Siamo su Dienneti

mercoledì 29 dicembre 2010

lunedì 15 novembre 2010

(Saggio breve ) Il distacco nell'esperienza ricorrente dell'esistenza umana:senso di perdita e di straniamento, fruttuoso percorso di crescita personale

                                          Salvà Antonella

"Non sono gli uomini a dominare la sorte, ma è la sorte a dominare gli uomini". 
Destinazione editoriale: Prospektiva

La vita di ogni uomo è segnata dall'inevitabilità del distacco. Fin dalla nascita, quando un bambino inizia a respirare, si avvicina impercettibilmente ma inesorabilmente al momento in cui dovrà sospendere tale atto istintivo; ma prova paura per questo? No, perché non ne ha consapevolezza. L'esperienza insegna a dar nome agli eventi e alle sensazioni, e la componente della nostra esistenza che si accompagna alla paura è il cambiamento.
Per accettare la novità è tuttavia necessario abbandonare qualcosa, o quanto meno metterlo in discussione. Ho scritto che siamo noi a dar nome agli eventi: ogni esperienza è intrisa della soggettività più assoluta, benché la percezione sia condizionata da convenzioni collettive e cultura individuale; quello che per un individuo può essere letto come fallimento per un altro potrebbe risultare un'opportunità.
Il cambiamento assume anche peso differente in base all'ambito in cui avviene e alla saldezza dei legami, delle certezze precedenti. Per esempio, se si assiste alla morte di un fratello o di un amico particolarmente caro, ogni parola pare vana poiché le ceneri sono mute, come commenta Catullo nel fare offerte propiziatorie presso la tomba fraterna, dolente dono a dei che privano delle persone più care. Esiste poi un legame col conosciuto e protettivo, cui si contrappone l'ignoto, l'oscuro, il maligno. La "diritta via" dell'Inferno dantesco viene perduta per il peccato di Dante, ma il distacco dal mondo dei vivi è mitigato dalla presenza di una guida, Virgilio. Catullo vede nella morte la solitudine e la fine, mentre Dante, quale cristiano, confida in Dio e nella giustizia celeste, tanto che al termine del suo viaggio di vivo tra i morti tornerà per raccontare la sua storia. La pena per il distacco si stempera ulteriormente nei Promessi Sposi di Manzoni che, alla partenza di Lucia dal suo paese, commenta che Dio "non turba mai la gioia de' suoi figli se non per preparne loro una più certa e più grande". Il distacco è dunque reso sopportabile dalla fede in un miglioramento. Ma ha oggi ancora un senso leggere tali autori? Ripercorrere quasi per una catarsi le sofferenze degli artisti o dei loro personaggi? Bach conclude i suoi componimenti con un accordo maggiore, esplosione pacata di stabilità e perfezione, dopo fughe e intrecci vorticanti nella loro simmetria; ma i compositori contemporanei? Dissonanze, variazioni, cambi di tonalità disarmonici, sospensioni improvvise... Oggi il disagio derivante dal distacco viene psicanalizzato attraverso un "fai-da-te" ormai consolidato nell'opinione comune. Spesso si evitano separazioni improvvise ai propri figlia o ci si preoccupa della rapidità dei cambiamenti nell'attualità, per timore di ripercussioni sulla loro (in ogni modo per me dubbia) stabilità. Ai giorni nostri la realtà è caratterizzata da un continuo vorticare: bisogna essere veloci e mobili, elastici. La tradizione è troppo rigida per le nuove esigenze. Nel giro di pochi decenni è cambiata l'immagine di famiglia (basti considerare il numero di separazioni), il concetto di religione (che diventa sempre più accomodante e flessibile), l'idea di comunicazione e conoscenza (si frequentano molte persone ma superficialmente).
                      CONCETTA RUSSO

Titolo: La vita come un continuo distacco
destinazione editoriale: giornalino d'istituto


Il distacco è concepito dall'uomo come un senso di perdita e di straniamento che nasce nel profondo dell'animo. E' un tema molto ricorrente nella vita dell'uomo; infatti la vita di ogni individuo inizia proprio con un distacco, che è dovuto al taglio del cordone ombellicale che ci lega alla nostra mamma. Ogni distacco incide nei processi di crescita dell'individuo.
Come dice la scrittrice brasiliana Christiana de Caldas Brito "Siamo tutti migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita". Molte volte nella vita occorre abbandonare, anche solo per un periodo, la propria terra natia. Come si può notare nel capitolo VIII dei Promessi Sposi "Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!...Addio, casa natia…” e nel romanzo di G. Schellotto Distacchi e altri addii “E poi c’era la nostalgia, che non voleva sbiadire. E la retorica, che la sobillava.” il distacco dalla terra natia è collegato ad un senso di tristezza, perchè abbandonando i luoghi familiari si abbandonano anche le certezze da essi derivanti. Però nello stesso tempo è un modo di crescita e di formazione. Il distacco dai genitori e dagli affetti familiari in genere si rivela come il momento di separazione tra la fase infantile e la fase matura di ogni uomo.
In Ugo Foscolo la delusione sociale lo porta ad un distacco e rifiuto della società che si può notare soprattutto nelle Ultime Lettere di Jacopo Ortis dove il protagonista profugo dalla sua terra dopo la delusione politica si ritira sui Colli Euganei e scrive una lettera all'amico Lorenzo Alderani “Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia.” Ormai il protagonista ha perso le speranze sia quella del rinnovamento politico in Italia, ma anche quella di conquistare Teresa, la donna da lui amata, che era già promessa sposa di un altro.
Ogni ostacolo che troviamo nel percorso della nostra vita ci aiuta a crescere. Nella vita non giungiamo mai ad una vera e propria destinazione perchè ogni giorno c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Alla fine la vita dell'uomo finisce con un distacco dalla vita terrena, cioè la morte.


martedì 2 novembre 2010

saggio breve " Dei sepolcri"


INSERITE I VOSTRI SAGGI
Concetta Russo
Riflessione sul carme dei Sepolcri di Ugo Foscolo
Destinazione editoriale: rivista letteraria
Ugo Foscolo per il carme “Dei Sepolcri” si ispirò al dibattito che c’era stato nel 1806 con il poeta e amico Ippolito Pindemonte sul problema delle sepolture: Foscolo al contrario dell’amico negava l’importanza della sepoltura sulla base di una prospettiva materialistica. Questo dibattito era nato dopo l’emanazione in Francia dell’editto di Saint-Cloud che imponeva la sepoltura fuori dalle mura cittadine in cimiteri pubblici. Il carme Dei Sepolcri fu pubblicato nel 1807. È formato da 295 endecasillabi sciolti e si presenta in forma di epistola indirizzata a Pindemonte. Quest’opera è divisa nematicamente in quattro parti. Nella prima parte emerge la visione materialistica di Foscolo. Secondo lui la sepoltura non ha nessun valore in quanto non può in alcun modo riscattare la perdita della vita. La funzione del sepolcro è quella di rappresentare il luogo dove i parenti ricordano il defunto. Nella seconda parte il sepolcro assume i valori nei quali si riconosce l’intera comunità che trova nella tomba uno strumento per trasmettersi nel tempo. Nella terza parte Foscolo paragona la chiesa di Santa Croce di Firenze ad un tempio dove sono conservati i resti di molti personaggi illustri del passato come Machiavelli, Michelangelo e Galilei. Nell’ ultima parte del carme vi è una riflessione sul significato della morte nella civiltà classica. La morte secondo Foscolo è dispensatrice di giustizia e amplifica la virtù dei forti, però essi per essere ricordato in eterno non gli basta soltanto la tomba ma è ne necessaria la poesia, che con la sua armonia vince il tempo. Sull’opera Dei Sepolcri si è molto dibattuto e gli studiosi non tutti concordano sul significato. Alcuni, come G. Ferrari, affermano che il carme sembra lontano da noi, è invecchiato e che oggi attrae meno. Altri invece, come P. Cataldi, affermano che sono pochi i testi letterari che sono attuali quanto i Sepolcri foscoliani. Un’opera fonte d’ispirazione per i Sepolcri è la scultura marmorea “Monumento Funebre” dedicato a Maria Cristina d’Austria realizzato da Antonio Canova.

