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domenica 20 maggio 2012

“L’ardente fiamma dello spirito nutre oggi un potente dolore”G.Trakl


  Melissa Bassi, 16 anni, è morta per colpa dell'esplosione avvenuta ieri davanti alla scuola che frequentava.Si colpisce la scuola, il futuro, la famiglia, la comunità intera, il cuore e la coscienza.
La crudeltà si aggroviglia , ma nei vostri occhi ha radice l'aurora.......
Adesso è difficile trovare parole per esprimere il dolore per quelle ragazze (sia per Melissa che per le ragazze ferite). È difficile. Ma intanto potremmo cercare di esserci in qualche modo....

giovedì 17 maggio 2012

Mirra. All'amor non c'è limite o quiete fuorché la morte - Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri


Singolare figura di uomo e di letterato dalla personalità inquieta e dalle passioni estreme.Alfieri fu per molti aspetti estraneo alla cultura del  suo tempo e in polemica con essa.Come letterato egli rimase lontano sia dall'Arcadia che dal Neoclassicismo, le due correnti che cronologicamente coincisero con la sua attività poetica.Animato da un'ansia libertaria e cosmopolita, si scontrò con l'opprimente realtà politico-sociale del suo tempo,cui cercò di sottrarsi scegliendo di non legarsia una corte: lasciò il Piemonte e viaggiò a lungo in Italia e in Europa, soggiornò a Firenze e a Roma, in Alsazia, a Parigi e infine di nuovo a Firenze, dove morì.
Formatosi in un clima culturale dominato dal razionalismo e orientato verso il riformismo(dispotismo illuminato), gli oppose le ragioni del sentimento, frutto di una spiccata vocazione all'assoluto e di un forte individualismo, preannunciando così, primo intellettuale in Italia, la sensibilità e il gusto del Romanticismo.
Luoghi alfieriani
La poetica
  • La poetica di Alfieri è contenuta in due trattati politico-morali: Della tirannide(scritto nel 1777) in cui affronta il tema del dispotismo opponendo al tiranno l'"uomo libero"; Del principe e delle lettere(1786)in cui esalta la figura del poeta-eroe, contrapponendola a quella dell'intellettuale cortigiano.La poesia per Alfieri nasce dalla sintesi di due momenti:
  • il violento e irrefrenabile manifestarsi di tensioni emotive profonde, che sono poi la materia base della poesia;
  • l'accorto lavoro stilistico che lo scrittore esercita in fasi successive su  quella materia incandescente per arrivare a rappresentarla in una forma letteraria adeguata.
L'opera
La produzione letteraria di Alfieri è vasta e varia. Il suo successo e la sua fama sono affidati soprattutto alle tragedie, in particolare al Saul e alla Mirra.Ne compose ventuno, tutte imperniate sul tema del conflitto con la realtà, ovvero sulla figura dell'eroe della libertà che lotta contro la tirannide.Fanno eccezione le ultime due, considerate i suoi capolavori, in cui il conflitto è tutto interno ai personaggi :Saul (1782),ispirata al biblico re di Israele , e Mirra (1786),che ha per tema la passione incestuosa.I protagonisti sono figure d'eccezione ed eroi chiamati a scegliere tra una morte onorevole o una vita spregevole.Alcuni sono tratti dal mito e dalla storia greca , altri dalla storia moderna , come in Filippo II di Spagna , scelto quale emblema del tiranno e dell'oppressione politica; altri ancora sono tratti dalla storia romana, eroi della libertà. Scritte in endecasillabi sciolti e suddivise in cinque atti,le tragedie alfieriane rispettano le tre unità aristoteliche  di tempo, di luogo e di azione.Alla tragedia Alfieri assegnò la funzione civile di suscitare odio per il tiranno e amore per la libertà.

