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giovedì 23 giugno 2011

LUCCA DI G.UNGARETTI

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Ecco Lucca, calda, crudele, serrata, e verde.
Mi sento qui nella carne di ogni persona che in-
contro.
Esamino i connotati come se chi passa portasse via,
nei suoi panni, il mio corpo. E’ la mia terra, è il mio
sangue. Ne ho un tormento e un desiderio come chi
si scostasse da un incesto; – ma non può dominare la
fatalità dei suoi sensi!
Queste giornate, in questi luoghi, mi fanno soffrire,
e mi coprono di voluttà, e mi tengono limitato come
in una bara.
Riprenderò la via del mondo. Andrò dove sono fo-
restiero: Dove non è peccato, sacrilegio, essere curiosi
di sè nelle cose che godi.
Qui finirei col riprendere la zappa, col rimescolarmi
ai contadini, col dimenticare le acredini e i miracoli
delle lettere, col lodare, al sole l’alto grano d’oro,
mentre si falcia, e le coscie delle donne sorprese a
fecondarsi di te in una gran perdizione di sguardi e di
morsi bestiali; e non sai più se è una pesca o labbra
quella forma che hai divorato, se non fosse l’odor for-
te della donna; e poi al sole che ti dà un abbandono,
un abbandono così esteso, che accogli il sonno come
una pace vera di morte.

La poesia di Giuseppe Ungaretti, "Lucca", è tratta dalla raccolta L'Allegria, che raccoglie componimenti nati dall'esperienza della Prima Guerra Mondiale (il titolo originario era infatti l'Allegria di naufragi). La prima edizione risale al 1931, mentre la seconda, che contiene anche componimenti successivi, al 1942. Oltre alle poesie composte durante la guerra, ci sono anche componimenti sui ricordi della vita civile, principalmente in Egitto e a Parigi, che sono tornati alla mente del poeta proprio durante la guerra.  Il poeta ripensa a quando, da piccolo, si trovava in Egitto e la madre gli parlava della città di Lucca, città in cui entrambi i genitori erano nati. E si ritrovava a vivere quella città attraverso i ricordi della madre. Un modo per conoscere le proprie origini. Ma anche per unirle al suo destino e al suo futuro. Il poeta non ha più "nulla da profanare, nulla da sognare".

giuseppe_ungarettiL'Allegria nasceva infatti, come lo stesso Ungaretti ha scritto, come un "diario". Ungaretti "è maturato uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non è stato mai estraneo. Senza mai negare le necessità universali della poesia, ha sempre pensato che, per lasciarsi immaginare, l’universale deve attraverso un attivo sentimento storico, accordarsi colla voce singolare del poeta". Questa raccolta ha assunto un ruolo fondamentale nella storia della letteratura italiana. Partendo dall'atrocità dell'esperienza vissuta in guerra, il poeta vuole arrivare a trovare una "nuova armonia con il cosmo".

Ungaretti ricorda quando la madre, dopo il rosario, gli descriveva la sua città natale, con parole che meravigliavano il piccolo Ungaretti. Il poeta si ritrovava ad immaginare la fisicità della città, con le sue mura ed il traffico, e si immaginava lui stesso in quelle mura. Ma questo pensiero, allo stesso tempo, lo straniva. Da un lato si sente parte di questo mondo contadino e si immagina con la zappa, ma dall'altro questo pensiero lo terrorizza. "Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone". La spiegazione del "terrore" arriva dopo "Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti. Ho preso anch'io una zappa...". La città, la gente della città, riconduce Ungaretti alle sue radici toscane e contadine: e riscoprire le sue radici per lui significa essere vecchi. Al tema della vecchiaia è dedicata tutta l'ultima parte della poesia: "Addio desideri, nostalgie"... "Conosco ormai il mio destino, la mia origine. Non mi rimane più nulla da profanare, da sognare. Ho goduto di tutto, e sofferto. Non mi rimane che rassegnarmi a morire". Dunque il "terrore" sembra da ricondursi a questa presa di coscienza della vecchiaia. In parole povere, ha solo trent'anni (la poesia è del 1919), ma si sente vecchio nel momento in cui scopre le sue radici: da qui il "terrore".

Il poeta riflette quindi sulla morte e sulla rassegnazione. Gli amori mortali rappresentano il sesso, il piacere puramente fisico, verso i quali era spinto da un appetito maligno. Ora che invece ha capito l'importanza delle sue origini e del suo destino, l'amore diventa una garanzia della specie. E si sente pronto ad "allevare tranquillamente una prole" e a diventare "un'origine", così come i suoi antenati lo sono stati per lui. Bisogna abbandonarsi alla quotidianità come qualcosa di inevitabile e di giusto. 

