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venerdì 15 aprile 2011

Una vita alla ricerca del "nido"


PASCOLI E' UNO DI QUEI POETI CHE HANNO RIVERSATO INTERA LA PROPRIA AUTOBIOGRAFIA NELLA POESIA. 

Pascoli incarna la tendenza intimistica del Decadentismo in Italia per la sua personalità schiva e riservata , per la sua vita consacrata esclusivamente alla letteratura e agli affetti familiari, per le tematiche predilette dalla sua poesia. La figura di Pascoli sembra costituire un'antitesi al tipo di intellettuale inquieto e trasgressivo,artista maledetto, dandy o eroe decadente che domina in questo periodo. Tuttavia , entrambi gli atteggiamenti nascono da un fondo comune, e cioè dal disagio nei confronti della cultura e della società del proprio tempo.
In Pascoli, in particolare, si rispecchia la crisi della cultura positivistica, della quale egli non condivide l'ottimistica fiducia nella scienza e nel progresso,e alla quale contrappone una concezione del mondo come mistero e della vita come dolore.
La scienza infatti ha deluso ,perchè :
  • è riuscita a spiegare solo una parte  insignificante della realtà, quella materiale, mentre ci sfugge il senso ultimo della vita , del mondo e dell'intero universo;
  • non ha saputo dare una risposta al problema fondamentale per ciascun individuo, quello del dolore e della morte, che incombe come destino tragico ed inesplicabile su tutti gli uomini.
PASCOLI
Il soggiorno a Messina

IL FANCIULLINO (testo)

Nel 1987 Pascoli pubblicò sulla rivista "Marzocco" un saggio sulla poesia, "Il fanciullino", che fu poi ampliato e incluso nel volume Miei pensieri di varia umanità(1903), quindi in Pensieri e discorsi(1907). Il saggio,  diviso in venti brevi capitoli, si presenta come un testo di riflessione teorica: non c'è un'esposizione ordinata e coerente, le idee si aggregano, si disperdono, raffiorano in un tessuto argomentativo discontinuo.
Il titolo deriva da un passo delFedone” di Platone: Cebes Tebano, pensando alla morte di Socrate che stava per bere la cicuta, si mette a piangere. Socrate lo rimprovera per quel pianto e Cebes si scusa dicendo che non è lui che piange ma il fanciullino che è in lui. Il punto di partenza della riflessione del Pascoli è l’idea della presenza della morte nella vita dell’uomo. L’unica consolazione è la poesia che permette di partecipare alla vita. Il poeta in un certo senso sottrae le cose al destino di vanificazione e le restituisce alla vita. Se tutto nella storia si dissolve la poesia è in grado di percepire la vita segreta delle cose e in un certo senso riportarle alla vita. Il poeta ha quindi il compito di sottrarre quanto più può alla morte e la poesia è un dono sacro.

All’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio ha elaborato il mito del «superuomo», Pascoli, nelle celebri pagine del "Fanciullino" (1897), ha teorizzato la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo. 
 
La figura del fanciullino assume un doppio significato simbolico:
  • è il simbolo di quei margini di purezza, innocenza e candore che sopravvivono nell'uomo adulto;
  • è l'emblema della poesia, delle potenzialità latenti di scrittura poetica presenti nel fondo dell'animo umano.
La poesia infatti per Pascoli è tale solo quando riesce a parlare con la voce del "fanciullino", quando interpreta il mondo scevra dalle convinzioni e dalla razionalità tipica dell'età adulta.
  • parla attraverso i nostri sogni ed è metafora dell'inconscio, di quella parte della psiche umana che si sottrae a ogni tentativo di soffocamento;
  • parla alle bestie, agli alberi,ai sassi,alle nuvole , alle stelle;
  • rimane piccolo anche quando "noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia sempre il suo tinnulo squillo come il campanello" ;
  • "piange e ride senza perchè di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione";
  • "popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei";
  • guarda a tutte le cose con stupore, meraviglia(nuovo e bello sono i suoi aggettivi tipici);
  • non coglie i rapporti logici di  causa -effetto esistenti tra le cose;
  • scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose;
  • riempie ogni oggetto della propria immaginazionee dei propri ricordi, trasformandolo in un simbolo;
  • rimpicciolisce per poter vedere e ingrandisce per poter ammirare;
  • sonda il mistero.
 IL SIMBOLISMO
A proposito del simbolismo di Pascoli è stato osservato che"il poeta ha il compito di condurre l'ignoto termine sperimentale all'immagine nota,o, viceversa,è l'assidua ricerca di una seconda immagine pregnante e illustrativa da mettere in relazione con un'altra interiore già data".
La poesia quindi dovrà essere :
spontanea e intuitiva;
capace di scoprire il valore simbolico di quei dettagli delle umili cose che ci crcondano, che non riusciamo a cogliere razionalmente;
in grado di stimolare la capcità immaginativa e fantastica del lettore.
Pascoli elabora "una poetica d'un Decadentismo italiano incentrato in un senso immediato delle cose, la cui evoluzione lirica suggerisce cose, sfumature di cose, ma non i mondi dell'inconoscibile, del misterioso, che restano un limite , una aspirazione, non una conquista."( Binni)