Non nel Parini, ma nell'Alfieri, afferma il Croce, è il primo evidente segno di un rinnovamento nella letteratura italiana. L'individualismo esasperato e la violenza estrema delle passioni che sono alla base della sua ideologia e del suo atteggiamento di fronte alla vita contribuiscono a fare dell'Alfieri uno scrittore "protoromantico", assai vicino ad analoghe correnti e figure delle altre letterature europee; mentre lo tiene al di qua di un'autentica spiritualità romantica l'assenza di un senso religioso della vita e di un concreto interesse per le vicende particolari della storia. La tragedia alfierana è tutta alimentata dal furore della passione e da una inflessibile energia di propositi: di qui il suo stile che appare come il rovesciamento del linguaggio metastasiano, la sua parola che cade sulla pagina non come suono ma come azione; di qui, infine, il carattere essenzialmente oratorio più che intimamente poetico dell'opera dell'Alfieri.
 
È stato talvolta segnato l'inizio della nuova letteratura italiana nel Parini; ma il Parini è di mente e d'animo uomo del Settecento, del periodo razionalistico e delle riforme; e settecentesca sebbene elegantissima è l'arte sua, didascalica e ironica nei suoi toni maggiori, erotica e galante nei minori. Il vero inizio (quando si guardi al moto delle idee e alla qualità dei sentimenti) è in Vittorio Alfieri, che tocca corde le quali vibreranno a lungo nel secolo decimonono, dal Foscolo e dal Leopardi fino al Carducci: in Vittorio Alfieri, che io non posso considerare se non come strettamente affine ai contemporanei Sturmer und Drànger di Germania, i quali s'ispirarono come lui alle pagine di Plutarco e risentirono profonda l'efficacia del Rousseau, neanche a lui estranea. Al pari degli Sturmer und Dranger, egli è fortemente individualista; e individualismo è il suo amore per la libertà e il frenetico odio alla tirannia, così indeterminato nel suo contenuto politico, perché egli aborre con la stessa risolutezza re e demagoghi e patrizi di repubblica (l'«oscena libertà posticcia» di Venezia e le «sessanta parrucche d'idioti» di Genova), e non cerca nella sua vita altro stato, e non persegue nella sua arte altro ideale, che quello del «liber'uomo», che possa cioè muoversi, parlare, operare, attuare il proprio pensiero e la propria vocazione, non oppresso e soffocato da veruna forza estranea, non contrastato o impacciato da verun ostacolo. Come gli altri consapevoli o inconsapevoli roussoviani, moventi all'assalto delle bastiglie morali, le sue passioni sono estreme per violenza; e, quasi per dar loro qualche lenimento, egli ama la solitudine, si abbandona con voluttà alla malinconia, sente l'incanto degli spettacoli naturali, delle montagne, delle acque, delle spiagge. Il freddo intellettualismo, e Voltaire che lo rappresenta, gli ripugnano, e non sopporta il «lepido stile», la leggiera e facile prosa degli illuministi, ben adatta alla divulgazione, ma che per ciò appunto a lui sembrava che prostituisse « la viril nostr'arte ». E se egli non è tutto Shakespeare, come erano i suoi affini tedeschi, se presto intermise la lettura che aveva cominciata di quel poeta, non è già perché esso non gli piacesse, ma anzi perché gli piaceva troppo: «quanto più (scrive) mi andava a sangue quell'autore, tanto più me ne volli astenere»: cioè per non correre il rischio d'imitarlo, e per serbarsi spontaneamente shakespeariano.
Si deve dunque, a mio avviso, considerare l'Alfieri come un protoromantico: il che non vuol dire propriamente romantico, come ora si è preso il vezzo di chiamarlo, confondendo ben distinti periodi spirituali. Del romantico all'Alfieri mancarono tratti essenziali, li ansia religiosa sul fine e il valore della vita, l'interessamento per la storia, e il compiacimento per gli aspetti particolari e realistici delle cose. Anche la sua autobiografia sta sulla linea delle confessioni alla Rousseau, ricca di passione e scarsa di senso storico cosí rispetto al proprio tempo come alla sua vita medesima. Di questo suo limite, e della incapacità a ritrarre come diceva, «la vera e scalza triste natura nostra», la patologia individuale e sociale, ebbe consapevolezza. «E carmi e prose in vario stil finora lo scrissi, abil non dico, ardimentoso; Storie non mai...». L'epica, l'oratoria, la tragedia, la filosofia cioè le riflessioni morali e politiche: ecco il suo campo: «Arti tutte divine; in cui, ritratto L'uom qual potria pur essere, s'innalza Al ciel chi scrive e il leggitore a un tratto».

