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Le ultime lettere di Iacopo Ortis e i dolori del giovane Werter , I SONETTI

Le ultime lettere di Iacopo Ortis                                               UGO FOSCOLO

 I DOLORI DEL GIOVANE WERTER 

Johann Wolfgang von Goethe pubblica il romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther" nel 1774 e ne fa il manifesto della sua nuova poetica, preannunciando in questo modo lo struggente tema romantico dell’incontro antitetico e tragico fra Amore e Morte, gli stessi Eros e Thanatos delle antiche tragedie greche.
Il romanzo riscuote all’istante uno straordinario successo divenendo il testo fondamentale e di riferimento dei sostenitori del movimento letterario dello Sturm und Drang. Esso diffonde e ispira nell’Europa colta dell’epoca la sensibilità pre-romantica che sarebbe poi tuonata nel vero e proprio Romanticismo d’inizio Ottocento. Probabilmente il motivo di questo successo è rintracciabile in alcuni fra i principali leitmotiv stürmeriani, nonché romantici, che dimorano nelle pagine del romanzo e s’infiammano nella vita interiore del protagonista: l’amore impraticabile, la morte salvatrice, il forte rapporto fra uomo e natura, la passionalità opposta alla razionalità, lo scontro fra realtà ed immaginazione, l’artista schiavizzato dalla società austera.
Proseguendo in modo puramente formale la voga letteraria settecentesca del romanzo epistolare, Goethe predilige questa forma narrativa per costruire la sua storia e questa scelta, e in particolare il tono straziante con cui essa viene applicata, infonde nel lettore un senso di compartecipazione emotiva alle vicende intime ed esteriori del grande personaggio di Werther. E l’assenza delle risposte dell’amico, al quale Werther scrive, ispira al lettore l’idea del diario, conferendo così alla cronaca un tono spirituale.
Pubblicato, in principio anonimo, in un clima d’ardori intellettuali e fervori storici, il Werther è amato dagli Stürmer e condannato dal clero, dai razionalisti e dai benpensanti in quanto stravolgimento della morale e celebrazione del delirio amoroso contro quella ragione regolatrice.

Il romanzo è vietato in molti stati tedeschi poiché la giovane generazione dell’epoca prende a modello l’eroe goethiano, scegliendo di togliersi la vita in preda ad un Liebesschmerz che, in realtà, è qualcosa che si avvicinava alla febbre mistica, prendendo in questo modo posizione di fronte alle problematiche storiche e sociali del momento.

Aderente analisi degli impeti del cuore, l’opera è un esemplare forse unico d’introspezione, una sorta d’esame di coscienza favorito dagli intimi monologhi che solo la collaudata ed immediata struttura del romanzo epistolare possiede. O meglio ancora, un melodramma dei sentimenti unito alla frenesia di ribellione verso le istituzioni che soffocano e che reprimono gli animi degli artisti.

Letteralmente “tempesta e impeto”, il movimento dello Stürm und Drang fa il suo ingresso in Germania fra il 1770 e il 1785 in un circolo di intellettuali riuniti da Goethe e da Herder a Strasburgo. Il movimento viene a crearsi in forte contrasto con l’Illuminismo, soprattutto nei motivi conduttori quali l’istintività, il furore e la ribellione verso le regole oppressive. Manifesto della corrente è la raccolta di saggi di Goethe ed Herder intitolata Von deutscher Art und Kunst in cui alla “poesia d’arte” si contrappone la poesia popolare.

La tendenza sostanziale è la ribellione contro la ragion di stato e la società dell’articolata Germania di allora, frazionata in piccoli principati assolutistici. Per la comparsa e l’approvazione di parole e concetti come “genio”, “natura” e “cuore” si usa collegare lo Stürm und Drang al così designato Pre-Romanticismo. Lo scenario della vicenda è la borghesia di fine Settecento e la sua società che corrode gli individui con regole arbitrarie ed incomprensione, pregiudizi ed ancora costretta da valori medievali.
L’istintivo ma allo stesso tempo inerte Werther rivela, attraverso ardenti epistole all’amico Wilhelm, il suo caloroso e sfortunato amore per Charlotte la quale, seppur innamorata ed attratta di lui, non può ricambiare liberamente i suoi sentimenti poiché già promessa sposa ad Albert, giovane razionale e pacato, con la benedizione di sua madre sul letto di morte.