STEFANO CONTI NIBALI
L’illusione della morte.  Destinazione editoriale: giornalino scolastico. I sepolcri sono un esempio di politica civile. Foscolo si dedicò alla stesura di quest’opera dopo un dibattito con Piendemonte, a proposito dell’editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone nel 1804. Questo editto impone la sepoltura dei cadaveri umani, fuori dalle mura della città, sia per motivi igienici, sia per un ideale di egualitarismo. L’opera si apre con due domande, che dicono in sostanza la stessa cosa: se la sepoltura, con i suoi riti, può ripagare la perdita di un uomo. Dalla risposta di Foscolo si percepisce la sua visione materialistica che nega ogni validità alla sepoltura. Nella prima parte dell’opera Foscolo non è d’accordo con la legge emanata da Napoleone. A tale proposito Foscolo ricorda il caso di Giuseppe Parini, il quale, sepolto senza onore, giace vicino a comuni malfattori. Nella seconda parte del carme, il sepolcro assume un valore ancora più alto, non solo gli affetti familiari, ma i valori nei quali si riconosce l’intera comunità trovano nella tomba uno strumento per trasmettersi nel tempo. Foscolo accusa la Chiesa cattolica di aver alimentato la superstizione, di aver diffuso paure ingiustificate e di rappresentare una forma di potere autoritario che avvilisce la virtù individuale e tiene gli uomini prigionieri dell’ignoranza. Nella terza parte, Foscolo celebra la chiesa di Santa Croce a Firenze, paragonandola a un tempio dove sono custoditi i resti dei personaggi illustri del passato. Nell’ultima parte l’autore crede che soltanto grazie ai poemi, e quindi grazie alla memoria, l’autore continui a vivere in eterno. Per Foscolo la civiltà coincide con la memoria. Negata materialisticamente la sopravvivenza dell’anima alla morte dei corpi, Foscolo riscatta la condizione umana servendosi dei suoi valori storici, cioè fondando nella storia la relativa immortalità della memoria, il suo sopravvivere alla distruzione materiale. Durante il neoclassicismo era presente la tendenza della poesia sepolcrale, infatti, Canova si ispira ai sepolcri nel realizzare il Monumento funebre di Maria Cristina d’Austria.
ROSARIO BONACCORSI
EDITRICE:PROSPEKTIVA Il carme " DEI SEPOLCRI " una delle principali sensazioni ed emozioni di Foscolo Intorno alla metà del '800 Foscolo si dedicò,alla stesura di un'opera molto importante."Il CARME DEI SEPOLCRI",un epistola in versi destinata al pindemonte,sugli argomenti indirizzati insieme a lui dalla Teotochi Albrizzi a Venezia.Il carme procede per episodi,il poeta disarticola la struttura logica con tematiche fantasiose e amorose.L'autore in poco meno di trecento versi,concentra i suoi sentimenti,le sue passioni,sensazioni,immaginazioni, con la stessa concetrazione di affetti e di tesi che aveva sostenuto nei sonetti e che da al suo stile un impronta originale.Un tema molto importante affrontato da Foscolo nell'opera è la posizione che assume nei confronti dei "Cimiteri medievali".Secondo Foscolo,è proibito seppellire i cadaveri umani in altri luoghi che non siano i Cimiteri,perchè questi saranno necessariamente collocati fuori dal centro abitato.Una riflessione molto importante,in occasione dell'Editto di Saint-Cloud,(emanato in Francia).Il cimitero diventa il luogo dove i parenti,cercano il ricordo dell'estinto e ne perpetuano la memoria,alimentando in questa forma la loro soppravivenza.Solo chi muore senza lasciare un'eredità di affetti,non trae giovamento dalla tomba che diventa così disperazione di riconoscimenti per chi ha ben vissuto.Foscolo considera i sepolcri politicamente,il suo scopo è quello di "animare",l'emulazione politica degli italiani,facendo riferimento alle varie nazioni che onorano,gli uomini importanti che hanno compiuto del "bene" per il paese(in ambito civile,politico,militare e letterario)ricordandone la memoria.E una poesia molto importante,che in alcuni frangenti rischia di apparire troppo "voluta",nella sua esaltazione dei valori sublimi,sembra quasi una celebrazione,ma quest'aspetto viene reso vano dall' esaltazione dei valori che essa esprime,cosi sembrano provenire da una "voce solitaria".Tra fine '800 e inizio '900' dell'opera vengono analizzati aspetti retorici e nazionalistici dettati dallo stile.Infatti ai giorni nostri l'opera più importante di Foscolo viene indicata come "vecchia" e irrecuperabile alla sensibilità contemporanea sono pochi i testi della storia letteraria amati come i sepolcri e sopratutto in grado di partecipare al nostro presente e alle nostre problematiche.Foscolo riscatta la condizione umana servendosi dei valori stoici,cioè fondando lo studio dell'uomo sulla storia  
YVONNE SGROI
Destinazione editoriale: I SEPOLCRI NEL SETTECENTO Il tema del sepolcro era comune nella letteratura europea del Settecento. Il gusto per la poesia cimiteriale partì dall’Inghilterra, dove l’esponente più importante fu Thomas Gray. In Italia, invece, ritroviamo Ugo Foscolo, con “I Sepolcri”. Quella di Foscolo non era una poesia consolatoria, ma una poesia politica. L’importanza dei sepolti, per il poeta, è quella di una sopravvivenza ideale, infatti, tramite essi, i vivi ricordano i defunti. Dal punto di vista materialistico, l’idea della sopravvivenza è solo un’illusione. Un esempio di monumento funebre ci è dato da Antonio Canova, con il “monumento di Vittorio Alfieri”. Questo monumento ci dà l’esempio di sfarzo e ci fa comprendere l’importanza che i vivi danno al ricordo materiale dei morti. L’editto di Saint-Cloud è basato sul rifiuto del materialismo e i morti devono essere seppelliti nei cimiteri fuori dai centri abitati. Sull’importanza dei sepolcri si ebbero varie opinioni, tra cui quelle di Young e di Hervey. Secondo quest’ultimi, i sepolcri, hanno per scopo quello di persuadere l’oscurità della vita e la tranquillità della morte, per cui basta un cimitero campestre. Infine, per Foscolo, i sepolcri sono considerati politicamente in quanto onorano la memoria dei grandi uomini. Pochi testi della letteratura italiana sono attuali quanto “I Sepolcri” di Foscolo: la civiltà coincide con la memoria; egli nega materialisticamente la sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo e l’immortalità della memoria dipende dal sopravvivere alla distruzione materiale e la durata del tempo è assicurata solo a quegli uomini ritenuti degni di posteri. Perciò la civiltà è memoria storica eticamente connotata e per il poeta questa visione rende la sua concezione laica superiore a quella religiosa, in quanto garantisce la sopravvivenza dell’anima a tutti.
Anonimo
MARIANGELA LEOTTA 
Titolo: L'ESISTENZA DELLA MORTE NON FINIRA' MAI. Destinazione editoriale: PROSPEKTIVA. "La civiltà coincide per Foscolo con la memoria . Negata materialisticamente la sopravvivenza dell'anima alla morte dei corpo";come disse Cataldi critico letterario , i testi della nostra storia letteraria come i Sepolcri foscoliani sono attuali e partecipano al nostro presente e alle problematiche odierne. Foscolo visse fra il 700-800 un periodo di passaggio dall'Illuminismo al Neoclassicismo fino al Romanticismo età di tendenze varie e di contraddizioni ,dove la crisi del senso della storia ,le polemiche attorno al valore del passato e della morte sono validi fino ai giorni nostri. " è proibito seppellire i cadaveri umani in altri luoghi che nei cimiteri. questi saranno necessariamente collocati fuori dall'abitato dei comuni " dall'Editto di Saint-Cloud, Ugo Foscolo dopo l'emanazione in Francia prende spunto oer la composizione del carme Dei Sepolcri. Non è poesia consolatoria ,ma politica e civile.Parla dei morti ma guarda ai vivi e la riflessione sulla tomba ,vi rappresenta il modo tematico che tiene unito i vari aspetti del pensiero foscoliano. Solo chi muore senza lasciare un eredità di affetti non trae giovimento dalla tomba,che diventa così dispensatrice di riconoscimenti per chi ha ben vissuto;quindi il sepolcro assume non soltanto rilevanza non solo per glòi affetti familiari,ma per i valori nei quali si ricosce l'intera comunità nella tomba uno strumento per trasmettersi nel tempo.
                            SALVA' BABALACCHIO ANTONELLA
Il valore civile della poesia
Rivista :   la storia d'Italia
I sepolcri sono un esempio chiaro di poesia civile, non solo perchè affrontano argomenti di carattere politico, ma anche perchè si presentano come un testo che si propone di affermare principi e di farli condividere al lettore. L'argomento era venuto alla ribalta in seguito all'emanazione in Francia dell'editto di Saint-Cloud, che imponeva senza eccezioni la sepoltura in cimiteri pubblici fuori dalle mura cittadine e regolamentava le iscrizioni sepolcrali, sia per motivi igenici, sia per un ideale egualitarismo. Ciò viene sottolineato da F.Gavazzeni nell'opera Editto di Saint-Cloud. Se ritorniamo indietro nella le prime teorizzazioni egualitarie presero le mosse con l'individualismo cristiano: tutti gli uomini sono creature di Dio, uguali di fronte al creatore. Il pensiero cristiano rielaborò, con una validità erga omnes (ossia verso tutti), alcuni princìpi egualitari contenuti nella legislazione ateniese periclea e del diritto romano, mantenendo però separata la sfera terrena da quella spirituale. Foscolo, che pur condivideva molti aspetti dei presupposti culturali dai quali nascevano simili provvedimenti, ne rifiutava però l'effetto di omologazione che ricadeva sui defunti e sui valori del passato riconoscibili in essi. Un paragone può essere fatto anche con la società odierna perchè essa nel corso di millenni ha mutato completamente questa prospettiva tanto che oggi non solo non si ha rispetto verso l'egualitarismo dei morti, ma neanche dei vivi. I valori politici è sociali sfociano in uno scontro è in un sopraffarsi che supera ogni forma di egualismo. 
 
