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sabato 28 settembre 2013

ETA' GIULIO-CLAUDIA


Il quadro storico
Il governo di Tiberio (14-37)


Questa età fu caratterizzata dal necessario consolidamento dell’istituzione imperiale. Il modello di principato che si scelse di creare fu a base dinastica: prima della sua morte, Augusto nominò suo successore Tiberio, figlio della seconda moglie Livia Drusilla.
Una volta salito al trono, Tiberio volle adottare una linea di politica simile a quella del suo predecessore. Attento al buon governo delle province ed ostile allo spreco di denaro, Tiberio cercò di mantenere buon rapporti con il senato, che interpellò sempre nelle circostanze più critiche.
Sebbene sotto Tiberio l’impero non si estese molto, esso ottenne l’annessione della Cappadocia e si preoccupò principalmente di difendere le frontiere settentrionali e orientali, rafforzando i confini.
Gli ultimi anni di Tiberio furono caratterizzati da una serie di incomprensioni col senato, da intrighi all’interno della sua stessa famiglia e dal tentativo di congiura ordito da Elio Seiano e sventato da Tiberio stesso nel 31 d.C.
I principati di Caligola (37-41) e Claudio (41-54)

Tiberio designò come suo successore l’unico figlio maschio del nipote Germanico (che era amatissimo dal popolo e dalle truppe romane ed era morto in circostanze misteriose nel 19 d.C.) Gaio Cesare, passato alla storia come Caligola. (damnatio memoriae)
Ancora ragazzo Caligola aveva assistito alla distruzione della sua famiglia ed è ciò che ha probabilmente provocato la sua instabilità di carattere e le sue manifestazioni di crudeltà e violenza. Così dopo inizi promettenti fu una delusione per il popolo romano. Un gruppo di senatori e cavalieri ordì con la complicità dei pretoriani una congiura in cui Caligola morì.
Alla morte di Caligola succedette Claudio, fratello di Germanico. Egli cercò di seguire l’esempio di Augusto e Tiberio, mostrandosi rispettoso delle prerogative del senato, sostenne l’integrazione delle province dell’impero e favorì la romanizzazione della Bretannia. Sotto di lui l’impero si estese alla Licia, alla Tracia e alla Mauritania.
Claudio affidò l’amministrazione burocratica ad un apparato di liberti, che si rivelarono particolarmente devoti e fedeli, ma suscitarono l’aperta ostilità dei senatori. Alla fine l’imperatore cadde vittima di una congiura di corte ordita dalla moglie Agrippina Minore, che era riuscita ad ottenere che la successione toccasse al figlio Nerone.
Nerone (54-68)

Il governo di Nerone presenta due fasi ben distinte. I primi cinque anni del suo principato furono caratterizzati dalla presenza come consigliere di Afrannio Burro e di Seneca, che condizionarono le scelte del sovrano improntandole sul rispetto delle tradizioni e dell’autorità del senato. Nel 58 d.C. però Nerone fece uccidere la madre Agrippina e imprsse una svolta autocratica al proprio governo, manifestò ostilità nei confronti del senato. Intraprese una politica demagogica, al fine di ottenere il favore della plebe urbana. Promosse, inoltre, la prima persecuzione delle comunità cristiane.
Dopo aver sventato una congiura nel 65 d.C. non riuscì a sedare l’opposizione delle province occidentali, nel giugno del 68 fu dichiarato nemico pubblico dal senato e si tolse la vita; subi la damnatio memoriae. Con lui finì la dinastia giulio-claudia.
Fedro
Dati biografici

Fedro scrisse sotto gli imperatori giulio-claudi e fu il principale rappresentante latino di un genere minore, la favola, che prima di allora era sconosciuto alla letteratura romana.
Nato in Macedonia, venne a Roma da bambino molto probabilmente come schiavo, fu probabilmente un libertus Augusti. È probabile che fosse stato affrancato dall’imperatore grazie alla sua cultura e che si sia dedicato all’insegnamento.
Fu perseguitato da Seiano, il dispotico ministro di Tiberio, che, urtato dal carattere satirico di alcuni suoi componimenti, lo fece processare e condannare con un’accusa pretestuosa.
Di Fedro ci sono pervenuti cinque libri di favole in versi (senari giambici). Un’altra trentina di favole sono state raccolte nell'Appendix Perottina, che un’umanista del XV secolo trascrisse da un codice oggi perduto.
Il modello della favola