Nido

Il nido è una metafora ricorrente nell'opera di Pascoli. È dimora degli uccelli e nido familiare che offre rifugio, protezione dalla realtà esterna. È un luogo di conforto, rifugio "rozzo di fuori, radiche e stecchi", ma dentro tiepido e sicuro. Si diffida di ciò che è fuori dal nido (esemplare è il racconto dell'uccisione del padre in X AGOSTO"Ritornava una rondine al tetto"), quindi anche dei rapporti sociali ed erotici. "L'evento traumatico - la violenza - avviene nello spazio aperto e negativo del mondo." (Angelo Marchese, Introduzione alla semiotica della letteratura, SEI, 1981, p. 281)
Il simbolo esprime un legame strenuo con la famiglia, la difesa accanita di un piccolo mondo di affetti, di memorie sempre ravvivate e di esperienze. La famiglia è composta dai vivi e dai morti, che continuano ad esistere, consigliare, redarguire.

Il nido è al centro di una costellazione di simboli che comprende tra l'altro:
1. la casa,
2. la culla,
3. la siepe. La siepe recinge il podere che con i suoi frutti garantisce ai contadini una vita semplice e felice, pur se povera e faticosa, lontano dagli affanni della città. Particolarmente nei Poemetti, Pascoli si sforza di costruire un "idillio georgico".
4. il muro,
5. la nebbia (in quanto questa delimita una zona chiusa e sicura).
Anche la campagna, generalmente rappresentata con toni idillici nelle sue liturgie stagionali di lavoro e riposo è proiezione del nido.

mercoledì 6 aprile 2011

Raccogliamo le idee

CONCETTA RUSSO



1) “La pioggia nel pineto” è una poesia scritta da Gabriele D’Annunzio ed è stata tratta dalla raccolta poetica: Alcyone.
Questa poesia rappresenta le sensazioni prodotte dalla pioggia che cade, sempre più intensamente, sulla pineta in cui si sono addentrati l’uomo e la donna. La natura sembra risvegliarsi e rispondere al contatto della pioggia quasi con un discorso musicale, come una serie di strumenti dal suono diverso. In mezzo a questi suoni e sotto l’intensificazione della pioggia, l’uomo e la donna, purificati dall’acqua piovana che ne bagna le vesti, sembrano immergersi progressivamente nella natura, divenendo parte di essa. La poesia intreccia due temi: la descrizione della macchia e del bosco marittimo sotto la pioggia; la suggestione, esercitata dal luogo, che fa sì che i due amanti si sentano piante anch’essi.
2) La lirica si apre con il duplice invito rivolto dal poeta ad Ermione “Taci” e “Ascolta” che poi si susseguono in tutto il testo. I due imperativi introducono ogni volta la musica della pioggia, ma allo stesso tempo costituiscono l’invito a cogliere parole pronunciate da “gocciole e foglie lontane”, dalle voci più segrete della natura. I termini “pioggia” e “piove” si ripetono più volte. All’interno dell’orchestra ritmica e fonica suscitata dalla pioggia sulla vegetazione si delineano quei tratti umani destinati alla trasformazione vegetale: i volti, le mani, i vestimenti e perfino i pensieri.
3) Mentre la pioggia cade, ogni albero produce un suono diverso, sembrando strumenti suonati da tante mani. Fin dall'inizio le voci della natura recano una suggestione magica ,quasi volessero attrarre a sè che le sente e subendone il fascino , il poeta e la donna vanno incontro a una vera metamorfosi , che ha i suoi momenti culminanti al centro della poesia,,in chiusura della seconda strofa,dove essi sono "d'arborea vita viventi", e nell'ultima strofa , dove Ermione è trasformata in una sorta di ninfa silvestre e il suo volto  è gioioso, bagnato di pioggia come una foglia, e i suoi capelli profumano come le ginestre. D’Annunzio, guardando Ermione, si accorge che la pioggia cade anche sulle sue ciglia, e sembra che lei pianga di piacere; lei sembra verdeggiante ed appare come una ninfa che esce dall’albero.Alcuni aspetti della poesia dannunziana nella fase di Alcyone rimandano indubbiamente a motivi della tendenza simbolista allora diffusi in Europa che certo il poeta conosceva bene.