                                                              SONIA MARINO   " Dei Sepolcri" Destinazione:Prospektiva L’editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone in Francia e poi esteso in Italia imponeva la sepoltura in cimiteri pubblici fuori dalla mura cittadine e regolava le iscrizioni sepolcrali per motivi igenici e per uguaglianza ,forse Foscolo stimolato da ciò scrisse un’epistola in versi a Pindemonte, con il quale aveva avuto già una discussione in merito alle sepolture.A differenza di altre opere quest’opera non fu rivisionata,ma pubblicata a Brescia nel 1807 con titolo il carme “Dei Sepolcri”.Il carme è diviso in quattro parti .Nella prima parte Foscolo espone il suo punto di vista materialistico in cui considera la sepoltura non valida in quanto non può riscattare la perdita della vita, inoltre egli dice che la funzione del Sepolcro varia in rapporto alla dimensione sociale dell’uomo e che diventa luogo dove i parenti curano il ricordo e la memoria del defunto .Chi invece non lascia eredità in affetti non trae giovamento della tomba e quindi non trova giusta la legge che allontanava i cimiteri dai centri abitati e imponeva l’omologazione delle iscrizioni nelle lapidi .A ciò Foscolo ricorda Parini morto senza onori che forse sepolto vicino ai malfattori .La seconda parte del carme invece espone non piùi valori affettivi ma i valori nei quali si riconosce l’intera comunità trovano nella tomba uno strumento per trasmettersi nel tempo , in ciò gli antichi ne erano ben consapevoli in quanto curavano il culto dei morti. Inoltre Foscolo rifiuta il modello dato dalla Tradizione Cristiana medievale e invece esalta i costumi inglesi per i quali i cimiteri sono simili a un giardino luogo sereno di riflessione sulla virtù dei grandi uomini che resero onore al paese .La terza parte del carme ribadisce il significato civile delle sepolture egli celebra la chiesa Santa Croce a Firenze paragonandola a un tempio dove sono custoditi i resti dei personaggi illustri del passato e dove saranno posti i resti di lui stesso .La quarta parte del carme ovvero l’ultima parte muove una riflessione sul significato della morte nella civiltà classica e afferma che non bastano le tombe per tenere vivo il ricordo perché in quanto materia il tempo li distrugge , ma necessaria la poesia che vinca il tempo grazie alla sua armonia.
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mercoledì 29 settembre 2010


PARADISO CANTO I

martedì 28 settembre 2010

Sabato prossimo Test di verifica



RAGAZZI

Approfondite gli argomenti svolti( Neoclassicismo , Preromanticismo, Sturm und Drang, Ossianesimo, I dolori del giovane Werter , Romanticismo) in vista di un'imminente proposta di lavoro .

Vi consiglio di consultare le pagg. 615-616 del vostro libro di testo!

A domani

la prof


venerdì 17 settembre 2010

SI RICOMINCIA!!!!


Ecco le novità del nuovo anno scolastico 2010/11!

Sono state presentate il 2 settembre scorso e sono state attivate dal Ministero le novità per il corrente anno scolastico.

La più importante è sicuramente l’attuazione della Riforma dell’Istruzione superiore, che ha il fine di ridurre la frammentazione degli indirizzi nei Licei e lanciare l’istruzione tecnica e professionale.

La riforma dei licei prevede la modifica dei quadri orari con la riduzione della durata dei singoli insegnamenti, ma mantiene le materie basilari quali matematica e materie scientifiche per irrobustire la componente scientifica nella preparazione degli studenti.
La riforma prevede inoltre il potenziamento dello studio delle lingue e una materia del 5° anno, probabilmente storia, insegnata in inglese. Sono inoltre stati istituiti due nuovi licei, quello coreutico e quello delle scienze umane.

Sono stati riformati anche gli istituti tecnici e professionali, che non devono più essere considerati come scuole di serie B, ma come percorsi di istruzione validi per fronteggiare la crisi economica, fornendo le competenze per affrontare il mondo del lavoro. Anche nell’istruzione tecnica sono stati eliminati molti indirizzi.

Tra le novità è stato anche fissato il nuovo limite di assenze come condizione per non essere bocciati: da quest’anno non si potranno superare i 50 giorni di assenza.