Il modello cui Fedro si ispira è quello di Esopo. La forma più caratteristica assunta dalla favola esopica è quella dell’apologo animalesco, che ha per protagonisti gli animali parlanti, raffigurati secondo una tipologia tradizionale che li rende simboli trasparenti di carattere e di atteggiamenti umani.
Quando Fedro decide di mettere in versi le favole esopiche non sceglie l’esametro, che era divenuto il metro proprio della satira, ma adotta il senario giambico, ossia il verso tipico delle parti dialogate della commedia.
Contenuti e caratteristiche

I principali criteri di scrittura di Fedro sono la varietas e la brevitas. Poco numerosi, ma molto interessanti sono gli aneddoti storici di ambientazione romana.
La varietas è mossa dall’intento di superare gli schemi ripetitivi e un po’ angusti della favola animalesca, e si manifesta chiaramente nel passaggio dal I libro, quasi interamente dominato dagli animali parlanti, ai successivi, in cui compaiono spesso altri personaggi.
La brevitas è da intendere in riferimento non solo alla mole limitata dei libri e all’estensione modesta dei singoli componimenti, ma anche alla concisione, ossia alla capacità di condensare in breve i contenuti narrativi e gli insegnamenti morali. La brevitas si manifesta specialmente nei dialoghi, essenziali e pregnanti, scritti in linguaggio colloquiale.


I componimenti di Fedro presentano una struttura costante: lo schema metrico del senario giambico, la collocazione iniziale(Promitio) o finale (Epimitio),Ddella morale, il posto centrale dell'apologo, che si risolve per lo più in un dialogo fra due o più personaggi.
Caratteristica della favola è la presenza della morale, che qui segue l’esempio, spiegandone il significato allegorico o simbolico.
Non troviamo mai nelle favole conservate un atteggiamento propriamente satirico. L’intento moralistico e pedagogico sembra piuttosto rivolto genericamente contro i difetti e gli errori umani.
La morale che si ricava dal complesso delle favole è piuttosto amara e pessimistica, ma anche rassegnata, basata sulla constatazione che la legge del più forte domina sovrana nel mondo.








