ella, ancora col cappellino in capo, scoppiò in un pianto convulso.
Esaurita finalmente la pazienza, vedendo che con le buone maniere non riusciva a nulla, per consiglio del Direttore s’era messa a malincuore a trattare con un po’ di severità le alunne. Da una settimana usava prudenza con una di esse, ch’era appunto la figlia del consigliere Breganze, una magrolina bionda, stizzosa, tutta nervi, la quale, messa su dalle compagne, era giunta finanche a dirle forte qualche impertinenza. – E io ho finto di non udire… Ma quest’oggi alla fine, poco prima che terminasse la lezione, non ho saputo più tollerarla. La sgrido. Lei mi risponde, ridendo e guardandomi con insolenza. Bisognava sentirla! “Esca fuori!” “Non voglio uscire!” “Ah! no!”
Scendo dalla cattedra per scacciarla dalla classe: ma lei s’aggrappa alla panca e mi grida: “Non mi tocchi! Non voglio le sue mani addosso!”. “Non le vuoi? Via, allora, via! esci fuori!” e fo per strapparla dalla panca. Lei allora si mette a strillare, a pestare i piedi, a contorcersi. Tutte le ragazze si levano dalle panche e le vengono intorno; lei, minacciandomi, esce dalla classe, seguita dalle compagne. E’ andata dal Direttore. Questi non mi dà torto in loro presenza; rimasti soli, mi dice che io avevo un po’ ecceduto; che non si debbono, dice, alzar le mani su le allieve… Io, le mani? Se non l’ho toccata! Alla fine però accetta le mie ragioni… Ma Dio, Dio; come andare avanti così? Io non ne posso più! Il giorno appresso, intanto, il padre della ragazza, il consigliere cavaliere ufficiale Ippolito Onorio Breganze, andò a fare una scenata nel gabinetto del Direttore. Era furibondo. L’obesità del corpo veramente non gli permetteva di gestire come avrebbe voluto. Corto di braccia, corto di gambe, portava la pancetta globulenta in qua e in là per la stanza, faticosamente, facendo strillare le suole delle scarpe a ogni passo. Alzare le mani in faccia alla sua figliuola? Neanco Dio, neanco Dio doveva permetterselo!
Lui, ch’era il padre, non aveva mai osato far tanto! Si era forse tornati ai beati tempi dei gesuiti, quando s’insegnava a colpi di ferula su la palma della mano o sul di dietro? Voleva pronta e ampia soddisfazione! Ah sì, perrrdio! Se la signora Ajala aveva valide protezioni e preziose amicizie, lui, il consiglierrr Breganze, avrebbe reclamato riparazione e giustizia più in alto, più in alto (e si sforzava invano di sollevare il braccino) – sissignore, più in alto! a nome della Morale offesa non solo dell’Istituto, ma dell’intero paese.
E DRI DRI DRI – strillavano le scarpe.” (…Da L’Esclusa di Pirandello
Si tratta di una prima espressione letteraria, non ancora pienamente matura, nella quale l’influenza della prosa naturalista, sulla base di modelli costituiti da Giovanni Verga, o da un autore vicino al Pirandello come Luigi Capuana, si manifesta in un tono cronachistico, talora freddo e distaccato, rispetto ad una vicenda che, invece, presenta già i caratteri dei più maturi intrecci pirandelliani.
Il romanzo appare diviso in due sezioni, ciascuna delle quali segmentata, rispettivamente in 14 e in 15 macrosequenze narrative. La figura di Marta Ajala campeggia con evidenza all’interno di una struttura narrativa, che non manca di lasciare spazio ad altri personaggi e ad una cornice socio-economica ed ambientale definita con assoluta precisione. Il richiamo ad alcuni episodi del romanzo, servirà a tratteggiare meglio il contesto in cui si matura il dramma della protagonista.
Tale dramma, seguito dall’autore nell’attenta articolazione del dato psicologico, è reso possibile, alimentato ed infine esasperato dai ciechi pregiudizi di una cultura e di un ambiente, che Pirandello ritiene doveroso studiare e rappresentare in tutte le sue manifestazioni. Non solo : il dramma di Marta è anche il dramma di altri personaggi, i quali si trovano ad essere vittime e produttori al tempo stesso di alienazione e sciocca autodistruttività. Se Marta è “l’esclusa” per eccellenza, chi fomenta acredine , spirito di rivalsa, chi giudica senza conoscere, chi rifiuta il confronto e la comunicazione si autoesclude da ogni forma di libertà e di felicità, si annienta scioccamente.
IL gioco di una vita si disperde in molteplici frammenti. La realtà appare un caleidoscopio che rifrange ogni volta una sua forma eventuale.
la vicenda di Marta Ajala ci dà modo di cogliere alcune problematiche relative alla famiglia ed alla società della Sicilia dell’Ottocento con le sue tipiche connotazioni ( chiusura del nucleo familiare di fronte alla comunità, obbedienza a pregiudizi, mancata solidarietà dei congiunti verso chi è vittima di un malinteso senso dell’onore, difficile identificazione e riconoscimento della figura femminile in ruoli socialmente utili ).Sotto tale punto di vista “L’esclusa ” parrebbe essere un romanzo tipicamente verista, centrato attorno all’esame di un “documento umano” esemplare di un contesto sociale ben delimitato. Del resto il romanzo , se ben analizzato, astrae da tali rigide determinazioni e si apre ad una più larga possibile linea interpretativa.
