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mercoledì 24 febbraio 2010

CANTIERE DI SCRITTURA DANTESCA XI CANTO

MARIANGELA LEOTTA


1) La pena dei superbi= le anime avanzano curve,portando sul dorso pesanti massi. La parete della roccia ,di marmo bianco, è lavorata in bassorilievi che rappresentano esempi di umiltà esaltata;al suolo sono invece raffigurati immagini di superbia punita.

2) Virgilio chiede agli spiriti purganti quale sia la via più breve per giungere alla seconda cornice. Il primo a rispondere è OMBERTO ALDOBRANDESCHI, il quale confessa che l‘arroganza lo spinse a un tale altezzoso spregio degli altri da essere ucciso per questo. Come già detto la prima anima che parla con Dante è proprio Omberto Aldobrandeschi secondo figlio del messer Guglielmo Aldobrandeschi dei conti di Santafiora , nella Maremma senese e potente signore feudale , fu protagonista della vita politica toscana del 1200. La superbia di questa famiglia gentilizia nasceva dall’antichità del sangue,dalla ricchezza,dalle valenti opere d’armi. Omberto ebbe la signori del castello di Campagnatico, nella valle dell’Ombrone grossetano,dal quale sortiva per depredare i viandanti per recar danno, con arrogante disprezzo ai Senesi. Morì nel 1259 combattendo valorosamente conto gli eterni nemici.

3) Il vero protagonista è Oderisi da Gubbio, con cui Dante ha un vivace colloquio. Innanzitutto il rapporto di conoscenza diretta(vv73-81)e il comune ambito artistico conferisce toni di coinvolgimento affettivo all’episodio. Poi , è a lui che viene affidata la più ampia riflessione sul tema della superbia e sulla vanità della fama terrena, e la presentazione della vicenda di Provenzan Salvani. Ed è sempre Oderisi che profetizza oscuramente a Dante futura gloria poetica e futuro esilio. Il miniatore bolognese ,tanto superbo in vita del proprio successo artistico, ora manifesta la propria umanità nel riconoscere l’altrui eccellenza (vv82-90), dichiara la vanità dei primati artisti con gli esempi di Cimabue e Giotto per la pittura e di Guinizzelli e Cavalanti per la poesia, e infine sentenzia solennemente sulla brevità delle cose umane rispetto all’eternità del mondo divino.

MERY PAFUMI

1.Mentre pregano, le anime camminano lungo la prima cornice con un grande masso sulla schiena di peso differente a seconda della gravità dei peccati commessi. I superbi portano questi pesi dietro la schiena per espiare le loro colpe.
2.Virgilio augura alle anime di raggiungere presto la purificazione affinchè queste possano dargli delle indicazioni per raggiungere la seconda cornice. Virgilio spiega poi alle anime che Dante è ancora vivo e questo suscita interesse da parte loro che sperano di ottenere tramite il pellegrino preghiere dai vivi. A questo punto interviene un’anima che Dante non riesce a riconoscere perché cammina come tutti gli altri con la testa in giù, l’anima è quella di Omberto Aldobrandeschi che li invita a seguirla. Aldobrandeschi , figlio di Guglielmo, signore di Grosseto, appartiene alla nobile famiglia ghibellina dei conti di Santafiora. Alleatosi con i fiorentini continuò le ostilità iniziate dal padre contro il comune di Siena. Riconosce la propria superbia derivante dall’orgoglio di appartenere a questa nobile famiglia che ha compiuto nobili imprese, ammette infine che fu la superbia a causare la sua morte che avvenne nel 1259, combattendo contro i senesi per difendere il suo feudo di Campagnatico. Omberto evidenzia che nella sua espiazione ricerca quella umiltà che gli mancò da vivo.
3.Subito dopo aver finito il discorso con Omberto, Dante riconosce Oderisi da Gubbio e lo saluta, esaltando la sua bravura nell’arte della miniatura. Oderisi rivolgendosi in modo affettuoso a Dante riconosce con molta umiltà di essere stato superbo, infatti precisa che da vivo non avrebbe riconosciuto di essere stato superato da un altro artista. Per sottolineare la vanità della fama, Oderisi fa due esempi: Giotto superò il maestro Cimabue, creando una nuova scuola, così come Guido Cavalcanti ha superato nella poesia Guido Guinizzelli. Oderisi sottolinea che nell’arco di mille anni non avranno alcuna fama né quelli che muoiono vecchi né quelli che muoiono giovani.