Caratteristiche dell’età giulio-claudia

Nell’età giulio-claudia si accentuò il fenomeno di disgregazione del rapporto fra gli intellettuali e il potere (ma già con Augusto v. Ovidio). Finché Mecenate era rimasto in vita, col suo prestigio e la sua influenza aveva fatto da tramite discreto tra il potere e gli uomini di cultura ed era riuscito ad assicurare a questi una certa autonomia. La sua morte venne a turbare ulteriormente la non sempre facile integrazione degli intellettuali all’interno delle direttive del principe e determinò una vera e propria rottura fra il potere e la cultura, rottura che si acuì sempre più in considerazione anche del deteriorarsi della situazione politica. Infatti l’età dei giulio-claudi vide il tramonto e la liquidazione di quel precario equilibrio fra il principe e il senato su cui si era retto lo stato durante l’età di Augusto, a tutto vantaggio del potere imperiale, che ora tende ad assumere con sempre maggior insistenza caratteri assolutistici.
Di fronte ad un potere sempre più intransigente e liberticida, gli intellettuali (che appartenevano per la maggior parte al rango senatorio, in rotta col potere imperiale) assunsero sostanzialmente tre posizioni diversificate: o scelsero la facile strada del consenso o si indirizzarono verso un velato atteggiamento di fronda e di non collaborazione con le direttive del principato o si orientarono, ma non furono in molti, verso un aperto dissenso.
Le voci più autentiche e significative di quell’età non sono quindi da cercare né in Velleio Patercolo né in Valerio Massimo, i quali concepirono la storia o come propaganda cortigiana o come repertorio di personalità modello, di exempla da utilizzare per le esercitazioni nelle scuole di retorica, ma nelle opere di Fedro, di Seneca, di Persio, di Petronio, in cui l’atteggiamento di fronda, variamente motivato e diversamente espresso, rivela la presenza di personalità che si pongono criticamente il problema del proprio ruolo di intellettuali e quello dell’autonomia della cultura: il dissenso di Fedro e la sua protesta contro i potenti ci arrivano filtrati, ma non sviliti, dalla simbologia degli animali che caratterizza le sue favole, la posizione frondista assunta da Seneca, sostenuta da una profonda riflessione filosofica, sfocia nell’affermazione di valori interiori che ad un certo punto gli appaiono del tutto inconciliabili con la politica del principe.
Su una linea diversa, più autonoma e disimpegnata dalla condizione del tempo, si muove, invece, l’attività letteraria di Persio, che nelle sue satire, se si esclude qualche accenno al malcontento nei confronti di Nerone, mostra di privilegiare i temi morali e letterari, rispetto a quelli più squisitamente politici. Infine l’atteggiamento di disimpegno ostentato da Petronio trova il suo sfogo più naturale nella ricerca della pura esteticità e nella raffinatezza di una vita intesa fino alla morte come opera d’arte.
Ma durante l’età dei giulio-claudi non mancarono voci di aperto dissenso nei confronti della politica del principe, soprattutto in Lucano e negli storiografi dell’opposizione filosenatoria. Il primo, malgrado il suo rapporto d’amicizia con Nerone in gioventù, non riuscì a chiudere gli occhi di fronte al dispotismo sanguinario del principe e quindi divenne con la sua opera il rappresentante più autorevole della cultura filosenatoria e dei valori della repubblica. Gli storiografi d’opposizione, poi, da Cremuzio Cordo a Aufidio Basso, furono i più esposti nell’opera di contestazione da parte del potere (Tiberio fece bruciare gli Annales di C.C. con l’accusa che si trattava di un’opera nostalgicamente filorepubblicana).
Tuttavia il dissenso degli intellettuali non si mantenne costante per tutta l’età, ma mutò col mutare dei principi, e raggiunse il suo momento più deciso sotto Nerone.
I caratteri della cultura
Anche se gli imperatori della casa giulio-claudia non riuscirono ad imporre una propria politica culturale, di fatto la modalità con cui avveniva la formazione dei giovani del tempo finiva col favorire un certo tipo di consenso, o, meglio, di sterile ed acritico conformismo intellettuale. La retorica prese subito il sopravvento sulle altre discipline che negli anni precedenti avevano orientato la formazione culturale dei giovani romani. In mancanza di libertà politica la retorica si indirizzò a suggerire le modalità con cui i giovani dovevano esercitarsi nelle declamazioni, nacquero così le controversiae e le suasoriae (Seneca il Vecchio).
Col diffondersi di tali esercitazioni retoriche la formazione culturale dei giovani s’impoverì sempre più e puntò sull’acquisizione di una serie di luoghi comuni e sullo sviluppo della libera fantasia più che sulla concretezza e sulla praticità. In questo clima caratterizzato da un grande ritorno alla retorica si ebbe un risveglio dell’asianesimo (che si era già diffuso in Roma nel I a.C).
Il recupero dell’asianesimo significava ridare enorme importanza, nella retorica, ai processi creativi e alla fantasia, che doveva operare senza alcun freno inibitore.
Il libero esplicarsi della fantasia poneva fuori gioco l’equilibrio e la simmetria che erano stati gli aspetti più appariscenti dell’arte augustea. Si afferma invece il culto dell’asimmetria, della varietas e della novitas, un gusto del nuovo, dello straordinario, del meraviglioso, che per certi versi è assai simile alla sensibilità che si affermerà in Europa nel ‘600 col Barocco.
Ai margini di questo gusto per il meraviglioso e in perfetta sintonia con il senso della caducità e della relatività del reale, si afferma anche un certo gusto per l’orrido e per il macabro, che, ad es., è presente in misura preponderante nel teatro di Seneca.