Werther incontra Charlotte sul tragitto verso una festa da ballo e s’innamora di lei all'istante. Albert è via per affari e nei giorni in cui è lontano Werther si avvicina a Charlotte. Ma tutto cambia quando Albert ritorna dal viaggio di lavoro. Egli è allarmato dall’inquietante presenza di Werther, ma allo stesso tempo permette a Charlotte di frequentarlo mutando in seguito questa propensione. Tuttavia, il vero e sostanziale cambiamento sta in Werther che si sente minacciato dalla presenza del rivale, ma continua ad amare Charlotte senza neanche pensare di portarla via ad Albert.
Quindi Charlotte ed Albert si sposano, ma Charlotte opera questa scelta per obbligata consuetudine piuttosto che per autentico sentimento.

Nel corso del carteggio il tono di Werther s’incupisce, diventando espressione di un infausto stato d’animo che si riversa anche nelle sue letture: dalla chiarezza della Classicità di Omero, Werther passa alla malinconia del bardo scozzese Ossian. Allo stesso modo, l’interiorità di Werther si rispecchia nel paesaggio: all’energia dell’estate la natura sostituisce il gelo invernale.

Werther continua a parlare della sua vicinanza a Charlotte con tono febbrile e sempre più infelice finché la situazione precipita, lentamente, verso il dramma. In poco tempo l’infelicità di Werther diventa disperazione e poi ossessione finché, all’apice del dolore, sceglie di togliersi la vita, sparandosi un colpo alla tempia in seguito ad un colloquio con Charlotte nel quale la giovane si lascia baciare.

Werther è un fragile eroe d’illusioni. Egli percepisce il dolore del suo cuore sensibile e sognatore in contrasto col mondo reale nel quale vive. Allo stesso tempo è un personaggio passivo: il suo carattere idealista non riesce a migliorare la sua condizione di apatia nonostante l’impulso sia, relativamente, saldo (“Non c’è nulla di più tremendo di un’ignoranza attiva” ). L’unica reazione forte davanti alla realtà, intollerabile per la sua emotività, è anche la sua ultima azione: il suicidio.

Werther è devoto alla natura e percepisce una pace stupefacente nell’essere a contatto con essa. Verrà sepolto nel verde dei prati dal quale, in vita, era particolarmente affascinato. Si rivolge alla natura con la veemenza tipicamente romantica, mentre medita sulla morte (“Rattristati dunque, o natura: il tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante si avvia verso la sua fine”) scagliando su di essa la sua situazione psicologica.

In Werther imperversa un atteggiamento soggettivistico che lo conduce ad affermare la sua concezione della realtà in termini assoluti. Talmente inetto da non riuscire a mettere in pratica i suoi pensieri d’amore platonico, egli si consuma a rilento in una condizione rischiosamente oscillante fra la felicità e la prostrazione. È terrificato da tutto ciò che è compiuto e la sua incapacità di sostenere la vita diventa vocazione autodistruttiva. Si uccide con la consapevolezza che Charlotte non sarà mai del tutto sua, nonostante ella abbia ricambiato il suo bacio così come il suo amore. Werther sceglie la morte come unica via d’uscita nonché il gesto più grande e in questo diviene un eroe romantico.

Presentata attraverso gli occhi prontamente innamorati di Werther, Charlotte appare un personaggio positivo e sensibile, che irradia dolcezza in tutto ciò che fa e in ciò che dice. È toccata dall’amore di Werther, ma incapace di lasciare Albert per lui. È una donna che sceglie la solidità di un’unione borghese con Albert piuttosto che la fugacità di una passione ribelle con Werther, e questo forse perché la madre morente aveva benedetto queste nozze. Nel respingere Werther, Charlotte è piena di tatto per non ferire Werther. Nel badare ai fratellini, ella mostra una pura dedizione e in questo Werther nota la massima grazia che sempre lo scioglie d’amore.

Werther la descrive in poche parole che racchiudono la sua parvenza e sostanza (“Tanta ingenuità e tanta intelligenza, tanta bontà unita a tanta fermezza, e la serenità dell’anima pur in una vita così piena e attiva “).