ANTONELLA SALVA'

«Padre nostro, che stai nel cielo, non perché limitato da questo, ma per il maggiore amore che tu nutri per i cieli e gli angeli (primi effetti di là su: le prime opere create dà Dio), il tuo nome e la tua potenza siano oggetto di lode da parte di tutte le creature, così come è giusto rendere grazie al tuo amoroso spirito. Ci sia concessa la pace del tuo regno, perché noi con le nostre sole forze, per quanto ci adoperiamo, non possiamo pervenire ad essa, se non ci viene incontro. Come i tuoi angeli sottomettono a te la loro volontà, acclamandoti, così siano pronti a fare gli uomini della loro. Donaci oggi la grazia divina, senza la quale retrocede colui che più si sforza di procedere attraverso le difficoltà del mondo, E come noi perdoniamo a ciascun nostro nemico il male che abbiamo ricevuto, anche tu perdona a noi con misericordia, senza guardare i nostri meriti insufficienti. Non mettere alla prova la nostra forza che facilmente si abbatte, con le tentazioni del demonio, ma liberala da lui che con tanta insistenza la spìnge (al male). L'ultima parte della preghiera, o dolce Signore, non è più fatta per noi, dal momento che essa per noi non è più necessaria, ma per coloro che abbiamo lasciato sulla terra.» Così quelle ombre innalzando una preghiera di buon augurio per sé e per gli uomini, procedevano sotto il peso dei massi, peso simile a quello che talvolta ci opprime nell'incubo di un sogno, girando tutte intorno al monte lungo la prima cornice, travagliate in modo diverso (disparmente: secondo la gravità del peccato) e sfinite, purificandosi delle brutture del peccato. Se nel purgatorio pregano sempre per noi, quali preghiere e quali opere si potrebbero fare nel mondo per le anime penitenti da parte di coloro la cui volontà di suffragio nasce da un cuore in grazia di Dio? E' giusto aiutarle a cancellare le macchie di peccato che hanno portato dal mondo, in modo che, purificate e prive di peccato, possano salire al cielo. « Possano la giustizia e la misericordia liberarvi presto dal peso, in modo che possiate iniziare il volo, che vi innalzi dove desiderate, (in nome di questo augurio) indicateci da quale parte si giunge prima alla scala (che porta al secondo girone); e se esistono più passaggi, mostrateci quello che sale meno ripido, perché questo che procede con me, a causa del peso del corpo di cui è rivestito, è lento nel salire, di contro al suo desiderio.»

Le parole, che risposero a quanto aveva detto la mia guida, non si capì da quale anima fossero pronunciate; ma si dìsse: « Seguiteci a destra lungo la parete, e troverete il passaggio che può essere salito da un vivente. E se io non fossi impedito dal masso che piega il mio capo superbo, per cui sono costretto a tenere il viso abbassato, guarderei costui, che è ancora vivo e non ha detto il proprio nome, per vedere se lo conosco, e per ispirargli pietà di questo peso. Io fui italiano e fui figlio di un grande toscano: mio padre fu Guglielmo Aldobrandesco; non so se il suo nome sia mai arrivato alle vostre orecchie. L'antichità della mia famiglia e le azioni illustri dei miei antenati mi resero così superbo, che, non pensando che unica è la madre di tutti, la terra, disprezzai a tal punto il mio prossimo, che ciò fu causa della mia morte; e come essa avvenne, lo sanno i Senesi e a Campagnatico lo sa ogni essere parlante. Sono Omberto; e la superbia ha recato danno non solo a me, perché essa ha trascinato con sé nel male (in vita e dopo la morte) tutti i miei consanguinei (consorti: nel significato medievale di membri di famiglie provenienti dallo stesso ceppo). Ed è necessario che io qui porti questo peso a causa della superbia, fin tanto che la giustizia divina abbia ricevuto soddisfazione, qui tra i morti, dal momento che non l'ho fatto mentre ero vivo ». Per ascoltare abbassai il viso; e una di quelle anime, non quella che parlava, si torse sotto il peso che le opprimeva, e mi vide e mi riconobbe e mi chiamò per nome, tenendo faticosamente fissi gli occhi su di me che procedevo con loro tutto chinato. « Oh! » gli dissi, « non sei Oderisi, il vanto di Gubbio e il vanto di quell'arte che a Parigi è chiamata illuminare (alluminar: miniare) ? » « Fratello », mi rispose « sono più belle le opere che dipinge il bolognese Franco: la gloria ora è tutta sua, e a me ne resta solo una parte.