STEFANO CONTI NIBALI 
1) L’opera LA PIOGGIA NEL PINETO è stata composta nell’estate del 1902 da G. D’Annunzio, questa poesia rappresenta lo sciogliersi del soggetto nel paesaggio attraverso una valorizzazione del rapporto sensoriale con esso (in questo caso è un rapporto uditivo). Sorpreso con l’amata (chiamata Ermione) dalla pioggia nella pineta nei pressi di Marina di Pisa, il poeta si concentra sui suoni prodotti dal cadere dell’acqua sulle diverse varietà di vegetazione e dal verso di alcuni animali, ricostruendo il tessuto sinfonico attraverso un verseggiare frantumato, tramato di riprese foniche. L’immersione nel grande evento atmosferico della pioggia estiva diviene per i due protagonisti l’occasione di fondersi alla natura.
2) A caratterizzare il significato artistico del componimento è però soprattutto la sua spiccata musicalità, registrata da tutti i lettori. Tale musicalità si basa innanzitutto sul fitto sistema di rime ed è favorita dall’impiego di versi brevi e brevissimi. D’Annunzio non spezza il fluire del discorso ma cerca al contrario di garantire la massima scorrevolezza innanzitutto musicale. Tale scorrevolezza è ottenuta utilizzando unità metriche minime e mutevoli, la cui organizzazione sulla pagina sembra fissare solo una delle molte possibilità strutturali si prendono per esempio i vv. 97-101: “piove sulle tue ciglia nere/ si che par tu pianga/ ma di piacere; non bianca/ ma quasi fatta virente,/ par da scorza tu esca”. Qui la rima interna “nere: piacere” tende a spezzare in due il v. 99, mentre la seconda parte di quel verso (“non bianca”) potrebbe a sua volta agevolmente unirsi al seguente, formando un endecasillabo perfetto. Che la musicalità sia la nota dominante della poesia è d’altra parte esplicato già dall’attacco “Taci”, dall’interrogativa “Odi” e dalla ripresa dell’invito ad ascoltare.
3) Nella parte centrale della quarta strofa, i protagonisti subiscono una “naturalizzazione” , così che il loro cuore diventa come una pesca, gli occhi come sorgenti in mezzo a una prato, i denti come mandorle. Sembra quasi affiorare il mito ovidiano della trasformazione di Dafne in arbusto quando si dice che la donna pare uscire da un albero e diventare, da bianca a verde (vv. 99-101). Proprio la naturalizzazione dell’umano e la antropomorfizzazione della natura sono tra i caratteri distintivi della poetica simbolistica: la percezione delle corrispondenze naturali si svolge ponendo il soggetto poetico al confine tra i due mondi, quasi facendone il punto di incontro e di raccordo delle misteriose analogie che soggiacciono alla realtà visibile. In D’Annunzio questa tendenza dal simbolismo assume i tratti peculiari del panismo, cioè della fusione dell’io con il tutto dell’indistinto naturale.     


 ANTONELLA SALVA'