Per quanto riguarda il tempo pieno, la riforma prevede l’aumento del 3,05% per il biennio 2009-2011 e dall’anno scolastico 2010/2011 le classi a tempo pieno passeranno da 36.493 a 37275.

Inoltre, al fine di incrementare il mondo del lavoro e la scuola, nascono gli Its, nuovi istituti tecnici superiori post secondaria. Nascerà una nuova filiera non universitaria che dura 2 anni e che vede università, scuole e aziende protagoniste della formazione.

Negli ultimi giorni il Ministero ha stabilito i requisiti per la selezione del corpo docente.

Per insegnare nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria sarà necessaria una laurea quinquennale, a numero programmato con prova di accesso che consentirà di conseguire l’abilitazione per la scuola primaria e dell’infanzia; sono state rafforzate le competenze disciplinari e pedagogiche, è aumentata la parte di tirocinio a scuola ed è previsto un apposito percorso laboratoriale per la lingua inglese e le nuove tecnologie; per la prima volta si è data specifica attenzione al problema degli alunni con disabilità, prevedendo che, in tutti i percorsi, ci siano insegnamenti in grado di consentire al docente di avere una preparazione di base sui bisogni speciali.

Per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado sarà necessaria la laurea magistrale unita a un anno di Tirocinio formativo attivo; una rigorosa selezione per l’ingresso alla laurea magistrale a numero programmato, basata sulle necessità del sistema nazionale di istruzione; l’anno di Tirocinio formativo attivo contempla 475 ore di tirocinio a scuola (di cui almeno 75 dedicate alla disabilità) sotto la guida di un insegnante tutor; rispetto al percorso SSIS (Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario), è giusto prendere il meglio di quella esperienza, evitando la ripetizione degli insegnamenti disciplinari, approfonditi già nella laurea e nella laurea magistrale, per concentrarsi sul tirocinio (incrementato), sui laboratori e sulle didattiche.

Il regolamento sulla Formazione dei nuovi docenti, dunque, prevede una programmazione dei numeri in grado di evitare la proliferazione del precariato; focalizza nella formazione iniziale non solo le materie tradizionali, ma l’acquisizione di alcune competenze trasversali: seconda lingua inglese e competenze di didattica attraverso le nuove tecnologie e infine stabilisce una rigorosa selezione del futuro personale docente.

Per quanto riguarda invece la carriera dei docenti il Ministero intende abolire gli scatti di anzianità e sostituirli con un riconoscimento del merito. Afferma infatti il ministro Gelmini:”sono in primo luogo gli insegnanti, secondo alcuni studi il 70%, a chiedere di essere valutati e premiati sui risultati conseguiti e sulla qualità. Dobbiamo superare gli scatti in anzianità, cosa di cui non dobbiamo essere orgogliosi. Non è di un paese civile l’avanzamento di carriera in base al tempo e non al merito. Dobbiamo avere il coraggio di colmare questa lacuna”.

Come quantificare il merito sarà deciso in accordo con i Sindacati, per via contrattuale o legislativa. Ma i criteri non si conoscono ancora, forse nessuno li conosce.




sabato 12 giugno 2010

CONSIGLI PER LE LETTURE ESTIVE!


Cari ragazzi,

qui di seguito alcuni consigli di lettura e buon divertimento!

Jean -Jacques Rousseau “Giulia o La nuova Eloisa”

Italo Svevo “La coscienza di Zeno”

Luigi Pirandello “Uno, nessuno e centomila”

Luigi Pirandello “L'esclusa”

Goethe “Le affinità elettive”

Elsa Morante “La storia”

Giovanni Verga “Mastro don Gesualdo”

Gabriele D'Annunzio “Il Piacere”

Oscar Wilde “iIl ritratto di Dorian Gray”

Alda Merini “La terra santa”

La prof

martedì 18 maggio 2010

CANTIERE DI SCRITTURA XXX CANTO- PURGATORIO

CONCETTA RUSSO

1) Dante appena vede Beatrice sente nel suo cuore lo stesso sentimento che aveva provato al tempo del suo primo incotro con lei, quando egli aveva appena nove anni. E così mentre cerca di rivolgersi verso Virgilio per confidargli la sua emozione si accorge che egli lo ha abbandonato.
2) Beatrice chiede a Dante come mai si sia deciso a salire il monte e come mai abbia cercato altrove la felicità, pur sapendo che solo lì, nel paradiso terrestre, l’uomo può essere felice. Dante abbassa gli occhi e a posto suo rispondono gli angeli intonando un salmo. Beatrice rivolgendosi agli angeli muove a Dante l’accusa di essersi lasciato traviare nella sua giovinezza e di essersi abbandonato al peccato, pur essendo dotato di una felice disposizione al bene.
3) I ventiquattro seniori rappresentano la verità presente nei ventiquattro libri del Vecchio Testamento; essi si rivolgono al carro che simboleggia la Chiesa, invece il grifone simboleggia Cristo. Uno dei seniori si rivolge per tre volte a Beatrice con l’invocazione “veni, sponsa, de Libano” cioè “ vieni, sposa, dal Libano”. È un verso tratto dal Cantico dei Cantici.
4) Le similitudini presenti sono: vv79-80 l’atteggiamento duro di Beatrice nei confronti di Dante caduto nel peccato è paragonato a quello di una madre che nasconde il suo affetto, rimproverando il figlio; vv 85-90 al canto degli angeli, il gelo del cuore del poeta si sciolse come la neve si scioglie al soffiare dei venti del sud.
5) L’apparizione di Beatrice ricorda il ritorno di Cristo nel giorno del Giudizio universale.

ANTONELLA SALVA'

Sera prof.ssa,
Mentre tutti i personaggi del corteo si volgono verso il carro, uno dei ventiquattro seniori ripete per tre volte, cantando, le parole « Veni, sponsa de Libano », subito seguito da tutti gli altri: è invocata, in questo momento, la presenza di Beatrice. Immediatamente dopo compare sul carro un gruppo di angeli, che pronuncian le parole: « Benedictus qui venis! » e gettano ovunque fiori, dicendo: « Manibus, oh, date lilia plenis! » . All'improvviso, in mezzo a questa nuvola di fiori, vestita di rosso, coperta di un manto verde, con il capo circondato da un velo bianco, che è sostenuto da una ghirlanda di ulivo, appare Beatrice. Davanti a lei, benché siano passati dieci anni dalla sua morte Dante sente, con la stessa intensità di un tempo, la forza dell'amore. Per rivelare questo momento di smarrimento si volge verso Virgilio, accorgendosi solo ora che il maestro lo ha lasciato: nessuna bellezza del paradiso terrestre può allora impedire al Poeta di dare libero sfogo al suo dolore attraverso il pianto. Ma Beatrice lo richiama, lo esorta a conservare le sue lagrime per una sofferenza più profonda, che fra poco egli proverà. L'atteggiamento della donna è fiero e regale, e le sue parole severe provocano nel pellegrino un penoso senso di vergogna e di abbattimento, dal quale sembra riscuotersi allorché gli angeli intervengono in suo aiuto di fronte a Beatrice. Ma ella dichiara che il dolore del pentimento deve essere pari alla gravità delle pene commesse, poiché - continua - Dante, pur essendo dotato di ogni più felice disposizione al bene, si lasciò traviare nella sua giovinezza, abbandonandosi al peccato. Infatti, finché visse Beatrice, la presenza della donna amata gli fu guida sufficiente sulla strada del bene, ma dopo la sua morte egli si incamminò per via non vera e a nulla valsero i tentativi da lei compiuti per ricondurlo sul retto cammino. L'unico rimedio efficace consisteva nell'ispirargli orrore per il peccato, mostrandogli tutte le brutture e le sofferenze dell'inferno: per questo Beatrice stessa discese nel limbo per chiedere l'aiuto di Virgilio in questa impresa.
Infine voglio sottolineare come l'incontro di Beatrice con Dante è introdotto da un ricco svolgimento per metafore e similitudini: quella che si incentra su una nuova considerazione del bello arnese, analiticamente descritto nel canto precedente, quella che prospetta in una luce di gloria, dalla quale ogni angoscia per la sentenza divina è assente, la risurrezione dei corpi, quella, distesa in modulazioni di più agevole pittura, nella quale è riproposto il cromatismo simbolico della processione della Chiesa, e che istituisce un parallelismo fra temperanza di vapori e nuvola di fiori, adombrante un analogo parallelismo fra il sole e la donna che sta per apparire. L'incontro nell'Eden fra il Poeta e la donna da lui amata in gioventù ha la solennità di una rivelazione con Beatrice, infatti, un piano di significati e mete superiori a quelli che la ragione poteva comprendere o anche soltanto intravvedere, è destinato a svelarsi all'anima peregrinante.