Tale, all'incirca, la collocazione dell'Alfieri nella moderna storia mentale e morale. Ma per intendere e giudicare l'arte di lui, per risolvere il quesito, anch'esso storico, del suo svolgimento estetico, bisogna farsi presente la particolare conformazione di quell'anima. Perché l'Alfieri, prima che poeta o al tempo stesso che poeta, era uomo di passione cosí ardente («furore» è la parola che più spesso torna nelle sue pagine) da rivolgersi diritto all'azione e alla pratica, guidato da inflessibile fermezza di proposito. Azione e pratica, la quale certamente non si attuava altrove che nella parola e nelle carte, ma azione era nondimeno, se tale è essenzialmente l'oratoria. L'anelito alla libertà e l'aborrimento per la tirannia gli avevano ingenerato nell'immaginazione un fantasma pauroso, il Tiranno, che non è già un fantasma poetico, ma un incubo passionale, una sorta di condensazione della più nera nequizia umana, che ha luogo in un determinato individuo non si sa perché, se non forse per incoercibile potere di attrazione e agglomeramento. Sono colpevoli i suoi tiranni? Non si oserebbe affermarlo; o non più colpevoli, certo; di chi ha la disgrazia di essere preso da un'infezione, dall'idrofobia o dal tetano. «Ah forse voi dite il vero!» - esclama il tiranno Timofane verso i suoi congiunti ed amici, che procurano di richiamarlo ai doveri del cittadino -, «ma non v'ha più detti, E sien pur forti, che dal mio proposto Svolger possanmi omai. Buon cittadino Più non poss'io tornare. A me di vita Parte or s'è fatta la immutabil, sola, Alta mia voglia: di regnar... Fratello, tel dissi io già: corregger me sol puoi Col ferro: invano ogni altro mezzo...». Un altro di queí tiranni, Polifonte, nella Merope, - anche lui non figlio, non sposo, non padre. «tutto tiranno», che non vede «altro che regno», - sospira alla fine del primo atto, stanco sotto il cumulo della sua propria ineluttabile malvagità: «Oh quanta è impresa il mantenerti, o trono!». Ad abbattere con un colpo di mazza ferrata il Tiranno, tanto più a lui odioso perché - se lo rappresentava in modo da dovergli riuscire necessariamente incomprensibile, l'Alfieri costrusse la sua tragedia, nella nota forma, senza confidenti, senza episodi, senza intermezzi di amori, scheletrica, precisa e rapida come una macchina, tagliente col ben noto stile. Stile che ha anch'esso del proposito, dell'intestamento; della fissazione; e poiché egli non tollerava, come si è visto, la lepidezza e la leggerezza della prosa illuministica, e poiché gli moveva nausea la correlativa poesia cantarellante di quel tempo, che in Italia, e non solo in Italia, era la metastasiana, il suo dramma e lo stile di esso sono il rovescio violento del melodramma metastasiano (come ebbero già a notare, credo pei primi, la signora di Staél e Guglielmo Schlegel); e le cabalette e ariette, con cui i suoi personaggi, al pari di quei del Metastasio, palesano se stessi, stridono in digrignamenti di denti e suoni aspri e rotti. E quando per avventura la sua ira si volge al sarcasmo e all'irrisione, come nelle satire e nel Misogallo, il cipiglio tragico si cangia in comico, ma resta pur sempre cipiglio: onde quel suo coniare, nel furor comicus, vocaboli grotteschi, parole bizzarramente composte o stranamente diminutive, e versi duri e ferrei non meno di quelli delle tragedie.
Non è a dire che, ammesso quel proposito, l'Alfieri non costruisca con vigore e sapienza; ma ciò che costruisce non è nel suo intimo poesia, è oratoria appassionata. Si ricorderanno le sue grandiose esortazioni e le invettive, com'è quella di Virginio nella Virginia:
 