E' necessario analizzare i versi , soffermandosi sul valore che il poeta assegna ad ogni parola. Il poeta, infatti, "scava nell'abisso dell'animo umanoanalizzando  gli aspetti linguistico-letterari della poesia ed in modo particolare gli aggettivi. Anche nel ricordo del racconto della madre, Ungaretti si trovava a provare sentimenti contrastanti, che passavano dal ridere davanti alle "cosce fumanti della terra" all'avere paura (un vero e proprio terrore) scoprendosi nei connotati della gente di Lucca.

La poesia nasce come ricordo.
Ricordo di episodi che hanno reso felice il poeta. Ma poi la poesia passa alla descrizione dei luoghi e della gente di Lucca. Ungaretti pensa al fatto di essere parte di una comunità ed essere, in qualche modo, condannato a seguire lo stesso destino di quella gente. Il traffico della città è "timorato e fanatico", quasi in un contrasto di emozioni, da cui scaturisce anche il terrore.
Rispetto al contesto storico, questa poesia può essere vista come una metafora della vita di un paese colpito da una crisi molto grave e portato alla rassegnazione ma anche ad un desiderio di cercare di vivere la vita che rimane nel migliore dei modi e di non lasciarsi andare a un pessimismo totale.


sabato 18 giugno 2011

La terra Santa


Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch'io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c'era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso le messe,              
le messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E, dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettrochoc
perchè, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l'avello
anch'io mi sono ridestata
e anch'io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all'inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
(da "La terra santa")
di Alda Merini




domenica 12 giugno 2011

ALLE FRONDE DEI SALICI


E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
  
Salvatore Quasimodo

L’immagine di straordinaria bellezza e potentemente suggestiva di questa lirica è di derivazione biblica e si riferisce all’episodio degli ebrei che in schiavitù a Babilonia, si rifiutarono di cantare le lodi a Dio in terra straniera. Così l’avvenimento è riportato nel Salmo 136: Sui fiumi di Babilonia, / là sedevamo piangendo / al ricordo di Sion. / Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre. / Là ci chiedevano parole di canto / coloro che ci avevano deportato, / canzoni di gioia, i nostri oppressori: / «Cantateci i canti di Sion!». /Come cantare i canti del Signore / in terra straniera?.
Anche gli italiani dagli anni ’43 e 45 vivevano nelle stesse condizioni di servitù e dolore.


Parafrasi e analisi
E noi come potevamo cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze, sull'erba dura come il ghiaccio, al lamento dei fanciulli simile a quello di agnelli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?
Per voto, anche le nostre cetre erano appese alle fronde dei salici, oscillavano lievi al triste vento.

Dal punto di vista metrico , la poesia è costituita da versi endecasillabi sciolti, cioè non legati da rima . Sono tuttavia presenti varie rime imperfette. Nei primi due versi , per esempio, "cantare", "straniero" e "cuore" sono legati da rime imperfette che accentuano il significato espresso, cioè l'impossibilità di comporre poesia davanti all'oppressione dell'invasione nazista.
Un'altra rima imperfetta è presente nel V verso, nell'accostamento delle parole "agnello" e "fanciulli", legate tra di loro nel rafforzamento della metafora che esprimono.
Nei versi 5,6,7 è presente un' allitterazione nelle parole "urlo nero", madre", "incontro" "crocifisso", "telegrafo", dove viene ripetuta la lettera " r " accostata ad altre consonanti, creando così dei suoni duri ed aspri che servono ad accentuare la drammaticità della scena.

Così come gli ebrei deportati in Babilonia si rifiutarono di cantare per la sofferenza che stavano provando, allo stesso modo il poeta vede nell'invasione nazista dell'Italia un dolore troppo grande per poter continuare a comporre poesi ; egli depone quindi la cetra, che ne è il simbolo : "anche le nostre cetre erano appese" (v.9). In tal modo l'autore esprime anche la sua concezione della poesia : il poeta deve essere attento al mondo circostante e provare dei sentimenti per esso, talvolta talmente forti da impedirgli di comporre . La poesia cioè non deve essere estranea al mondo, ma avere un ruolo sociale attivo, contribuendo allo sviluppo della società.

Il testo è diviso in due parti. Nella prima, vv.1-7, il poeta presenta una serie di figure che esprimono il dolore provato per l'invasione nazista dell'Italia, mentre nella seconda l ' autore esprime, come già detto, la sua opinione sulla poesia ed il suo impegno davanti a tanto dolore.