MANILA TROVATO

1)Il canto riprende la descrizione della processione già iniziata nel canto precednete. quando il carro arriva davanti a Dante, la processione si ferma a causa di un tuono, che è chiaramente un segnale divino. uno dei seniori (vecchi) invoca Beatrice, che appare in una nuola di fiori vestita di bianco, rosso e verde,colori che simboleggiano le virtù teologali, con un ramo di ulivo, simbolo della pace. Dante nel rivedere la donna amata, si rivolge verso Virgilio per esternargli l'emozione provata, ma, non lo vede e piange. Egli sentì lo stesso sentimento che aveva provato in passata quando aveva nove anni.

2)Dall'alto del carro la donna celeste rivolge a Dante parole di duro rimprovero perchè aveva osato salire nel paradiso terrestre. Dante scoppia in un pianto disperato e gli angeli che lo circondavano, che rappresentavano la misericordia che viene intorno alla speranza dell'uomo, parlano a posto suo.

3)la processione era formata da ventiquattro seniori, vestiti di bianco con corone di gigli; quattro animali, un carro trainato da un grifone. la simbologia di questi elementi è la seguente: i ventiquattro seniori rappresentano i ventiquattro libri del Vecchio Testamento, il bianco delle vesti e i gigli rappresentano la purezza della fede, i quattro animali rappresentano i quattro vangeli, il carro la Chiesa e il grifone Gesù Cristo.

4) Nei versetti 79-80 è presente una breve, ma molto efficace similitudine, in cui l'atteggiamento apparentemente duro di Beatrice nei confronti di Dante caduto nel peccato è paragonato a quello di una madre che nasconde il suo affetto, rimproverando il figlio. in questo caso la similitudine non presenta una funzione poetica, ma è uno strumento molto efficace di penetrazione psicologica.

5)Beatrice, come in vita, fu simbolo della beatificazione, ora è fede, teologia e sapienza. inoltre la sua discesa evoca il ritorno di Cristo nel giorno del Giudizio Universale.

MARIANGELA LEOTTA


1)È un momento cruciale e solenne dell’intera vicenda. L’incontro con Beatrice porta a compimento la principale tensione narrativa che ha sostenuto Dante nel viaggio fin dal secondo canto dell’inferno, e segna il passaggio dell’esperienza ancora terrena dei primi due regni dell’oltretomba a quella delle sublimi verità celesti. Il senso di questo scarto ideologico è marcato fortemente da un altro fondamentale elemento di struttura = la scomparsa di Virgilio e il sopravvenirgli di Beatrice come guida di Dante per la definitiva purificazione e per l’ascesa al Paradiso . L’episodio dell’incontro con Beatrice, che nella sua prima fase occupa questo intero canto concentra su di se tutti i motivi della sequenza = l’allegorico, l’autobiografico , il morale.
2) Chiamandolo per nome , Beatrice ammonisce severamente il poeta. Il suo pianto, infatti dovrà presto essere più amaro, per più grave motivo . Beatrice gli chiede come abbia osato salire fino al monte con un tono così totalmente aspro che Dante dalla vergogna abbassa lo sguardo. Gli angeli intanto , intonano un canto, che risuona nell’animo di Dante come un attestato di compassione, e le lacrime , che sembravano essersi impietosite sotto le palpebre ,sgorgano copiose.
3) La processione si ferma davanti a Dante e i ventiquattro anziani si volgono verso il carro come al fine ultimo dei loro desideri. Uno di essi intona per tre volte un canto di invocazione e tutti gli altri seniori ripetono le stesse parole , tratte dal Cantico dei Cantici che secondo la tradizione è Salomone.
4) La prima similitudine la troviamo al vv 22-24 è ricca di significati simbolici. Il sorgere del sole è infatti usato nella Scrittura per indicare l’avvento di Cristo. Versetto 44=il tono affettuoso e familiare , è rivolta al dolcissimo padre Virgilio, che lo aveva accompagnato amorevolmente fin qui. Versetto 58= sottolinea il compito di Beatrice come guida e giudice imperioso e reale.. versetto 85-90 troviamo l’ultima similitudine molto lunga che si ripercuote in quella della candela , riflettendo l’uso dantesco di risolvere la similitudine in un’altra , tecnica retorica .
5)Il primo valore simbolico di Beatrice è quello di immagine di Cristo nel giorno del giudizio universale confermato tutto ciò da delle citazioni evangelisti che. Il secondo significato allegorico di Beatrice è quello di personificazione della Teologia che si fa tramite fra l’uomo e Dio.









lunedì 17 maggio 2010

XXX CANTO - PURGATORIO

Quando il settentrïon del primo cielo,

che né occaso mai seppe né orto
né d'altra nebbia che di colpa velo,

e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come 'l più basso face
qual temon gira per venire a porto,

fermo s'affisse: la gente verace,
venuta prima tra 'l grifone ed esso,
al carro volse sé come a sua pace;

e un di loro, quasi da ciel messo,
'Veni, sponsa, de Libano' cantando
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.

Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,

cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita etterna.

Tutti dicean: 'Benedictus qui venis!',
e fior gittando e di sopra e dintorno,
'Manibus, oh, date lilïa plenis!'.

Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
e l'altro ciel di bel sereno addorno;

e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
l'occhio la sostenea lunga fïata:

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d'uliva
donna m'apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato ch'a la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,

sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
d'antico amor sentì la gran potenza.

Tosto che ne la vista mi percosse
l'alta virtù che già m'avea trafitto
prima ch'io fuor di püerizia fosse,

volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto,

per dicere a Virgilio: 'Men che dramma
di sangue m'è rimaso che non tremi:
conosco i segni de l'antica fiamma'.

Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die'mi;

né quantunque perdeo l'antica matre,
valse a le guance nette di rugiada
che, lagrimando, non tornasser atre.

«Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada».

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far l'incora;

in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessità qui si registra,

vidi la donna che pria m'appario
velata sotto l'angelica festa,
drizzar li occhi ver' me di qua dal rio.

Tutto che 'l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,

regalmente ne l'atto ancor proterva
continüò come colui che dice
e 'l più caldo parlar dietro reserva:

«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d'accedere al monte?
non sapei tu che qui è l'uom felice?».

Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a l'erba,
tanta vergogna mi gravò la fronte.

Così la madre al figlio par superba,
com' ella parve a me; perché d'amaro
sente il sapor de la pietade acerba.