La pioggia nel pineto Il poeta immagina di trovarsi, in una giornata d'estate, con la sua donna amata, alla quale dà il nome classico di Ermione, nella pineta di Versilia battuta dalla pioggia. La lirica rappresenta le sensazioni prodotte dalla pioggia che cade, sempre più intensamente, sulla pineta in cui si sono addentrati l'uomo e la donna. La natura sembra risvegliarsi e rispondere al contatto della pioggia quasi con un discorso musicale, come una serie di strumenti dal suono diverso. In mezzo a questi suoni e sotto l'intensificazione della pioggia, l'uomo e la donna, purificati dall'acqua piovana che ne bagna le vesti, sembrano immergersi progressivamente nella natura, divenendo parte di essa. Forma metrica: uscivano, nel 1902, i primi tre libri delle Laudi del Cielo, del Mare e della Terra.
La metamorfosi dipende dalla sinfonia dei suoni che conduce gradualmente l'uomo e la donna in una dimensione di sogno, entro la quale awengono i riti metamorfici. Dapprima si confondono con il bosco (piove su i nostri vòlti silvan,), poi Ermione è paragonata agli elementi della natura (il volto come una foglia, le chiome come le ginestre), diventa quasi una ninfa del bosco (virente), infine si fondono entrambi con gli elementi della natura, sentendosi parte viva e integrante di essa: il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono mandorle acerbe. La lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, quasi a prolungare quello stato di estasi cui sono pervenuti il poeta e la sua compagna.
Il lessico è semplice ma costellato qua e là di termini ricercati (tamerici, mirti) e di registro alto, per l'uso particolare degli aggettivi (salmastre ed arse, scagliosi e irti, divini, fulgenti di fiori accoIt folti di coccole aulenti, solitaria verdura). li linguaggio poetico traduce in parola i suoni della natura, la parola è la formula magica che rivela l'essenza della realtà.
La parola è usata più per la sua musicalità che per il significatò referenziale e la corrispondenza parola-natura è realizzata in un accordo di suoni, di rime interne (mane, lontane; canto, pianto; dita, vita), di assonanze (parole... nuove; illuse... illude), consonanze (secondo... fronde), allitterazioni (piove..., pini... ginestre... ginepri) e termini onomatopeici (salmastre ed arse, fulgenti, coccole, crepitìo, croscio), che privilegiano il suono sul senso.
Ogni strofa comprende più periodi e la sintassi, con proposizioni coordinate brevi, è spezzata dagli enjambements, che contemporaneamente dilatano il verso. La struttura è basata sulla enumerazione, ad esempio la ripetizione della parola-chiave piove costruisce una simmetria sintattica, esprime fonicamente il ritmo uguale della pioggia e si arricchisce di immagini nuove, che comunicano la partecipazione alla vita della natura.
Piove..., su elementi naturali (tamerici, pini, mirti, ginestre, ginepri);
piove..., su elementi umani (i nostri volti siivani, le nostre mani, i nostri vestimenti);
piove..., su elementi sentimentali (i freschi pensieri, la favola bella).


GIADA GIUFFRIDA


Nel restituire con straordinaria musicalità il prorompere della pioggia estiva in una pineta mediterranea, questa poesia rivela alcuni degli aspetti più importanti della poetica e della visione del mondo alcionie. In essa, inserita nella seconda sezione di Alcyone, viene infatti anticipato il tema metamorfico che dominerà poi nella terza: i due personaggi tendono infatti ad assimilarsi alla natura vegetale che li circonda. Una seconda metamorfosi si registra poi nell’ambito delle parole, vero culto dannunziano, il loro potere d’espressione delle singole sensazioni appare tanto sviluppato da assimilarle alle cose stesse da cui queste sensazioni derivano. Ma c’è di più; descrivendo il rumore della pioggia il poeta sembra rendere l’essenza stessa della natura, ovvero quel flusso metamorfico ininterrotto (di cui la musica è la metafora più appropriata) in cui i singoli fenomeni si susseguono, si intrecciano, isolandosi in fugaci bagliori prima di venir riassorbiti sullo sfondo. Ciò viene reso attraverso un ritmo poetico in cui l’andamento ciclico (il ripetersi di cadenze identiche) si mescola a continue variazioni, secondo unità di misura ben più ampie del singolo verso. Non va poi trascurato l’elemento amoroso e l’atmosfera di lieve gioco presente, pur nella consapevolezza che la favola bella dell’amore è del tutto illusoria: l’illusione, come sappiamo, è un pericolo sempre incombente nell’universo dannunziano, come rifluire su se stessa della sua acuta tensione sensitiva e supero mistica. La poesia fu composta fra il luglio e l’agosto 1902, ma i suoi temi risultano anticipati nei Taccuini fin dal 1895.

YVONNE SGROI

1) “La pioggia nel pineto” è una poesia scritta da Gabriele D’Annunzio ed è tratta dalla raccolta poetica: Alcyone.
Questa poesia è dedicata alle sensazione prodotte dalla pioggia che cade sulla pineta.
La natura si sveglia e risponde alla pioggia con un discorso musicale. In questa pineta si sono addentrati un uomo e una donna, i quali, purificati dall’acqua, si immergono in questa natura che diventa quasi parte di loro. La poesia ha in sè due temi: la della pineta sotto la pioggia e la suggestione che fa sentire i due amanti piante.
2) La lirica si apre con l’invito del poeta verso Ermione a soffermarsi e ad ascoltare la natura. Infatti in tutta la poesia si ripeteranno “Taci” e “Ascolta” che introducono la musica della pioggia. I termini “pioggia” e “piove” si ripetono più volte. All’interno dell’orchestra ritmica composta dalla pioggia sulla vegetazione si delineano dei tratti umani destinati alla trasformazione vegetale: i volti, le mani, i vestimenti e perfino i pensieri.