Certamente, mentre ero in vita, (nell'ammettere la superiorità di un altro) non sarei stato così generoso, a causa del grande desiderio di eccellenza al quale il mio animo era tutto rivolto. Qui si sconta la pena di questa superbia; e non mi troverei neppure qui (sarei ancora nell'antipurgatorio), se non fosse che mi pentii, mentre (essendo in vita) potevo ancora peccare. Oh quanto è vana la gloria dell'umano valore! quanto poco tempo resta rigogliosa sulla cima del suo albero, se non è seguita da un periodo di decadenza! Cimabue credette di essere senza rivali nella pittura, ed ora è di Giotto tutta la fama, cosicché la sua è oscurata: così Guido Cavalcanti ha strappato a Guido Guinizelli il primato nell'uso della lingua volgare; e forse è nato chi oscurerà la loro fama. La gloria umana non è altro che un soffio di vento, che ora spira da una parte ed ora spira dall'altra, e cambia nome ogni volta chi cambia direzione. Quale fama più grande avrai, se muori vecchio, di quella che avresti se fossi morto prima.di abbandonare il linguaggio dei bimbi (il pappo e il dindì rappresentano la storpiatura infantile di « Pane » e « moneta »), prima che siano trascorsi mille anni? perché (mille anni) rispetto all'eternità costituiscono un periodo di tempo più breve di un battito di ciglia rispetto al movimento del cielo che ruota più lentamente degli altri (al cerchio che più tardi in cielo è torto: il cielo nelle stelle fisse che impiega 360 secoli a compiere la sua rivoluzione).

Colui che cammina a passi così brevi davanti a me, fece risuonare del suo nome tutta la Toscana; ed ora a malapena è ricordato a Siena, della quale era signore quando venne distrutta la baldanza fiorentina, che a quel tempo fu superba così come ora è avvilita. La vostra fama è come il colore dell'erba, che appare e scompare, e viene seccata dal sole ad opera del quale esce dalla terra ancora immatura.» Ed io gli dissi: « Le tue veraci parole mi infondono un sentimento di buona umiltà, e appianano il mio animo gonfio di grande superbia: ma chi è colui del quale ora stavi parlando? » « Quello » disse « è Provenzano Salvani; e si trova qui perché ebbe la superba presunzione di impadronirsi di tutta Siena. Così curvo ha camminato e cammina. senza riposo, dal momento in cui è morto: tale pena deve pagare chi nel mondo ha troppo presunto di sé.» Ed io: « Se l'anima che aspetta, prima di pentirsi l'ultimo istante di vita, resta qui sotto (nell'antipurgatorio) e non può salire il monte se non l'aiuta la preghiera di un cuore in grazia di Dio, prima che sia passato tanto tempo quanto visse, per quale motivo a Provenzano fu concesso di accedere (al purgatorio vero e proprio) ? » « Quando era nel momento più glorioso della sua vita » disse, « messo da parte ogni sentimento di vergogna, di sua spontanea volontà si piantò sulla piazza del Campo di Siena (la più importante piazza della città); e lì, per liberare un suo amico dalla pena che soffriva nelle prigioni di Carlo d'Angiò, si ridusse (a mendicare) tremando (per l'umiliazione) in ogni fibra. Non ti dirò altre cose, e so che le mie parole sono oscure; ma passerà poco tempo, che i tuoi concittadini ti metteranno in condizione di poter in terpretare le mie parole. Questa azione gli evitò la sosta nel l'antipurgatorio (li tolse queí confini).»