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sùbito 'In te, Domine, speravi';
Grassettoma oltre "pedes meos" non passaro.

Sì come neve tra le vive travi
per lo dosso d'Italia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,

poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
sì che par foco fonder la candela;

così fui sanza lagrime e sospiri
anzi 'l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;

ma poi che 'ntesi ne le dolci tempre
lor compatire a me, par che se detto
avesser: 'Donna, perché sì lo stempre?',

lo gel che m'era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi uscì del petto.

Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole così poscia:

«Voi vigilate ne l'etterno die,
sì che notte né sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;

onde la mia risposta è con più cura
che m'intenda colui che di là piagne,
perché sia colpa e duol d'una misura.

Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,

ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste là non van vicine,

questi fu tal ne la sua vita nova
virtüalmente, ch'ogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.

Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa 'l terren col mal seme e non cólto,
quant' elli ha più di buon vigor terrestro.

Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.

Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.

Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita;

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.

l'impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!

Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.

Per questo visitai l'uscio d'i morti,
e a colui che l'ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti.

Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto

di pentimento che lagrime spanda».


PARAFRASI

COMPRENDERE

1.Qual'è la reazione di Dante alla vista di Beatrice?

2.Quali aspri rimproveri Beatrice rivolge a Dante?

3.Quali sono e da dove provengono le tre citazioni latine dei seniori?

APPROFONDIRE

1.Analizzate le similitudini del canto, approfondendone il significato

2.Spiegate il significato teologico nuovo apertamente dichiarato dell'apparizione

di Beatrice



venerdì 23 aprile 2010

CANTIERE DI SCRITTURA


Mery Pafumi

1.Galileo Galilei, scienziato italiano, afferma che per arrivare a delle certezze assolute, bisogna ricorrere alla matematica. La formalizzazione dell’esperienza, avviene attraverso la matematica che da un lato mette in risalto le proprietà geometriche, dall’altro ne seleziona alcuni contenuti fondamentali. Galileo non ritiene che la spiegazione scientifica comporti un’affermazione vera, ma la considera solo una spiegazione soddisfacente. Galileo dice che se la conoscenza è nulla rispetto alla sapienza divina, rispetto ad una sola legge coincide con quella di Dio, grazie appunto alla matematica e alla fisica. A questo proposito analizziamo un brano: “Tanto inferiore, eppure tanto simile a Dio”, tratto dalla sua opera: “dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo”. Qui vediamo come Galilei, attraverso il personaggio di Salviati, ci fa capire l’importanza del metodo scientifico, che è l’unico che ci garantisce la fondatezza della conoscenza. Introduce l’idea che l’universo sia interamente regolato dalle stesse leggi e formato dalla stessa materia, respingendo il principio aristotelico della divisione fra realtà terrestre e realtà celeste.
2.Pascal, nel testo: “la vertigine degli spazi infiniti”, tratto dalla sua opera: “Pensieri”, si chiede il perché lui si trova in questo mondo, in questa posizione, circondato da questi esseri. L’uomo si vede come sperduto in questo angolo della natura e da quest’angusta prigione dove si trova, cioè l’universo, impari a stimare nel giusto valore la terra, le città e se stesso. A questo punto si chiede: , la risposta è che l’uomo è nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. L’uomo in questa vita è vittima della noia, cioè un uomo pieno di riposo, senza pensieri, senza svaghi ecc ecc. egli quindi sente la sua nullità, il suo abbandono. Pascal dice che l’uomo è una canna leggerissima, ma è una “canna pensante”(a questo proposito si rifà a Cartesio), cioè l’uomo è superiore all’universo perché è consapevole di quello che fa.

ANTONELLA SALVA'


Alla fine della prima giornata, giunta la sera, si profila il rinvio della conversazione all’indomani. In quest’ultima fase vengono invece in primo piano le riflessioni di Sagredo a Salviati riguardo al tema epistemologico della potenza della conoscenza umana. Per Sagredo è segno di presunzione ritenere l’intelletto umano capace di comprendere il modo complessivo in cui opera la natura divina. Viceversa la coscienza dei limiti del sapere umano in rapporto alla vastità della consapevolezza assoluta, sarebbe la caratteristica del vero scienziato. Così si comportava infatti Socrate, che l’oracolo di Delfi qualificava come l’ateniese più sapiente e che tuttavia dichiarava di non sapere nulla. A Simplicio risponde Salviati delineando una distinzione fra «l’intendere intensive» e «l’intendere estensive»: mentre dal punto di vista dell’estensione, della totalità, l’intelletto umano non può eguagliare quella divino, in un campo limitato e intensivo la scienza umana può competere con l’intelligenza divina mediante il metodo matematico e geometrico. L’intelletto degli uomini, benché limitato e parziale, non va disprezzato o considerato incapace di conoscere. Perfino il più semplice degli strumenti dell’intelletto, la scrittura, con i suoi «venti caratterizzi di carta» rivela di possedere una forza immensa, capace di comunicare le idee degli uomini nello spazio e nel tempo. Infatti secondo Galileo l’intelligenza dell’uomo si basa sulla coscienza del limite: la condizione per “sapere qualcosa” è la conquista di un atteggiamento di umiltà. Il concetto, implicito nello svolgimento della Favola dei suoni, è qui esposto esplicitamente da Sagredo ed è sviluppato nelle sue implicazioni polemiche, radicalmente eversive del costume e degli atteggiamenti su cui si basava il sistema della conoscenza tradizionale, fermamente arroccato nella difesa di se stesso. Questo scopo viene tanto fortemente perseguito dal dotto “aristotelico” rappresentato da Simplicio, quanto più omogeneo esso si rivela alla conservazione del “principio d’autorità” riaffermato in teoria e ristabilito in concreto sul piano religioso e politico dalla Controriforma. Il sistema “aristotelico” non ammette in questo momento storico il dubbio e la critica

Non sussiste contraddizione tra l’affermazione dell’oracolo e quella di Socrate, quando si ammetta l’insuperabile relatività e parzialità della conoscenza umana, che può cogliere appieno la «certezza» e la «necessità» soltanto di alcune tra le «infinite proposizioni», che soltanto la natura e Dio (i due termini sono significativamente accostati) comprendono appieno. È proprio questa limitazione che Simplicio non può ammettere, poiché il sistema di pensiero di cui è il rappresentante si propone come perfetto e immutabile. Ma - notano i suoi oppositori – lo stesso pensiero umano si sviluppa necessariamente nel tempo e questa sua qualità, tipica e ineliminabile, fa sì che esso si realizzi inevitabilmente attraverso fasi successive, ciascuna delle quali implica una trasformazione progressiva della situazione. L’operazione conoscitiva è un “processo” che tende all’infinito: la coscienza del limite non solo non annulla la portata dell’intelligenza dell’uomo, ma la determina ed è la condizione della sua validità, limitata ma concreta; anzi pone l’intelligenza dell’uomo tra le «più eccellenti» opere di Dio. Tocca a Sagredo proporre all’ammirazione del lettore la portata delle invenzioni concrete degli uomini, esaltando al di sopra del genio creativo dei grandi artisti (e il riferimento primo va all’arte plastica, scultorea, di Michelangelo), il genio anonimo di chi «si immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo» attraverso «vari accozzamenti di venti caratterizzi sopra una carta». Nella scoperta della forza liberatoria potenziale del più umile degli strumenti pratici di cui dispone ogni intellettuale (cioè di ogni uomo che voglia «comunicare i suoi più reconditi pensieri […] parlare con quelli che son nell’Indie […] parlare con quelli che non sono ancora nati») sta l’indicazione preziosa del fatto che la liberazione dai limiti ferrei, imposti dalla «prosunzione» di chi crede di sapere già tutto, alla piena realizzazione delle potenzialità della mente umana è alla portata di tutti e richiede ben poco per affermarsi in concreto.