È evidente una contrapposizione fra Werther ed Albert, entrambi personificazione di una diversa condizione sociale nonché ideologica. Albert è il borghese solido e razionale seppur con dei limiti. Werther è l’artista geniale e fantasioso che disdegna le convenzioni e le regole fissate dalla stessa borghesia. Albert gli dimostra la sua amicizia fino alla fine, seppur spaventato da lui. Nel triangolo Albert occupa un posto quasi inconsistente ed appare in tutta la sua debolezza. Alla fine invita Lotte a diradare i suoi incontri con Werther e in questa azione Albert contribuisce al dramma già drammatico.
Materia romantica che mai perderà d’interesse, la relazione fra amore e morte è l’emblema di Werther. All’inizio del romanzo l’amore è indipendente dalla morte e le due entità non si scontrano, piuttosto esse si mischiano ai già variegati elementi che forniscono al lettore l'iniziale comprensione dell’anima e della vita di Werther. Tuttavia, un vago senso funereo appartiene a Werther specie per ciò che concerne la sua passionalità che esprime attraverso il lessico smanioso.

Dalla seconda lettera il lettore apprende che Werther è un artista. Ma la sua arte è come immobile di fronte al paesaggio naturale nel quale egli si è venuto a trovare. Werther è sereno e meravigliato (“Una meravigliosa serenità si è impadronita della mia anima”) e sembra fondersi con la natura circostante.

Le lettere successive informano Wilhelm della situazione di Werther: esse sono lo specchio del suo stato d’animo a contatto con la natura, con le persone, la sua lettura di Omero e la sua vita nella nuova città nella quale si è trasferito. Tuttavia, le parole di Werther mantengono un tono filosofico e quasi didascalico: egli sembra gettare la sua anima fra le righe e fra le parole.

È nella lettera datata 16 giugno 1771 che Werther parla per la prima volta di Charlotte, nel raccontare di un ballo in campagna (“…ho fatto una conoscenza che mi tocca il cuore da vicino.”). Werther è informato da subito che Charlotte è gia promessa (“…a un bravo giovane che è ora in viaggio per i suoi affari… “). Il loro primo incontro avviene mentre Charlotte è impegnata a distribuire la merenda ai suoi sei fratellini e Werther è trafitto da lei e dalla sua dolce presenza (“…tutta l’anima mia era presa dalla sua persona, dal tono della voce, dal portamento…“). Nella loro conversazione, sulla strada verso la festa, Werther è sempre più soggiogato da lei: come colpito da una saetta, egli l’ammira nella sua bellezza estetica (“Come mi inebriavo di quegli occhi neri…“) e si sente ormai assorto nei pensieri che riguardano solo Charlotte (“…scesi dalla carrozza tutto trasognato…“).

Werther non sembra curarsi del fatto che Charlotte sia fidanzata con Albert. Forse non ci pensa o ci pensa poco. Quando poi si stabilisce definitivamente a Wahlheim, è felice di poter raggiungere Lotte in qualsiasi momento (“…quando sono là mi sento veramente me stesso e conosco tutta la felicità che può essere concessa ad uomo.”). Addirittura si sente come un peregrino che trova finalmente pace dopo un lungo e difficile vagabondaggio (“Così l’inquieto vagabondo desidera alla fine la sua terra…”).

Ciò che colpisce nell’amore di Werther è l’assoluta liricità delle sue affermazioni. È un poeta che sospira e, da innamorato, osserva e trasfigura la realtà intorno a sé e, tipico di Werther, argomenta continuamente sulla natura.

Nella lettera del 13 luglio, Werther è sicuro che Charlotte ricambia il suo sentimento (“No, non mi inganno! Leggo nei suoi occhi neri un sincero interesse per me e per la mia sorte. “). Da quel momento le epistole di Werther diventano una sorta di fiammeggiante racconto nel quale la parola “amore” diventa onnipresente (“… che cosa è per il nostro cuore un mondo senza amore! Che cos’è una lanterna magica senza luce? “) per mezzo di enfatiche frasi cariche di esaltazione (“è come se l’anima mi scorresse in tutti i nervi.”).