3) La natura provoca una suggestione magica come se volesse attrarre a sé gli amanti che man mano subiscono una metamorfosi. Nella seconda strofa Ermione è trasformata in un ninfa silvestre con il volto gioioso, bagnato come una foglia. D’Annunzio per dare un senso di sensualità alla poesia sottolinea che la pioggia cade sulle ciglia di Ermione, come se la ninfa stesse piangendo di piacere.

MARIANGELA LEOTTA


1)Il poeta si sofferma sulle voci misteriose della natura ed invita Ermione a tacere e ad ascoltare la musica della pioggia. Egli è attento a cogliere le sfumature più diverse e le varie modulazioni che le gocce di pioggia producono sulle piante del bosco. A questo concerto della pioggia partecipano anche le cicale con il loro canto e le rane, il cui verso sordo e roco si spegne nell'ombra di un luogo lontano e indeterminato (il chi sa dove, chi sa dove vuole creare un'impressione di lontananza favolosa)
2) Il lessico è semplice ma costellato qua e là di termini ricercati (tamerici, mirti) e di registro alto, per l'uso particolare degli aggettivi (salmastre ed arse, scagliosi e irti, divini, fulgenti di fiori accolti folti di coccole aulenti, solitaria verdura). il linguaggio poetico traduce in parola i suoni della natura, la parola è la formula magica che rivela l'essenza della realtà.
La parola è usata più per la sua musicalità che per il significato referenziale e la corrispondenza parola-natura è realizzata in un accordo di suoni, di rime interne (mane, lontane; canto, pianto; dita, vita), di assonanze (parole... nuove; illuse... illude), consonanze (secondo... fronde), allitterazioni (piove..., pini... ginestre... ginepri) e termini onomatopeici (salmastre ed arse, fulgenti, coccole, croscio), che privilegiano il suono sul senso. Ogni strofa comprende più periodi e la sintassi, con proposizioni coordinate brevi, è spezzata dagli enjambements, che contemporaneamente dilatano il verso. La struttura è basata sulla enumerazione, ad esempio la ripetizione della parola-chiave piove costruisce una simmetria sintattica, esprime fonicamente il ritmo uguale della pioggia e si arricchisce di immagini nuove, che comunicano la partecipazione alla vita della natura.
Piove..., su elementi naturali (tamerici, pini, mirti, ginestre, ginepri);
piove..., su elementi umani (le nostre mani, i nostri vestimenti);
piove..., su elementi sentimentali (i freschi pensieri, la favola bella).
La ricchezza di enjambement dà l'idea della dimensione verticale della pioggia in discesa, del goccia su goccia che irrora l'ambiente di nuova vita. La ripetizione del verbo piove è quasi sacrale: una funzione sacerdotale pagana della pioggia che dipinge l'intera flora del pineto, un'insieme di piante poetiche, usate da classici italiani (tamerice, ginestra) e latini, piante che suonano, come strumenti ben accordati.
3) La fusione panica dei due personaggi umani con la natura avviene gradualmente e in crescendo, la sinfonia dei suoni conduce gradualmente l'uomo e la donna in una dimensione di sogno, entro la quale avvengono i riti metamorfici. Dapprima si confondono con il bosco poi Ermione è paragonata agli elementi della natura (il volto come una foglia, le chiome come le ginestre), diventa quasi una ninfa del bosco (virente), infine si fondono entrambi con gli elementi della natura, sentendosi parte viva e integrante di essa: il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono mandorle acerbe.