Blaise Pascal è un pensatore dalla genialità molto spiccata, comincia a scrivere i primi trattati a soli 11 anni. In seguito ad un incidente del 1654 Pascal si converte, e abbandona il mondo fino ad allora conosciuto per ritirarsi a Port-Royal des Champs. Dove prima difenderà i giansenisti poi si dedica alla stesura di una sorte di "Apologia Cristiana"
Secondo Pascal esiste un solo problema a cui l'uomo può dedicarsi : quello dell'esistenza, è l'unico problema che l'uomo deve tentare di risolvere, egli cercherà di capire qual sia l'esistenza più giusta....Egli dirà che la vita quotidiana e le tante occupazioni fanno calare l'uomo nel divertissement ovvero in uno stato di oblio e stordimento di sé, che principalmente si basa sul fatto che le persone preferiscono non pensare ai problemi che non riescono a risolvere e da cui lo stordimento e l'oblio come fuga dal sé e dai propri problemi.
Al concetto di Divertissement si lega quello di ennui ovvero di noia. analizzando la vita umana Pascal dice che i pensieri degli uomini i occupano del passato del futro e mai del presente, la nostra vita è solo proiettata verso il futuro. Il divertissement quindi non è fonte di gioia per questo Pascal propone all'uomo di accettare e affrontare la propria condizione: l'uomo di Pascal nasce per “pensare“la sua dignità sta proprio in questo.
Importante per Pascal è la morale e la conoscenza di essa tanto che egli stesso dirà "la scienza delle cose esteriori non varrà a consolarmi dell’ignoranza della morale; ma la conoscenza della morale mi consolerà sempre dall’ignoranza del mondo esteriore", i problemi esistenziali non sono quindi comprensibili con la scienza. Scienza e divertissement non sono in grado di risolvere i problemi dell'uomo.

GIADA GIUFFRIDA


1- Galilei esprime una grande fiducia nella ragione umana, che appartiene a tutti e non conosce gerarchie, e che può comprendere interamente la natura nella complessità dei suoi fenomeni.
Nel Dialogo è Segredo il personaggio che meglio rappresenta questa sua convinzione.
In chiusura della prima giornata
Salviati, sulla scorta delle affermazioni di Sagredo, si lancia in un vero e proprio elogio della ragione umana, che egli considera della stessa purezza di quella divina, anche se non può averne l'infinita estensione, ma coincide con quella di Dio perchè può giungere a decifrare quel grandissimo libro dell'universo con il linguaggio fatto di numeri, cerchi e altre figure geometriche.
In questa pagina del Dialogo Galilei, attraverso il personaggio di Salviati, spiega l'importanza di delimitare il campo d'indagine della ricerca scientifica. Quando egli parla del modo intensive si riferisce al metodo sperimentale, che è l'unico per lui a garantire la fondatezza della conoscenza scientifica.
Per gli aristotelici la conoscenza doveva muovere da deduzioni sui principi generali del sapere, già delineati nei testi della tradizione. Questi costituiscono una cornice entro la quale si collocano le elaborazioni successive e che, quindi, delimita il dibattito scientifico. La posizione di Galilei al contrario presuppone la conoscenza come acquisizione progressiva e tendenzialmente senza fine. Non c'è nessuna cornice che fissi i principi fondamentali, ma ogni singola scoperta rivela in tutta chiarezza uno degli infiniti particolari della natura, così come è stato determinato dalla ragione divina.
Perciò l'intervento di Salvati assume l'aspetto di un vero e proprio elogio della ragione umana, che culmina nell'affermazione "quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina".

2- L'individuo non ha la facoltà di comprendere il significato della vita e dell'universo, nonchè quello della sua stessa presenza nel mondo. Un abisso incolmabile separa l'infinità di Dio, isolato nella sua altezza, dalla finitezza dell'uomo, che è prigioniero del tempo e dello spazio. L'uomo non è assolutamente in grado di contribuire alla propria salvezza, dato che la fede e la grazia sono concesse da Dio in modo gratuito, per motivi che la ragione stessa non può comprendere.Pascal, allontanandosi, dall'ottimismo umanistico, è convinto che l'uomo non abbia niente di cui vantarsi. Anzi dovunque indirizza la sua attenzione trova conferme della propria miseria. Anche il motivo della centralità nell'universo è volto in negativo: posto fra l'infinitamente grande (il cosmo) e l'infinitamente piccolo (la realtà microscopica), egli appare come un'esilissima presenza sull'orlo di due abissi. Eppure, su questa assoluta debolezza si fonda l'unica possibilità di riscatto: egli può pensare e prendere coscienza della propria nullità. La ragione che per Galilei era strumento divino e consentiva la conoscenza dei segreti della natura, diventa per Pascal un'arma vincente solo nel momento in cui comprende e riconosce la sua impotenza dinanzi al mistero dell'universo e che il dominio della scienza sia ristretto alla risoluzione di problemi tecnici che non conducono l'uomo a una maggiore serenità.Pascal abbandona gli studi scientifici ai quali si era dedicato con straordinari risultati, convinto che essi non fossero in grado di fornirgli risposte sul senso dell'esistenza, e si ritira nell'abbazia di Port-Royal, vicino Versailles.

YVONNE SGROI
1. Galilei dà molta fiducia all’intelligenza umana e afferma che per raggiungere le certezze assolute bisogna usufruire della matematica. Infatti la formazione dell’esperienza avviene attraverso questa, che mette in risalto le proprietà geometriche e ne seleziona alcuni contenuti fondamentali. Secondo Galilei però la spiegazione scientifica non dà un’affermazione vera ma solo una spiegazione. Nella sua opera “Dialoghi sopra i due massimi sistemi del mondo”, vediamo come Galilei, attraverso il personaggio di Salviati, mette in risalto l’importanza del metodo scientifico, unico garante della vera conoscenza.

2. nel testo “La vertigine degli spazi infiniti”, tratto da “Pensieri”, Pascal si domanda il perché della sua esistenza in questo mondo, in questa precisa posizione, circondato da queste persone. In questo testo l’uomo si perde in quest’angolo di natura (l’universo) e si pone anche una risposta, cioè che l’uomo rispetto all’infinito non è nulla e in questa vita, caratterizzata da noie e che porta all’uomo ad essere privo di pensieri fa sentire il peso di questa sua nullità. Però l’uomo, in confronto all’universo, è superiore, secondo Pascal, perché sa cosa fa.

giovedì 22 aprile 2010

GALILEO E PASCAL




GALILEI aveva difeso fino in fondo la fiducia nella ragione e aveva ritenuto che la scienza potesse aiutare l'uomo a liberarsi dalle angosce della vita.


Al contrario PASCAL giunge a ritenere che l'atto supremo della ragione sia riconoscere la propria impotenza dinanzi al mistero dell'universo e che il dominio della scienza sia ristretto alla risoluzione dei problemi tecnici che non conducono l'uomo a una maggiore serenità.