Quindi, nella lettera del 30 luglio, Werther nomina finalmente Albert (“Albert è arrivato e io me ne andrò…”). E da lì in poi qualcosa in lui e nella sua devozione a Lotte sembra spezzarsi (“La mia gioia di stare vicino a Lotte è finita.”). Da quella lettera Werther cambia stato d’animo. Ora è sconfortato, smarrito e spaventato. Il suo amore è diventato effimero (“Ah, è proprio vero che soltanto il nostro cuore ci può dare o no la felicità.”). Avverte una certa inerzia e si sente inferiore rispetto ad Albert il quale, in ogni caso, gli dimostra amicizia. Werther divinizza Lotte rendendola il suo ideale di Bellezza; ciò nonostante non la strappa al fidanzato Albert. Ma ormai l’amore per lei si è trasformato e Werther è sgomento oltre che rassegnato (“Non la rivedrò più.”).

Verso la metà della narrazione l’amore comincia a fondersi alla morte, lentamente, diventando racconto struggente per aforismi, finché Werther arriva alla consapevolezza della sua fine imminente.

Nel secondo libro del romanzo, precisamente nella lettera datata 20 febbraio 1772, la notizia del matrimonio di Lotte ed Albert. E poi improvvisamente la natura cambia con Werther e i suoi sentimenti: è il 4 settembre 1772 (“Come la natura declina verso l’autunno, anche in me, intorno a me, scende l’autunno.”).

La svolta, del 12 ottobre, nella quale Werther sostituisce ad Omero il bardo scozzese Ossian (“Ossian ha preso il posto di Omero nel mio cuor. In quale splendido mondo mi guida questo poeta?”) e Werther ne è soddisfatto. Ora la morte comincia ad incedere accanto al suo amore per Lotte, ne è avvertimento la brevissima lettera del 19 ottobre (“Ah, questo vuoto! Questo vuoto spaventoso che sento qui nel petto!”). Ora per Werther la vita non ha più valore né senso (“…sono ogni giorno più certo che l’esistenza di una creatura è di poco, di assai poco conto.”). Ed è la fine. La sua fine. E la fine di tutto.

Attraverso un languido lessico, Werther descrive, esaltandolo, ciò che resta del suo attaccamento sventurato a Charlotte (“…il sentimento per lei divora ogni cosa…”) come se potesse parlarle, come se potesse sussurrarle quelle stesse frasi. L’amore è il chiodo fisso di Werther, pensiero che diventa sempre più il tormento della sua anima.
Ormai Werther si avvia verso la morte (“…per me è finita, non resisto più!”). Lotte è l’ossessione (“Come la sua immagine mi perseguita! Da sveglio e nel sogno essa mi colma l’anima”) che allo stesso tempo lo placa. Decide di uccidersi dopo un ultimo incontro con Lotte nel quale lei ricambia un suo bacio dandogli, in un certo senso, la coscienza che non sarà mai completamente sua.

La morte è una presenza costante, nonché un desiderio liberatorio per Werther (“è deciso, Lotte, voglio morire, e te lo scrivo senza romantiche esaltazioni…”). Ma, allo stesso tempo, Werther è confuso ed ha paura di cosa vi sia nella morte, come se fosse in un certo senso attaccato alla vita (“Morire! Tomba! Non comprendo queste parole”) ma poi, di nuovo, si lancia verso la morte, rassegnato e convinto (“Accanto alla tomba tutto si fa più chiaro”). E le sue ultime parole sono per Charlotte, con tutto il suo amore sano ed insano (“Morirei con coraggio, morirei con gioia, se potessi così ridarti la pace”), insieme al suo commiato (“Così sia, dunque! – Lotte! Lotte, addio! Addio!”). Muore così l’eroe. Muore per amore, il massimo amore, l’amore esemplare e sublime tanto caro ai romantici fino ai decadenti di fine Ottocento, in quella sorta di continuazione fra Romanticismo e Decadentismo individuata da Mario Praz.

I due temi, passione e critica sociale simboleggiano la stessa tendenza a sostenere i “diritti del cuore”, quell’interiorità necessaria alla conservazione psicofisica dell’individuo: trasgredire quest’integrità equivale a determinare la “malattia mortale” che porta al suicidio.