Lo stoicismo come ideologia del dissenso
Questa dottrina si era già diffusa ampiamente in età repubblicana, anzi con Panezio da Rodi aveva fornito un sostegno filosofico alla cultura del circolo filoellenico degli Scipioni. Successivamente, durante gli anni del principato augusteo, essa aveva finito col fiancheggiare l’opera di ricostruzione morale, politica e sociale dell’imperatore. Ora, in questa prima metà del I d.C., fino al principato di Nerone, lo stoicismo diventò l’asse ideologico intorno a cui ruotò gran parte del dissenso nei confronti della politica imperiale. La speculazione filosofica stoica adesso, si dedica infatti soprattutto ai problemi etici, anzi si può affermare che la filosofia finisce col coincidere addirittura con l’etica e diviene la disciplina che insegna a vivere, tanto che Musonio, uno stoico di questa età, arriva a sostenere che “essere buono ed essere filosofo è la stessa cosa”. Dunque compito del saggio stoico deve essere fondamentalmente l’esercizio della virtù, che consiste in un processo di interiorizzazione, nell’autonomia e nella libertà della coscienza. Questo ideale speculativo, in un momento in cui il principato andava assumendo sempre più connotazioni tiranniche, era destinato ad acquistare una spiccata valenza politica, e pertanto si spiega con una certa facilità perché la filosofia stoica divenne lo strumento culturale e ideologico preferito da quei gruppi di rango senatorio che osteggiavano il principe e deprecavano la perdita della libertà politica. A fianco dei filosofi stoici occorre ricordare la funzione esercitata negli strati popolari della società romana di questi anni dai cinici ( predicatori che giravano per le strade coperti da rozzi mantelli, scalzi, e diffondevano una filosofia alquanto popolare, che in effetti consisteva nell’enunciazione di alcune massime sulla vita pratica, ispirate sostanzialmente ad uno stoicismo semplificato e banalizzato).
GENERI LETTERARI
Il diffondersi di una sensibilità tendente al meraviglioso e allo straordinario e il libero dispiegarsi della fantasia nell’opera d’arte fecero sentire i loro effetti anche nella letteratura, soprattutto nell’ambito dei generi. L’ingenium sembra prevalere sull’ ars , o quanto meno su un’arte classicamente intesa. Dunque si percorrono vie nuove, nella certezza che le strade tradizionali sono ormai impraticabili, sia perché sono state già percorse fino in fondo dai poeti dell’età augustea, sia perché non appaiono più rispondenti alle nuove istanze della cultura del tempo. Di questo stravolgimento delle istituzioni letterarie risentono soprattutto i generi, che spesso mutano caratteristiche o tendono a fondersi in altri generi (es. Satyricon).
Si ha anche una certa tendenza alla sperimentazione e alla poligrafia (Seneca scrive opere filosofiche, satire e addirittura drammi)
Escludendo le opere di Seneca e di Petronio i generi che maggiormente si diffondono durante l’età dei giulio-claudi sono: la favolistica, la satira, l’epica, la storiografia, il teatro e la poesia e la prosa scientifica.
a) la favolistica Fedro riesce a dare a questo genere un carattere tutto proprio, in quanto non si accontenta più di utilizzare la favola come apologo o come pretesto, ma riesce a caricare i suoi componimenti di una velata, ma non per questo meno valida, protesta contro i potenti che opprimono senza via di scampo gli umili, ai quali va la simpatia del poeta.
b) La satira Con Persio la satira acquista un carattere fortemente moralistico e filosofico, che con Orazio non aveva avuto e diventa lo strumento per un’intransigente fustigazione dei vizi del tempo (influenza della filosofia stoica e soprattutto delle prediche dei cinici). Perde il carattere bonario nei confronti delle debolezze degli uomini e tende a diventare astratta riflessione moraleggiante che sconosce le debolezze ma anche la complessità del cuore umano.
c) L’epica Il poema epico perde i caratteri che aveva avuto durante il principato augusteo. Lo sforzo di Virgilio era stato quello di trasfigurare nel mito, e quindi in una dimensione atemporale, la storia di Roma e del suo principe; Lucano, invece, non rinuncia alla storia, e riprende l’antica tradizione epico-storica romana da Nevio a Ennio, descrivendo e trasfigurando artisticamente i fatti concernenti la guerra fra Cesare e Pompeo. Nel Bellum Civile l’interesse per la realtà storica si fonde con il gusto per il meraviglioso, per l’esotico e per l’immaginario (ambientazione paesaggistica, sogni di Pompeo), inoltre si ha una certa propensione per l’astrologia e per le scienze, discipline che in quegli anni incontrano una grande diffusione presso il popolo romano.
d) La storiografia Non è possibile tracciare un bilancio complessivo dell’attività storiografica di questo periodo, perché la produzione che esprimeva dissenso nei confronti del potere è stata censurata e quindi non ci è pervenuta. Ci resta la produzione più innocua, ma forse anche la meno valida, quella cioè che fiancheggiò l’opera del principato, o che tutt’al più si mise in una posizione di neutralità. Nell’ambito di questa storiografia sostanzialmente conformistica si collocano le opere di Velleio Patercolo, Valerio Massimo e Curzio Rufo.
e) La poesia e la prosa scientifica Si ebbe un grande sviluppo della scienza, dovuto probabilmente al fatto che si trattava di una disciplina non compromettente sul piano politico e che veniva anzi favorita dal principato, convinto di poter creare un miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini proprio attraverso la scienza e la sua successiva applicazione politica (Seneca “Naturales quaestiones”, Manilio “Astronomica”, Pomponio Mela, Celso, Columella)