Nel XI canto l’autore mostra la pena delle anime dei suberbi. Le anime avanzano curve, portando sul dorso pesanti bassi. La parete della roccia, dimarmo bianco, è lavorata in bassorilievi che rappresentano esempi di umiltà esaltata; al suolo sono invece effigiati esempi di superbia punita.
-Omberto Aldobrandeschi secondo figlio di messer Guglielmo Aldobrandeschi dei conti di Santafiora, nella Marema senese. La superba di questa famiglia gentilizia nasceva dall’antichita di sangue, dalla ricchezza, dalle valenti opere d’armi. Essi furono accesi ghibellini e ripetutamente in lotta con il comune di Siena. Omberto ebbe la signoria del castello di Campagnatico, nella valle dell’Ombrone grossetano, dal quale sortiva per depredare I viandanti e per recar danno, con arrogante disprezzo, ai Senesi. Morì nel 1259 combattendo valorosamente contro gli eterni nemici, che avevano organizzato una spedizione per ucciderlo.
-Oderisi da Gubbio, finissimo miniaturista che, per via della sua fama, era convinto che non ci fosse maestro più grande di lui. Nel (v.82) dimostra la sua umiltà dicendo che migliore di lui è un suo discepolo:Franco Bolognese. La superbia qui si manifesta come vanagloria, ossia quella che gli uomini manifestano non <<>>.

GIADA GIUFFRIDA

1- Il canto si apre con una perifrasi del “Padre Nostro”, recitato dai superbi per loro stessi e per i vivi. Le anime sono condannate a portare un pesante macigno, che ne schiaccia la testa un tempo orgogliosamente alta.
2- Virgilio domanda alle anime quale sia la strada per salire: gli risponde uno spirito, che lo invita a seguirlo. Egli si presenta: è Umberto Aldobrandeschi, signore maremmano, che sconta l’alterigia per le sue origini nobiliari. Umberto faceva parte di uno dei casati più antichi della Toscana. Suo padre, Guglielmo, morto nel 1254, era un importante feudatario della Maremma, che si distinse per il suo valore e il coraggio con cui difese i suoi domini dal comune di Siena. Umberto continuò le ostilità contro i Senesi, alleandosi con Firenze. Morì nel 1259, forse combattendo presso il castello di Campagnatico, o forse ucciso nel suo letto, a tradimento, da sicari senesi.
3- Oderisi da Gubbio fu un celebre minatore del XIII secolo. L’importanza della sua fama è testimoniata dal fatto che Dante lo accosta a Guinizzelli e a Cimabue: come loro, anch’egli ammodernò il linguaggio artistico di cui era maestro, cioè la minatura. Morì nel 1299 a Bologna, dove probabilmente Dante potè conoscelo.
Come si evince dal canto Oderisi sa che la sua fama è ormai stata superata da quella di Franco Bolognese. Così, aggiunge, è capitato in pittura a Cimabue e Giotto; e così, in poesia, a Guinizzelli e Cavalcanti (questi ultimi due, del resto, destinati a essere eclissati dallo stesso Dante). La fama, continua Oderisi, non è nulla, di fronte al passare del tempo, e gli uomini sono destinati a essere dimenticati.
La svalutazione della fama che Dante mette in bocca a Oderisi, sia nella arti sia nella politica, ha dunque un particolare interesse. Da un lato, essa ha come obiettivo polemico la superbia e la “vana gloria” degli uomini; dall’altro, pone la storia umana in una prospettiva eterna, quella che nella cultura medievale dà senso all’esistenza. Così, per quanto l’uomo debba impegnarsi a operare virtuosamente, deve anche riconoscere la propria pochezza. I destini individuali, di fronte all’ “etterno”, appaiono un nulla. È il tema biblico, sviluppato in particolare dall’Ecclesiaste, del “tutto è vanità, vanità delle vanità”.