O gregge infame di malnati schiavi;
tanto il terror può in voi? l'onore, i figli,
tutto obbliate per amor di vita?
Odo, ben odo un mormorar sommesso;
ma niun si muove. Oh doppiamente vili!
Sorte pari alla mia, deh! toccar possa
a ognun di voi; peggior, se v'ha: spogliati
d'aver, d'onor, di libertà, di figli,
di spose, d'armi, e d'intelletto, torvi
possa il tiranno un dì fra strazio lungo
la non ben vostra orrida vita infame,
ch'or voi serbate a cosí infame costo...

dove l'oratoria è altamente concitata, e nondimeno quel personaggio non è poetico. E perfette sono due delle sue tragedie, dal comune consenso dei critici più lodate, il Bruto I e il Bruto II: due saldi strumenti d'acciaio ben temprato e brunito: due di quei lucidi spadoni da carnefice che si vedono nei musei. Ma la poesia non è ordigno di acciaio. E le infinite e noiose dispute dei critici sul metodo adatto o disadatto seguito dall'Alfieri nelle sue tragedie, e le differenze notate verso il sistema greco o inglese e le somiglianze col francese, sono fallaci o superflue. Il difetto, come sempre in siffatti casi, non consiste nella tecnica tragica o altra simile cosa immaginaria, ma nella sostanza poetica.

mercoledì 9 maggio 2012

UN TEMA PER DISCUTERE : I DIRITTI DEGLI ANIMALI

 
La composizione delle odi abbraccia gli anni tra il 1757 e il 1795 (XVIII secolo). Questi meditò a lungo di riunire le odi e pubblicarle in un´opera organica ed unitaria, ma il progetto non venne mai realizzato. Due discepoli del poeta, però, riunirono il lavoro in una prima raccolta di 22 testi del 1791 e in una seconda di 25 del 1795. Le odi possono essere suddivise in tre fasi compositive: la prima (1757-1770) caratterizzata da temi sociali e civili di particolare rilevanza (come La salubrità dell´aria), che impegnò il poeta in una dimensione pubblica. La seconda fase (1777-1785) non abbandona la dimensione civile, ma si concentra sulla funzione sociale della cultura e dell´educazione e non più a grandi tematiche pubbliche (come L´educazione e La caduta). La terza fase (1786-1795) é caratterizzata da temi dell´interiorità esistenziale (come l'ultima ode scritta Alla Musa). Le forme sono debitrici della tradizione arcadica: la predilezione è netta per i versi brevi (soprattutto settenari), la disposizione delle rime é piacevolmente studiata, lo stile è elevato ma cantabile, il lessico é concreto, più realistico che letterario.

Il Giorno

È considerato il capolavoro di Parini e,nonostante i quarant´anni di lavoro che lo scrittore vi dedicò, questo rimase incompiuta. La stesura dell´opera può essere divisa in due parti: la prima fase in cui il poeta pensò a tre poemetti intitolati Il Mattino, Il Mezzogiorno e La sera, e la seconda fase che prevedeva un unico poema suddiviso in quattro parti (Il Mattino, Il Meriggio, Il Vespro, La Notte).

Del primo progetto vennero pubblicati solo i primi due poemetti, nel 1763 e 1765 in forma anonima. Il Mattino era preceduto da una dedica in prosa Alla Moda, la dea che ha sconfitto la Ragione, il Buonsenso e l´Ordine. Questa venne, però, soppressa nella redazione successiva. Il punto di vista è ironico e finge di abbracciare un modo di pensare contrario a quello di Parini; questi mira a denunciare l´assurdità e l´ingiustizia della nobiltà. Il metro è l'endecasillabo sciolto. I due protagonisti sono il narratore, in veste di educatore al piacere e al divertimento del secondo personaggio, il giovane nobile. Più che precettore, il primo si presta di più a descrivere la vita del giovane. Nonostante il poeta avesse più volte annunciato la pubblicazione de La Sera, questa non vedette mai la luce. 

La vergine cuccia
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        Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
5 villan del servo con l'eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
con sacrilego piè lanciolla: e quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
10 nari soffiò la polvere rodente.