INTERPRETARE


1.Spiegate con parole vostre , ma ricorrendo a precisi riferimenti al testo,quale rapporto Galilei stabilisce fra intelligenza umana e quella divina. (Testo di riferimento pag. 174)

2.Riflettete sul concetto della ragione così come emerge da" Pensieri "di Pascal e cercate di spiegare con parole vostre, ma ricorrendo a precisi riferimenti al testo,per quali motivi e in quali termini Pascal perse interesse per la scienza.( testo di riferimento pag 184)

martedì 13 aprile 2010

CANTIERE DI SCRITTURA DANTESCA (XXIII CANTO PURGATORIO)


GIADA GIUFFRIDA

1) Le anime dei golosi sono terribilmente macilente,la pelle prende forma dalle ossa,le occhiaie sono vuote e buie, pallida la faccia :un corteo di spettri,di affamati,quali a volte emergevano nel paesaggio cittadino dopo un lungo assedio o in seguito a spaventevoli carestie. Sono i golosi: furono stimolati freneticamente da un'insaziabile fame e sete, sono ora puniti nella gola:soffrono atrocemente la fame e sete,ridestate in loro dalla vista di frutte e acque, però intoccabili.

2)Forese vuol sapere dall'amico come,vivo, faccia il viaggio nell'aldilà. Dante invece di rispondere alla domanda chiede il motivo della sua magrezza.

3)Nelle sue parole, Forese esprime la più violenta invettiva dantesca contro i malcostumi sfacciati e impudichi delle donne di firenze. non è un omaggio alla retorica della letteratura misogina, ma un ulteriore aspetto della polemica contro Firenze ed il suo popolo.


SANDRO DEL POPOLO

1)La pena dei golosi doveva consistere nel soffrire la fame e la sete guardando frutta e acque. Così il loro desiderio non poteva essere soddisfatto. Ma ciò era un tormento sano in quanto li conduceva alla beatitudine

2)Forese chiede a Dante come mai, essendo un'anima viva si trovi nel purgatorio.Dante risponde a sua volta con un'altra domanda. Egli chiede la causa della magrezza sua e delle anime che si trovano con lui.

3)Forese Donati con le sue parole esprime una violenta invettiva contro le donne fiorentine. Di esse egli critica i malcostumi e la mancanza di pudore. Ciò è una ulteriore critica nei confronti di Firenze e il suo popolo

FRANCESCA AUDITORE

1)I golosi poichè in vita si diedero ai piaceri di gola, ora sono costretti a soffrire fame e sete e sono magrissimi

2)Forese chiede a Dante come mai,ancora vivo, sia nel purgatorio.Dante invece di dare risposta alla domanda chiede il motivo della sua magrezza e il perchè della condizione di quelle anime.

3)Forese accusa le donne fiorentine del gesto fatto una volta rimaste vedove(come per esempio il risposarsi),venendo meno alla fedeltà e alla memoria dei mariti.


ANTONELLA SALVA'

I golosi soffrono fame e sete sotto alberi carichi di frutti e presso chiare sorgenti, cantando preghiere. Essi furono stimolati freneticamente da un’insaziabile fame e sete, sono ora puniti nella gola.

Forese Donati vorrebbe sapere l’identità delle ombre che lo accompagnano Dante.Quest’ultimo però, prima di rispondergli, vuole a sua volta sapere i motivi di tanta magrezza e Forese spiega allora che nell’acqua e nei frutti vi è una virtù misteriosa, che rende estremamente magri, deboli e squamosi.Dante chiede ancora a Forese, morto da soli cinque anni, come mai non si trovi ancora nell’Antipurgatorio, essendosi pentito alla fine della sua esistenza ed egli risponde che le preghiere devote della moglie Nella gli consentirono di abbreviare la sua attesa.

Forese Donati con le sue parole esprime una violenta contro le donne fiorentine. Di esse egli critica i malcostumi e la mancanza di pudore.






lunedì 12 aprile 2010

CANTO XXIII PURGATORIO

"...CHI SON QUELLE
DUE ANIME CHE LA' TI FANNO SCORTA;
NON RIMANER CHE TU NON MI FAVELLE!"

Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava ïo sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,

lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto
più utilmente compartir si vuole».

Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che l'andar mi facean di nullo costo.

Ed ecco piangere e cantar s'udìe
'Labïa mëa, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturìe.

«O dolce padre, che è quel ch'i' odo?»,
comincia' io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo».

Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,

così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da l'ossa la pelle s'informava.

Non credo che così a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n'ebbe tema.

Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!'.

Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.

Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
sì governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?

Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,

ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia m'è questa?».

Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che l'aspetto in sé avea conquiso.

Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.

«Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch'io abbia;

ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!».

«La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos' io lui, «veggendola sì torta.

Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr' io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien d'altra voglia».

Ed elli a me: «De l'etterno consiglio
cade vertù ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro, ond' io sì m'assottiglio.

Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifà santa.

Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.

E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,

ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire 'Elì',
quando ne liberò con la sua vena».

E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu' anni non son vòlti infino a qui.

Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,

come se' tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto,
dove tempo per tempo si ristora».

Ond' elli a me: «Sì tosto m'ha condotto
a ber lo dolce assenzo d'i martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto.

Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri.

Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta;

ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov' io la lasciai.

O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'è già nel cospetto,
cui non sarà quest' ora molto antica,

nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto.

Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?

Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte;

ché, se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.

Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove 'l sol veli».

Per ch'io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.

Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr' ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui»,

e 'l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda.

Indi m'han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti.

Tanto dice di farmi sua compagna
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.

Virgilio è questi che così mi dice»,
e addita'lo; «e quest' altro è quell' ombra
per cuï scosse dianzi ogne pendice

lo vostro regno, che da sé lo sgombra».

PARAFRASI

1.Descrivi la pena dei golosi(VV16-36)

2.Cosa chiede Forese a Dante, dopo essersi rivelato, e cosa gli risponde il poeta?(vv.49-60)

3.Quali accuse Forese muove alle donne fiorentine?(vv.91-114)

APPROFONDIRE

1.Il Purgatorio è la cantica in cui è più presente il tema dell'amicizia: approfondiscilo, confrontando l'episodio di Forese con quello di Casella nel canto II.

2.Nei canti V,VIII e XXIII del Purgatorio, Dante presenta tre figure di vedove:confrontale.

martedì 23 marzo 2010

CATASTROFI NATURALI

RAGAZZI

In un volumetto di Rudolf Steiner (ed. Archiati Verlag) intitolato “Catastrofi Naturali”sono raccolte due conferenze tenute da questo gigante dello spirito a Dornach (Svizzera) . Il tema è ovviamente l’agire della moralità umana sulla natura.

Eccone un breve passo:

«Quando sono state create le cause di queste catastrofi di natura? – Nel corso degli orrori e delle atrocità delle guerre, a causa delle efferatezze sorte con l’evoluzione ed il progresso dell’umanità.»

Cosa ne pensate?

A mio avviso,il degrado ambientale ha una dimensione globale e credo che le soluzioni dovrebbero essere pensate e realizzate su scala locale , ma la società civile nei Paesi ricchi è chiamata per prima ad assumersi la responsabilità di questi problemi.Credo però che non tutti i mali vengono per nuocere …a tutti.il quadro proccupante che gli esperti dipingono circa il futuro pianeta,, in cui spiccano minacciose le deleterie conseguenze dell 'effetto serra, induce molte aziende statunitensi ed europee a cavalcare l’emergenza ambientale, avendo esse scoperto che investendo sull’ecologia possono aumentare i loro profitti.Come la mettiamo?

Antonella Salvà

Salve prof

Argomento molto attuale!

Le catastrofi naturali non hanno né tempo né luogo, anche se come al solito, si cerca sempre il capro espiatorio. I governi fanno scelte dietro interessi economici da che mondo è mondo. Invito a riflettere tutti, anzi a farvi una passeggiata su tutto il Siracusano, luogo di raffinerie .....Respirate l’aria e chiedetevi : Di chi è la colpa?