Esso ci illumina sulle ragioni più intime che creano contraddizioni insanabili all’interno del legame di coppia generalmente inteso, con una chiara critica all’istituto famigliare nel suo complesso, come sede alienata dei rapporti umani. Anche se l’analisi appare ancora fortemente condizionata da precisi fattori culturali e storici ( la Sicilia di fine secolo ) si intravede infatti, implicitamente tra le righe del romazo, una problematica più vasta tipica delle opere mature.
Lo scenario è quello della provincia siciliana: Rocco scaccia la moglie Marta, credendo che ella abbia una relazione con Gregorio Alvignani, intellettuale e parlamentare locale. In realtà non esiste alcun rapporto tra i due, salvo alcune appassionate lettere dell’Alvignani alla donna. Anche Francesco Ajala, padre di Marta, crede la figlia colpevole e, per il dolore, si lascia morire, autorecludendosi in casa e mandando in rovina i propri affari. Dopo aver tentato di procacciare da vivere in paese, a se stessa e alla madre, Marta accetta un incarico di maestra a Palermo: nella grande città, la giovane e bella protagonista è fatta oggetto della corte e delle attenzioni dei colleghi, ed il suo cuore risvegliatosi all’amore cede ora agli approcci dell’Alvignani, cui non aveva ceduto prima. Il marito Rocco, intanto, convintosi dell’innocenza della moglie, vuole richiamarla presso di sé, e trova proprio nell’Alvignani un imprevisto alleato. Inizia a manifestarsi il gusto pirandelliano per vicende in cui il caso domina l’esistenza dei personaggi, secondo inattesi e paradossali intrecci. Marta non può ora fare a meno di confessare al marito che, seppur prima innocente, ora ella ha davvero ceduto alla corte dell’Alvignani: ma Rocco, in una scena grottesca, in occasione dei funerali della propria madre, pur provando disprezzo per la moglie non può ora scacciarla nuovamente, e si rassegna a vivere con lei.
L’efficacia della trama e delle varie situazioni, che rapidamente si susseguono in virtù della prosa asciutta del narratore, giova a disegnare un quadro della società siciliana negli ultimi anni del secolo XIX, e lascia già intravedere quelli che saranno i temi fondamentali anche nella produzione drammaturgica.
il dramma di Marta è anche il dramma di altri personaggi, i quali si trovano ad essere vittime e produttori al tempo stesso di alienazione e sciocca autodistruttività,schiavi di pregiudizi e privi di qualsiasi ottica critica – Se Marta è “l’esclusa” per eccellenza, chi fomenta acredine , spirito di rivalsa, chi giudica senza conoscere, chi rifiuta il confronto e la comunicazione si autoesclude da ogni forma di libertà e di felicità, si annienta scioccamente,insomma anche gli ”Inclusi” vivono una condizione assurda forse peggiore di Marta che invece è colei che è fuori dalla norma..anormale…per Pirandello la norma non è un qualcosa di positivo
L’aspetto più avvilente della situazione consiste nel fatto che Marta è in balia delle decisioni di un potere cieco , quello della burocrazia ministeriale- cooperante con il potere politico e mosso, in ultima analisi, dai pregiudizi locali- contro il quale essa nulla può fare.
Burocrazia Giolittiana e pregiudizi piccolo -borghesi ne sono in pratica il sottofondo-elemento questo tipico del decadentismo Europeo-(ruolo della Burocrazia nella seconda rivoluzione industriale)
Vediamo come descrive Pirandello il peso che ha su Marta ciò che è avvenuto:
Sempre quel nodo, sempre, irritante, opprimente, alla gola. Vedeva addensarsi, concretarsi intorno a lei una sorte iniqua, ch’era ombra prima, vana ombra, nebbia che con un soffio si sarebbe potuta disperdere: diventava macigno e la schiacciava, schiacciava la casa, tutto; e lei non poteva più far nulla contro di essa. Il fatto. C’era un fatto. qualcosa ch’ella non poteva più rimuovere; enorme per tutti, per lei stessa enorme, che pur lo sentiva nella propria coscienza inconsistente, ombra, nebbia, divenuta macigno; e il padre che avrebbe potuto scrollarlo con fiero disprezzo, se n’era invece lasciato schiacciare per il primo. Era forse un’altra, lei, dopo quel fatto? Era la stessa, si sentiva la stessa; tanto che non le pareva vero, speshttp://percorsi.blog.kataweb.it/wp-admin/post.php?action=edit&post=1470so, che la sciagura fosse avvenuta.
Il fatto con le sue conseguenze schiaccia come un macigno i personaggi, anche quando questo è inconsistente, e li costringe a vivere in un determinato modo, a prendere decisioni accettate dalla massa (e in una società’ maschilista è sempre l’uomo che decide, anche per le donne): Marta viene scacciata di casa, dopo essere stata scoperta mentre leggeva una lettera inviatale da Gregorio Alvignani ed è costretta a ritornare presso il padre, la sua famiglia viene infangata inesorabilmente ed emarginata dalla “società’ civile”, della quale non potrà’ più far parte fino a quando lo stesso fatto non verrà’ cancellato in modo credibile e verosimile per la massa da colui che aveva preso la prima grave decisione, dal marito Rocco Pentàgora.
Pirandello prende coscienza fin dai primi anni della sua produzione letteraria che il fatto non poteva essere rigidamente costituito, ma doveva essere analizzato nelle sue cause e proposto soprattutto nelle sue conseguenze.
Un personaggio femminile quindi da un punto di vista anche storico ”emblematico”-attenzione nessuna simpatia femminista è presente in Pirandello solo una pietas per un tentativo di scoprire una verità da parte di una donna che in quanto esclusa…è …….più vera degli altri- comunque perdente.
Maria Allo
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