CONCETTA RUSSO

1) I superbi quand’erano in vita guardarono gli altri dall’alto in basso; ora sono costretti a camminare curvi e con la testa china sotto il peso di enormi massi e, debbono meditare su esempi di superbia punita e su esempi di umiltà.
2) Omberto Aldobrandeschi è il figlio di Guglielmo, signore di Grosseto, appartenente alla nobile famiglia ghibellina dei conti di Santafiora. Egli alleatosi con i Fiorentini, continuò le ostilità contro il comune di Siena. La sua anima si presenta come il figlio di un nobile toscano. Egli riconosce la propria superbia, derivante dall’orgoglio di appartenere ad una nobile e antica famiglia, che ha compiuto delle importanti imprese; infine egli ammette che la causa della sua morte fu proprio la superbia, infatti morì nel 1259 mentre combatteva contro i Senesi per difendere il suo feudo di Campagnatico.
3) Dante riconosce Oderisi da Gubbio e lo saluta, esaltando la sua bravura di miniatore; ma egli riconosce molto umilmente che è stato superato da Franco Bolognese, un miniatore vissuto tra il XIII e il XIV secolo, che introdusse una tecnica più sciolta nel disegno. Oderisi precisa che da vivo per la sua superbia non avrebbe mai riconosciuto che qualcun altro artista era in grado di superarlo.Egli ricorda quanto è vana la gloria che deriva dalle azioni umane e, per sottolineare la vanità della fama fa due esempi: Giotto superò il maestro Cimabue, creando una nuova scuola; Guido Cavalcanti ha superato Guido Guinizelli nella poesia.




MANILA TROVATO

1. in questo canto trovaimo le anime dei superbi. la loro pena è quella di camminare sotto il peso di grandi massi che li opprimono e devono meditare su esempi di superbia punita e su esempi di umiltà. la legge del contrappasso è che poichè queste anime nella loro vita furono superbi e guardarono dall'alto verso il basso gli altri, ora sono costretti a camminare curvi così stavolta da guardare dal basso verso l'alto.

2.virgilio chiede alle anime dei suberbi quale strada è la più giusta per arrivare alla scala che porta alla seconda cornice, precisando che il suo compagno Dante è vivo per suscitare l'interesse delle anime che sperano di ottenere dai vivi delle preghieri per essere espiati. E' infatti il desiderio della prima anima che incontra Dante,cioè, Omberto Aldobrandeschi; figlio di Guglielmo, signore di Grosseto, appartenente alla famiglia ghibellina dei conti di Santafiora, fu signore di Campagnatico, un importante feudo. alleatosi con i fiorentini, continuò le ostilità del padre contro la città di Siena. morì nel 1259. egli parlando con Dante confessò l'arroganza che lo spinse allo spregio verso gli altri.

3. Dante ebbe un vivace colloquio con Oderisi da Gubbio. un famoso miniatore, amico di Dante, è l'esempio di un altro aspetto della superbia, quella derivante dalla sopravalutazione dei propri meriti artistici. con molta umiltà, riconosce la bravura e la superiorità artistica di Franco Bolognese, rilevando la vanità della gloria con essempi di piitura : Giotto ha oscurato Cimabue; e con esmpi dalla poesia : Cavalcanti ha superati il maestro Guinizzelli; ritornando al tema di fondo del suo discorso: la fugacità della fama.