Indi i gemiti alzando: aìta aìta
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei l'impietosita Eco rispose:
e dagl'infimi chiostri i mesti servi
15 asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide tremanti
precipitâro. Accorse ognuno; il volto
fu spruzzato d'essenze a la tua Dama;
ella rinvenne alfin: l'ira, il dolore
20 l'agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti,
25 vergine cuccia de le Grazie alunna.
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d'arcani ufici; in van per lui
30 fu pregato e promesso; ei nudo andonne
dell'assisa spogliato ond'era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
signor sperò; ché le pietose dame
inorridîro, e del misfatto atroce
35 odiâr l'autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato, su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu vergine cuccia, idol placato
40 da le vittime umane, isti superba.



venerdì 4 maggio 2012

Giuseppe Parini

L'epoca dell'Illuminismo non fu caratterizzata da un'unica poetica dominante.Gli intellettuali infatti erano considerati più "filosofi", il cui scopo è la ricerca del vero, che "letterati" impegnati nella creazione della bellezza artistica.L'influenza dell'Illuminismo sulla poesia si caratterizza per due aspetti:

LA PERDITA DEL PRIMATO DELLA POESIA nel sistema dei generi letterari, per cui essa viene sostituita dal saggio e- a livello europeo- dal romanzo;

LA SCELTA DI TEMI SOCIALI E CIVILI; in questo modo la lirica, cioè la poesia che esprime uno stato d'animo soggettivo, assume un ruolo marginale mentre vengono rilanciate forme poetiche come l'ode, il carme,il poemetto, il poema più utilizzabili con temi impegnati.


Il classicismo prevalente nella poesia italiana dopo la metà del Settecento si fonda quindi su una concezione illuministica dando vita così a un Neoclassicismo illuministico (è il caso di Parini), oppure che gli illuministi del "Caffè"respingano il classicismo perchè esempio di arretratezza culturale e propongano modelli più moderni di scrittura.
Le due tendenze del periodo, il Neoclassicismo e il Preromanticismo hanno aspetti in parte contrapposti e, in parte, anche comuni.
La poetica neoclassica propugna una reazione agli artifici del Barocco in nome dei valori di equilibrio del classicismo antico, ed è pervasa da una forte vena civile ispirata ai valori dell'antichità classica.
Per contro, il Preromanticismo manifesta una visione tragica della natura, un senso di turbamento che coinvolge l'io, le cui espressioni sentimentali diventano centrali nelle opere preromantiche.
Allo stesso tempo entrambe le poetiche perseguono il rifiuto della tradizione dell'Accademia dell'Arcadia e non manca nello stesso Neoclassicismo, una componente di inquietudine e di turbamento: il passato dell'arte classica è visto con nostalgia, come un momento ormai irrecuperabile.E' la stessa rivoluzione operata dalla cvultura illuministica , la sua fede nella ragione e nella civiltà, a provocare sfiducia nei valori tradizionali e a far nascere nuove esigenze.Il Neoclassicismo ha insomma una visione tragica e inquieta della società e della natura, una visone segnata da caratteristiche preromantiche.
  • Giuseppe Parini 

    Monumento a G. Parini di Gaetano Matteo Monti

    E' considerato il più interessante esponente del classicismo italiano settecentesco e un moderato riformatore: si propone di rinnovare gradatamente senza distruggere, sia in campo sociale che letterario.

    Aderì al movimento dell'Arcadia e con la sua attività promosse lo sviluppo delle concezioni neoclassiche.

    Elaborò la sua poetica a partire dall'approfondita conoscenza delle opere di grandi autori classici latini e italiani(Virgilio, Orazio,Dante,Petrarca, Tasso)e dall'adesione alla poetica del sensismo.Per lo scrittore la poesia  ha finalità soprattutto edonistiche, deve cioè provocare piacere e diletto, suscitare sensazioni fortie vive senza rinunciare, nello stesso tempo, a essere didascalica e pedagogica, a svolgere quel ruolo educativoche è immanente alla vera poesia.A tal fine è necessario che la poesia tragga i propri contenuti dalla realtà e si affidi alla concretezza di tematiche che trovano riscontro nella vita sociale.A tali contenuti moderni si devono poi accostare il rispetto e l'utilizzo delle forme classiche , un registro stilistico rigoroso e una lingua che abbia l'armonia e la perfezione dei classici insieme alla capacità di accogliere forme ed espressioni moderne.