martedì 5 aprile 2011

Panismo - La pioggia nel pineto



Il termine “panismo” deriva dal nome del dio greco  παν, attraverso l’aggettivo “pànico”.
.
Designa un atteggiamento letterario che privilegia come esperienza fondamentale dell'artista il rapporto ricco di slancio e di pienezza gioiosa con la vita della natura , concepita come forza animata , nella quale egli si identifica. Pan è una divinità del mondo pastorale, con caratteri di selvaggia bestialità e legami con il mondo infero; celebri i suoi accoppiamenti in forma travestita. Per paraetimologia il nome è collegabile alla voce greca “pan”, che significa ’tutto’, così da attribuire al dio il carattere di divinità universale della natura. A questa accezione si riferisce il termine “panismo”, da intendersi quale tensione a identificarsi con le forze naturali, fondendosi a esse con slancio gioioso e istintivo. La vegetalizzazione e l’animalizzazione dell’umano che si riscontrano in numerosi testi dell’Alcyone di d’Annunzio ne costituiscono esempi calzanti.
Alla svolta del secolo nasce il disegno ambizioso e composito delle Laudi,in cui è penetrata anche la lezione nietzschiana.Nelle Laudi è evidente anche l'influenza del Simbolsmo francese,soprattutto nella ricerca di una musicalità ricca di echi e di riflessi.
Alcyone è il terzo libro delle "Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi", poema lirico concepito da Gabriele D'Annunzio in sette libri e rimasto incompiuto. Alcyone, composto nel 1903 e pubblicato nel 1904, è un vero inno ad una natura riscoperta in luoghi ancora incontaminati. 
E' il libro che più ha influenzato la poesia del Novecento e che, anche all'interno della produzione di D'Annunzio  si presenta come uno dei più sperimentali soprattutto sul piano del linguaggio e dello stile. 
Qui finalmente la ricerca ansiosa di una "comunione più profonda "con le cose e la loro "anima",l'antropomorfismo" spiritualizzato", ovvero" la misteriosa facoltà di penetrare in ogni oggettoe di trasmutarsi in esso",sembrano trovare il proprio ritmo necessario.L'incontro tra oggetto e soggetto si realizza attraverso analogie e corrispondenze ,aderenti,al mistero infinitamente fluido dell'essere nel mondo.E nelle cosiddette strofe lunghe, in versi liberi,ma anche nelle più tradizionali strutture endecasillabiche D'Annunzio trova la flessuosità di un ritmo multiploe franto che si modella a ogni istante sull'emozione.La concretezza geografica del paesaggio marinoversiliese, dall'esplosione luminosa dell'estate al languore di Settembre , si trasforma spesso in uno sfondo magico e favoloso.
Il panismo è una vera e propria forma di conoscenza , che conserva il carattere elitario e aristocratico  di tutta l'esperienza dannunziana.Dopo aver affermato i miti della potenza , della patria,del dominio sulle masse nelle due raccolte precedenti, il superuomo dell'Alcyone assume anche il ruolo di depositario della conoscenza.Attraverso la parola poetica , può restituire alle cose un senso che è smarrito nella società contemporanea.
La pioggia nel pineto 




 Taci.Su le soglie
 del bosco non odo                                                                               
parole che dici 
umane; ma odo
parole più nuove 
che parlano gocciole e foglie 
lontane. 
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse. 
Piove su le tamerici 
salmastre ed arse, 
piove sui pini 
scagliosi ed irti, 
piove sui mirti 
divini, 
su le ginestre fulgenti 
di fiori accolti, 
sui ginestri folti 
di coccole aulenti, 
piove sui nostri volti 
silvani, 
piove sulle nostre mani 
ignude, 
sui nostri vestimenti 
leggieri, 
su i freschi pensieri 
che l'anima schiude  
novella, 
su la favola bella 
che ieri 
l'illuse, che oggi m'illude, 
o Ermione 
Odi? La pioggia cade 
su la solitaria  
verdura 
con un crepitio che dura 
e varia nell'aria 
secondo le fronde 
più rade, men rade. 
Ascolta. Risponde 
al pianto il canto 
delle cicale
che il pianto australe 
non impaura, 
nè il ciel cinerino. 
E il pino 
ha un suono, e il mirto 

altro suono, e il ginepro 
altro ancora, stromenti  
Gabriele D'Annunzio -Eleonora Duse
diversi 
sotto innumerevoli dita. 
E immersi 
noi siam nello spirto 
silvestre
d'arborea vita viventi; 
e il tuo volto ebro 
è molle di pioggia 
come un foglia, 
e le tue chiome 
auliscono come 
le chiare ginestre, 
o creatura terrestre 