FEDERICA BONANNO


1. in questo canto troviamo le anime dei superbi. La loro pena è quella di camminare sotto il peso di grandi massi che li opprimono e devono meditare su esempi di superbia punita e su esempi di umiltà. la legge del contrappasso è che poichè queste anime nella loro vita furono superbi e guardarono dall'alto verso il basso gli altri, ora sono costretti a camminare curvi così stavolta da guardare dal basso verso l'alto. 2.Virgilio chiede alle anime dei suberbi quale strada è la più giusta per arrivare alla scala che porta alla seconda cornice, precisando che il suo compagno Dante è vivo per suscitare l'interesse delle anime che sperano di ottenere dai vivi delle preghieri per essere espiati. E' infatti il desiderio della prima anima che incontra Dante,cioè, Omberto Aldobrandeschi; figlio di Guglielmo, signore di Grosseto, appartenente alla famiglia ghibellina dei conti di Santafiora, fu signore di Campagnatico, un importante feudo. alleatosi con i fiorentini, continuò le ostilità del padre contro la città di Siena. morì nel 1259. egli parlando con Dante confessò l'arroganza che lo spinse allo spregio verso gli altri. 3. Dante ebbe un vivace colloquio con Oderisi da Gubbio. un famoso miniatore, amico di Dante, è l'esempio di un altro aspetto della superbia, quella derivante dalla sopravalutazione dei propri meriti artistici. con molta umiltà, riconosce la bravura e la superiorità artistica di Franco Bolognese, rilevando la vanità della gloria con essempi di piitura : Giotto ha oscurato Cimabue; e con esmpi dalla poesia : Cavalcanti ha superati il maestro Guinizzelli; ritornando al tema di fondo del suo discorso: la fugacità della fama.




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lunedì 22 febbraio 2010

CANTO XI PURGATORIO

CLICCATE QUI
«O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,

laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogne creatura, com' è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.

Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.

Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de' suoi.

Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s'affanna.

E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.

Nostra virtù che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.

Quest' ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».

Così a sé e noi buona ramogna
quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,

disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.

Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c'hanno al voler buona radice?

Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.

«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,

mostrate da qual mano inver' la scala
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;

ché questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco».

Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;

ma fu detto: «A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.

E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,

cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.

Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo già mai fu vosco.

L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,

ogn' uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.

Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.

E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti».

Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.

«Oh!», diss' io lui, «non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' arte
ch'alluminar chiamata è in Parisi?».

«Frate», diss' elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore è tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare' io stato sì cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.

Così ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l'uno e l'altro caccerà del nido.

Non è il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',

pria che passin mill' anni? ch'è più corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.

Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,

ond' era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com' ora è putta.

La vostra nominanza è color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba».

E io a lui: «Tuo vero dir m'incora
bona umiltà, e gran tumor m'appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».

«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.

Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».

E io: «Se quello spirito ch'attende,
pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,

se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?».

«Quando vivea più glorïoso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse;

e lì, per trar l'amico suo di pena,
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.

Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.

Quest' opera li tolse quei confini».

PARAFRASI

1. Descrivete la pena dei superbi( vv.25-30)

2
.Riassumete il discorso confessione di Omberto Aldobrandesco e collocate il personaggio nel contesto storico a cui appartiene.

3.Nelle parole di Oderisi da Gubbio , la fugacità della fama umana e la sua insignificanza rispetto all'eternità sono comprovate da alcuni esempi tratti da ambiti artisticidiversi.Illustrateli.

venerdì 19 febbraio 2010

ORAZIO

I contemporanei gli preferivano il nuovo,che per loro era l'arcaismo, l'imitazione degli antichi, e lui doveva difendere il vero nuovo, che era il suo.Ma Orazio contava sui contemporanei del futuro.(G.Pontiggia)

ORAZIO E LE SATIRE
Nell'Ars poetica(VV.333-344) troviamo alcune affermazioni programmatiche che faranno anch'esse scuola nei secoli tra gli ammiratori di Orazio:

"I poeti vogliono giovare o dilettare o dire cose piacevoli, e insieme appropriate alla vita.Qualsiasi cosa tu intenda insegnare, sii breve,perchè gli animi accolgano subito le parole con facilità e le ritengano fedelmente.Ogni elemento superfluo trabocca dall'animo pieno.Riporta il massimo consenso che unisce l'utile al dilettevole, dilettando e anche ammaestrando il lettore."
Miscere utile dulci :La poesia non è solo lusus ,deve giovare ai lettori: questa è la novità di Orazio rispetto ai poeti emergenti dell'età di Cesare .Anch'egli ammira ede emula Callimaco e gli Alessandrini, ma con piena adesione alla moralità romana:l'arte non deve essere pura esibizione di dottrina e raffinatezza formale , volta solo a delectare ,LA POESIA DEVE EDUCARE:questo spiega il tono colloquiale che assume gran parte della produzione di Orazio.