Nei primi due versi : "E come potevamo noi cantare / con il piede straniero sopra il cuore/" , sono presenti due metonimie. Infatti alla figura del soldato nazista è sostituita una parola che ha con esso un rapporto di continuità logica, "piede straniero", accentuando così la durezza dell'invasione nazista. All'Italia invasa l'autore sostituisce invece la parola "cuore" , esprimendo così quanto sia toccato profondamente dall'invasione e quanto sia legato all'Italia.
Le due metonimie creano una figura di grande contrasto, contrapponendo la durezza dell'invasione al sentimento del poeta verso la sua terra, evocando un clima di dolore che imposta subito il tono della poesia.
Il poeta poi presenta una serie di figure che descrivono la situazione drammatica. Anche la natura sembra prendere parte al suo dolore , diventando dura come il ghiaccio, come espresso nella metafora del v.4: "[..] dura di ghiaccio [..]".
Rimanendo in tema biblico, i fanciulli sono paragonati in un'altra metafora del v.5 ad agnelli sacrificali: "lamento d'agnello dei fanciulli". La metafora è accentuata, come già detto , dalla presenza di una rima imperfetta tra le parole "fanciulli" e "agnello".
Altra figura retorica è costituita dalla sinestesia presente sempre nel v.5, dove la parola "urlo", simbolo di dolore e appartenente alla sfera sensoriale dell'udito, è accostata alla parola "nero", sensazione visiva , simbolo di lutto.
Il poeta chiude poi questa prima parte con una metafora che riprende il tema religioso presente in tutta la poesia. L'immagine del giovane crocifisso sul palo del telegrafo (v.7) rimanda chiaramente alla figura di Cristo morto in croce. Il giovane diventa così, insieme ai fanciulli , simbolo delle vittime innocenti morte a causa della guerra . In quest ' ultima figura compare inoltre un altro tema di Quasimodo: la tecnologia utilizzata dall'uomo in senso negativo, non per aiutarlo a vivere meglio, ma come mezzo per le sue opere di distruzione. Il palo del telegrafo, simbolo della tecnologia, è diventato infatti strumento di morte.



venerdì 10 giugno 2011

La lirica moderna



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La lirica moderna 


La poesia moderna è strettamente legata al simbolismo. Vediamo alcune definizioni. Ugo Fredrich dice: «La poesia evita di riconoscere mediante versi descrittivi o narrativi il mondo oggettivo e anche quello interiore nella sua sussistenza oggettiva». Questa definizione vale anche per il romanzo: la crisi del realismo e del razionalismo fa sì che la poesia simbolista eviti di riconoscere la realtà nella sua sussistenza oggettiva, la realtà esterna, ma anche la realtà interiore, cioè i sentimenti. La poesia moderna non è né descrittiva né narrativa (si confronti, per esempio, la nebbia di Carducci con quella di Pascoli).

L’idea dominante della poesia simbolista è la poésie pure di Mallarmé; poesia pura significa poesia in cui le parole interrompono i rapporti comunicativi con la realtà esterna e si pongono esse stesse come realtà; detto altrimenti, significa che la parola non è più considerata un veicolo per comunicare realtà esterne o interne, ma essa stessa è un simbolo, cioè vuole essere considerata nella sua autonomia. «Simbolo» è termine greco (symbolon, da sym-ballo, «mettere insieme») che indica il rapporto tra l’oggetto e la sua rappresentazione verbale, per cui, di per sé, ogni parola è un simbolo perché rappresenta un oggetto pur in sua assenza; per i simbolisti, invece, il simbolo è la sostituzione del mondo con la parola e la considerazione della parola poetica come mondo stesso (la parola è il mondo).
Vediamo altre definizioni. «Il simbolismo è teso ad individuare l’elemento o il principio poetico nella sua essenza e a creare il linguaggio peculiare della poesia indipendentemente da quello di qualsiasi altro ordine di attività individuale» (Mario Luzi). «La quiddità della poesia moderna sta nel suo essere, all’interno delle arti della parola, la forma organica della separazione radicale dell’individuo dal suo corpo sociale e dalla sua non mediata opposizione ad esso» (Piervincenzo Mengaldo). «La poesia vuole essere un tutto autosufficiente, plurivalente nel linguaggio che da esso si irradia, un tutto risultante da un’intricata tensione di forze assolute, le quali agiscono con la suggestione su strati prerazionali» (Ugo Fredrich).

Paul de Man rileggendo alcuni passi di Vico, Rousseau ed Herder nota che «la poesia lirica è considerata come una forma di linguaggio non evoluta ma primitiva e spontanea» quindi «la definizione della poesia come primo linguaggio le conferisce una qualità arcaica opposta al moderno»; nondimeno «la poesia lirica resta il soggetto preferito di ricerca per una definizione di modernità»



lunedì 6 giugno 2011

"Talking in bed" di Natasha Puglisi al Leonardo

Mercoledì 8 giugno · 16.30 - 18.30
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avrà luogo la presentazione al pubblico del volume "Talking in bed" di Natasha Puglisi
presso il Liceo Linguistico-Scientifico statale Leonardo
Apertura e Saluti: Prof. Carmela Scirè (Dirigente Scolastico)
Relatore: Prof. Pietro Guarnotta
Interverranno i professori: Maria Allo - Giuseppa Borzì - Raffaele Carbonaro - Maria Grazia Romano
Presenta: Isidoro Raciti
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M.Allo





Artefatto sinestetico

                                                                     DI     MONTALE 



da Bibliolab