che hai nome 
Ermione. 
Ascolta, ascolta. L'accordo 
delle aeree cicale 
a poco a poco 
più sordo 
si fa sotto il pianto 
che cresce; 
ma un canto vi si mesce 
più roco 
che di laggiù sale, 
dall'umida ombra remota. 
Più sordo e più fioco 
s'allenta, si spegne. 
Sola una nota 
ancora trema, si spegne, 
risorge, treme, si spegne. 
Non s'ode voce del mare. 
Or s'ode su tutta la fronda 
crosciare 
l'argentea pioggia 
che monda, 
il croscio che varia 
secondo la fronda 
più folta, men folta. 
Ascolta. 
La figlia dell'aria 
è muta; ma la figlia 
del limo lontane, 
la rana, 
canta nell'ombra più fonda, 
chi sa dove, chi sa dove! 
E piove su le tue ciglia, 
Ermione. 
Piove su le tue ciglia nere 
sì che par tu pianga 
ma di piacere; non bianca 
ma quasi fatta virente, 
par da scorza tu esca. 
E tutta la vita è in noi fresca 
aulente, 
il cuor nel petto è come pesca 
intatta, 
tra le palpebre gli occhi 
son come polle tra l'erbe, 
i denti negli alveoli 
son come mandorle acerbe. 
E andiam di fratta in fratta, 
or congiunti or disciolti 
(e il verde vigor rude 
ci allaccia i malleoli 
c'intrica i ginocchi) 
chi sa dove, chi sa dove! 
E piove su i nostri volti 
silvani, 
piove sulle nostre mani 
ignude, 
sui nostri vestimenti 
leggieri, 
su i freschi pensieri 
che l'anima schiude  
novella, 
su la favola bella 
che ieri 
m'illuse, che oggi t'illude, 
o Ermione  
(Gabriele D'Annunzio 19°-20° secolo)
GUIDA ALL'ANALISI E ALL'INTERPRETAZIONE

Comprensione

Il poeta e una fanciulla , Ermione,si addentrano in una pineta della Versilia, mentre  comincia a piovere. La poesia intreccia due temi: la descrizione della macchia e del bosco marittimo sotto la pioggia; la suggestione, esercitata dal luogo, che fa sì che i due amanti si sentano piante anch'essi.