La filosofia greca entra a Roma e spesso i romani attingono le loro idea più correnti filosofiche; è anche il caso di Orazio, il quale fa propri l’autàrkeia (autosufficienza interiore) e la metriotes( la moderazione, il giusto mezzo).

Le "Satire", dette dal poeta stesso "Sermones" (ovvero propriamente "conversazioni", e dunque scritte con stile e lingua studiatamente quotidiani), composte in esametri dattilici, sono divise in 2 libri: il I (35-33 a.C.) ne comprende 10, il II (30 a.C.) 8. Difficile ne è la cronologia interna.

Abbandonate le inquietudini e il disadattamento degli "Epòdi", attraverso certo i temi della predicazione filosofica (in specie, quelli della diàtriba cinico-stoica, ma stemperati dal loro rigido moralismo) e la lettura di poeti quali Lucilio (di cui vuol essere versione moderna, ma altresì originale: satire I4 e I10), O. cerca di elaborare in forma piana e discorsiva (si tratta di componimenti misurati, caso mai vivaci, ma come detto non sfoghi moralistici) un suo ideale di misura (il cosiddetto "giusto mezzo", I1 e I2) che lo salvi dalle tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita .Il poeta insomma ricerca una morale di autosufficienza e di libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico, oltre che del suo tatto e della sua conoscenza del mondo: il ragionamento si mantiene sempre sul piano psicologico-umano, e la polemica non è tanto contro i vizi in sé, quanto contro la loro vera radice, ovvero l’eccesso: come dire che egli si propone non certo di cambiare la società romana ed il modello etico di riferimento, ma almeno di fornire qualche utile elemento di riflessione per intervenire sulla coscienza dei singoli.

Inoltre, nelle prime "Satire", O. si sforza di dimostrare che la morale epicurea non è in disaccordo con i valori tradizionali di Roma: moderazione, saggezza, rispetto dei costumi, eccetera. Insiste anche sulla semplicità dell’esistenza rurale quale condizione della felicità, parlando, in questo senso, un linguaggio simile a quello di Virgilio e precisamente nello stesso periodo, all’incirca, in cui questi componeva le sue "Georgiche". Affinità vi sono anche col linguaggio di Tibullo. Inoltre, l’amicizia da lui spesso elogiata non è scambio di favori, e ancor meno schiavitù (come spesso avveniva a Roma quando gli amici erano di condizioni ineguali), ma una comunione profondamente spirituale o, anche, ideale.

Appare chiaro, insomma, che i "Sermones" toccano una straordinaria pluralità di temi, che non si lasciano imbrigliare in una sterile didascalia; mi limito, così, a ricordare le satire ritenute dai più le più rappresentative, oltre quelle già accennate. Così, ad es., un'altra satira programmatica è la II1, dove O. risponde alle critiche rivolte a se stesso e al genere satirico. Spunti autobiografici, invece, si riscontrano nelle satire: I4 (sul padre adorato); I6 (sulla presentazione a Mecenate); I5 (sull'avventuroso viaggio a Brindisi al seguito di Ottaviano); II6 (in cui esprime la gioia per la villa donatagli). Satire più propriamente etico-filosofiche sono invece: I2 (sull’adulterio; vigorosa); II3 (sulla pazzia degli uomini, eccetto il filosofo; briosa); II6 (vi si trova l’apologo del topos campagnolo e del topos urbano, con cui il poeta esprime simbolicamente l'angoscia che prova in città ed il desiderio di rifugiarsi nella tranquillità della campagna).

Dunque, le satire di O. non sono un'astrazione teorica, ma una proiezione della realtà, sia rispetto alla vitae ratio seguita dal poeta, sia rispetto alle sue dottrine letterarie, sia infine come quadro d'ambiente, che ci riporta al "Satyricon" di Petronio e agli "Epigrammi" di Marziale: hanno un valore di trasmissione culturale dei vizi sociali>>

SCANSIONE METRICA DELLA SATIRA I, IX