La nascita di una nuova religiosità
Tutta l’età sembra percorsa da fremiti religiosi e da un’ansia di ricerca del divino che si esprime in forme diverse, ma che appare prodotta dall’insoddisfazione per la vecchia religione di stato (comunità cristiana già attestata in Roma negli anni dell’imperatore Claudio)
- setta dei Sesti La setta ebbe vita effimera e si basò quasi esclusivamente sulla personalità dei suoi adepti. Praticò una rigorosissima condotta di vita e si impegnò soprattutto ad additare la via per il perfezionamento interiore tramite la pratica di una vita ascetica. Tiberio ne impose la chiusura.

giovedì 19 settembre 2013

Il centenario di Roma capitale a Porta Pia



«la porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra; di materassi fumanti, di berretti di Zuavi, d'armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti». E.De Amicis



La presa di Roma

A Roma, all’alba del 20 settembre 1870, circa 15.000 soldati pontifici, in massima parte zuavi (volontari quasi tutti di provenienza francese, belga o olandese) erano pronti a fronteggiare le mosse degli assedianti, bersaglieri e fanti dell’esercito italiano che aspettavano da giorni la dichiarazione di resa dello Stato pontificio.



Alle 9 del mattino si udì il segnale dato da un generale piemontese, Raffaele Cadorna. Poi, nell’aria si diffusero il frastuono delle cannonate e il rumore del crollo del tratto di mura che si stende a qualche decina di metri da Porta Pia. Di fatto, i difensori non opposero resistenza. Il dominio temporale dei papi terminava dopo più di 1000 anni.

Un giovane ufficiale (e promettente scrittore) del regio esercito annotava in quel frangente: «la porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra; di materassi fumanti, di berretti di Zuavi, d'armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti». Il nome dell’ufficiale era Edmondo De Amicis, colui che avrebbe poi raggiunto la fama con Cuore.

Fu così, in un mattino di settembre, che l’esercito ottenne, quasi senza sforzo, ciò che appariva, solo pochi anni prima, una chimera, un miraggio. I militari italiani conquistavano l’obiettivo che Garibaldi non era stato in grado di raggiungere. Come fu possibile?

Poche settimane prima, all’inizio di quel settembre, si era consumata una battaglia destinata a cambiare gli equilibri politico-diplomatici in Europa per molti anni: la battaglia di Sedan. La Prussia di Bismarck era infatti entrata in guerra contro la Francia di Napoleone III, migliore alleato italiano ma, nello stesso tempo, maggiore protettore del dominio papale su Roma. Dopo l’Austria nel 1866, ora taccava alla Francia capitolare sotto i colpi dell’organizzatissima armata prussiana.

Nasceva l’Impero tedesco, il Secondo impero francese tramontava.

Venuta meno la protezione francese, a Pio IX non restò che rifugiarsi in Vaticano e dichiararsi prigioniero politico dello Stato italiano. L’Italia trovava così la sua capitale, ma, per contro, esplodeva la questione romana.

domenica 15 settembre 2013





Care ragazze e cari ragazzi,
Fate buon uso di questo tempo,anche perché la fatica dello studio diventa insopportabile se non è accompagnata da un interesse motivazionale forte e a largo respiro.

Un consiglio per voi 
Dobbiamo difendere la lettura come esperienza che non coltiva l'ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata. Una lettura concentrata, amante degli indugi, dei ritorni su di sé, aperta più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura che assecondano i ritmi alterni della mente e vi imprimono le emozioni e le acquisizioni.
(G. Pontiggia)