Eccovi alcuni suggerimenti per avviare l’analisi
Questa poesia è composta di quattro strofe lunghe ognuna di 32 versi, per un totale di 128 versi di lunghezza variabile (senari, novenari e settenari). Il ritmo però non rispetta l’ordine dei versi, uno sì e uno no ci sono degli enjambements. Le rime della poesia sono irregolari, ce ne sono una o due per ogni strofa, in fin di verso oppure interne.
a)  La sensazione. Il soggetto umano è teso a cogliere, nella loro intensa e immediata fisicità, le sensazioni provenienti dalla natura silvestre sotto la pioggia estiva (colori, profumi, qui soprattutto suoni). Sensazioni che vengono interiorizzate (‘E tutta la vita è in noi fresca/aulente’ vv. 102-103), trasformate in stati d’animo (è un tratto comune a tutte le liriche analizzate in particolare ‘La sera fiesolana’).
b) Il silenzio. La disposizione, la tensione a ‘sentire’ la voce della natura viene continuamente sottolineata: ‘Ascolta’, ‘Odi?’, ‘Ascolta, ascolta’ e si accompagna a una richiesta di silenzio che anzi apre il componimento (‘Taci’). Il silenzio è la condizione perché avvenga la percezione di ‘parole più nuove’, e si prepari l’uscita dalla condizione umana e la fusione panica con la natura: ricordiamo il silenzio sospeso della ‘Sera fiesolana’.
c) La musicalità. ‘La pioggia nel pineto è un ‘discorso’ soprattutto musicale. Infatti tutto è indefinito in questa lirica, tranne i suoni, registrati con infinita attenzione a tutte le più sottili variazioni. Il cadere della pioggia sulle diverse creature arboree produce suoni diversi: ora è un fruscio leggero, ora un forte scrosciare; vi si mescolano, tacciono e ritornano, il canto della cicala e della rana. Concentrandosi su questo aspetto si conferma che non si tratta di una descrizione oggettiva, nè di una banale riproduzione onomatopeica: il poeta dà un equivalente musicale ed evocativo attraverso la parola poetica della ‘voce’ della natura. Il testo privilegiato per un confronto è naturalmente ‘La sera fiesolana’ soprattutto nelle prime due strofe.
d) Lo stile. Vediamo ora con quali mezzi stilistici l’autore persegue questa ricerca di musicalità, viva in tutte le sue liriche, ma dominante in questa, che è stata definita una ‘partitura musicale’, una ‘sinfonia’ in 4 tempi. Su tutti i criteri di scelta, a tutti i livelli predomina quello fonico, a cominciare dal lessico, ricco di parole ricercate, letterarie (fulgenti, aulenti, aeree, limo, virente, ecc.), persino tecniche (alveoli, malleoli) ma selezionate più che altro in base alle loro possibilità musicali, al loro suono. Pochissime le parole propriamente onomatopeiche (crepitio), molte le paronomasie e le allitterazioni.
La sintassi è semplicissima, piana, paratattica; le proposizioni sono brevi o spezzate in segmenti brevi (non viene sviluppato un discorso logico-razionale ma vengono esaltate in un libero fluire le singole percezioni e notazioni).
Le iterazioni sono frequenti. Evocando il cadere insistente della pioggia, hanno la funzione di vere e proprie riprese o ritorni musicali: ‘Piove...piove...’, ‘su le...su i...su i ...’ (mimetico del ticchettare della pioggia ‘La sera fiesolana’ vv. 22-29), ‘E...e...e...’, serie iterative variamente distribuite ma soprattutto nella I, II, IV strofa. Vengono ripetute intere frasi a distanza (‘chi sa dove, chi sa dove!’) a volte con sottili variazioni.
Numerosissime le rime, disposte liberamente e in modo assai raffinato. Non solo la parola terminale di ogni verso, ma praticamente ogni parola del testo entra in un fitto e complesso gioco di rime, rime interne, assonanze, consonanze.
La struttura metrica in cui si raccoglie e fluisce tutto questo è organica e chiara (4 strofe di 32 versi ciascuna), ma estremamente libera e aperta: si tratta della ‘strofa lunga’ alcionica, formata di versi di differente lunghezza (dal ternario al novenario; ma rime interne, assonanze, pause frangono spesso i versi in misure minori, mentre gli enjambement li dilatano, creando ‘versi nascosti’). Una ‘fuga di versi’, un continuum ritmico che qui si dispone in una melodia circolare: il componimento si chiude infatti con la ripresa quasi identica dei vv. 20-32.
-La metamorfosi. La fusione panica dei due personaggi umani con la natura avviene gradualmente e in crescendo:
a) è anticipata e preparata fin dalla I strofa con lievi accenni ‘piove sui nostri volti silvani’. Con un passaggio assolutamente naturale il poeta ed Ermione sono già assimilati alla natura. Ai versi 26-28 si intensifica e si approfondisce: non solo piove sui corpi, ma anche ‘sui freschi pensieri che l’anima schiude novella’. Non vi è più separazione tra la dimensione fisica e quella spirituale.
b) Nella II strofa la metamorfosi è in atto (vv. 52-64);
c) Alla fine della III strofa dedicata alla sinfonia della pioggia, il motivo è ripreso (‘E piove su le tue ciglia Ermione) aprendo sull’ultima strofa, in cui si sviluppa, viene in primissimo piano e si completa: ora i due amanti sono totalmente assimilati a creature vegetali e silvane, assorbiti nel ritmo vitale, onnicomprensivo e infinito della natura. E’ l’ingresso in una realtà nuova, mitica e divina (l’accenno discreto alla mitologia classica ‘par da scorza tu esca’ lo conferma).
Per un raffronto su questo nodo tematico della metamorfosi il testo più adatto è ‘Meriggio’. Molti i punti di contatto, ma interessanti e non trascurabili le divergenze:
-il motivo dell’amore-illusione (‘la favola bella’), del perdersi in un mondo fantastico è assente in ‘Meriggio’, dove non compare la donna amata, neppure l’evanescente e silenziosa presenza della ‘Sera fiesolana’;
-la solitudine assoluta dell’io-poeta in ‘Meriggio’ rende più impegnativa e radicale l’esperienza. La metamorfosi panica non si arresta all’avvertimento di una sia pur completa e inebriante assimilazione, ma è oggettiva e totale, ai limiti della dissoluzione dell’io e dell’irreversibilità ‘e il fiume è la mia vena’.
Nella ‘Pioggia nel pineto’ è proprio la persistenza del nesso comparativo a lasciare un margine di provvisorietà soggettiva, di illusorietà o irrealtà della metamorfosi.


1.Su quali elementi e fenomeni della natura si sofferma l'attenzione del poeta?

2.Illustra e analizza nei loro diversi livelli(da quello fonico a quello simbolico), le tecniche e le forme della ripetizione,indagandone il ruolo nello spartito"musicale"della Pioggia nel pineto.

3.Come viene rappresentata la metamorfosi vegetale?