DEI SEPOLCRI  I PARTE


CARME 


I sonetti"A Zacinto "e "Alla Sera"




A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciuletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quell’isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L’inclito verso di colui che l’acque

Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

ANALISI E COMMENTO DEL SONETTO A ZACINTO di Ugo Foscolo

A - IL LIVELLO TEMATICO

Zacinto, per Foscolo, non è soltanto un luogo materiale da cui è lontano, ma è soprattutto un
luogo dello spirito cui egli è legato per sempre e verso il quale è nostalgicamente proteso. Basta,
infatti, il semplice ricordo o il nome di Zacinto, a far rinascere nella mente del poeta tutti gli ideali,
i miti e i sogni di cui si nutre la sua vita: il mito e la figura di Venere, simbolo della bellezza,
dell’armonia e dell’amore; la figura di Omero, simbolo della poesia che evoca e rende eterni i
sentimenti più alti e, infine, il personaggio di Ulisse, simbolo di tutti coloro che le avversità hanno
reso nobili e famosi. E Foscolo si identifica sia con Ulisse, perché anch’egli come lui si sente
perseguitato dal destino, anche se, diversamente da lui, non potrà tornare a baciare la sua terra, sia
con Omero, perché, come Omero è stato il cantore dell’esilio di Ulisse, così egli sarà il cantore del
proprio esilio. La lirica risulta anche un’esaltazione della poesia, che travalica il tempo e lo spazio e
idealmente congiunge il poeta a Zacinto e agli eterni miti della poesia classica.
I temi della lirica possono essere riassunti in questo modo:
il motivo della terra natale
il motivo dell’esilio
il motivo della tomba
il motivo della classicità, con i suoi valori
il mito dell’eroe segnato da un destino avverso
il mito della poesia
B - IL LIVELLO RETORICO-STILISTICO
Il termine sponde annuncia il tema del mare, un elemento decisivo nella geografia mitica di
questo sonetto: considerando i termini che Foscolo utilizza in riferimento a Zacinto (sacre sponde,
mia, specchi, onde, greco mar, isole feconde, limpide nubi, fronde, acque, materna mia terra),
emerge come l’isola venga rappresentata come luogo geografico e come patria natale, grembo
materno, in quanto ha dato la nascita al poeta. Ed ecco una relazione di tipo analogico tra Zacinto e
Venere: come Zacinto è il grembo materno, così Venere, che, secondo la tradizione classica nasce
giovinetta e vergine dal mare, ha reso fertili le acque di quelle isole greche. Acqua è dunque la
parola-chiave che crea intorno a sé un campo semantico costituito da termini ad essa legati. L’acqua
miticamente è datrice di vita e si identifica quindi naturalmente con l’immagine materna.
Inversamente, l’assenza totale di vita, la morte lontano dalla terra materna, è privazione di acqua
(illacrimata sepoltura).
Nel secondo verso si impone l’espressione il mio corpo ...giacque, giacché riveste un
carattere di singolarità se pensata solo nella sua funzione denotativa di ricordare la fanciullezza del
poeta trascorsa a Zacinto. Ma in verità la scelta sia del sostantivo e soprattutto del verbo punta
proprio sull’ambiguità e sui valori connotativi, grazie ai quali il giacere del corpo rimanda ad una
situazione di morte.
Le espressioni acque...fatali (vv. 8-9; da sottolineare che la formula si trova anche nel
sonetto dedicato alla sera) e diverso esiglio (v. 9) ci presentano la figura di Ulisse ramingo per
l’opposizione del fato: ecco la seconda relazione, questa volta antitetica, evidenziata dall’iterazione
dei termini fatali e fato, ed espressa dalle figure di Ulisse1 e Foscolo: Ulisse, l’eroe greco, ha dovuto
1 LA FIGURA DI ULISSE COME ARCHETIPO NELL’IMMAGINARIO POETICO.
La figura di Ulisse nasce con i due poemi epici di Omero (IX-VIII sec. A.C.), l’Iliade e l’Odissea, nel secondo dei quali
il personaggio, con il nome greco di Odisseo, è protagonista centrale. Egli possiede le seguenti caratteristiche: la
prestanza fisica e il coraggio del guerriero assieme ad una grande eloquenza e ad una astuta saggezza. La qualità che gli
è più connaturata è però la sua inappagata sete di conoscenza, il desiderio di penetrare con l’intelletto e la ragione i
segreti dell’essere. Proprio per questo Ulisse diverrà, nell’immaginario collettivo, il simbolo dell’inesausta ricerca
intellettuale  dell'uomo.

Ugo Foscolo, "Alla sera"
analisi dei livelli

1. strutturale e metrico: si tratta di un sonetto con schema ABAB ABAB CDC DCD. Questo schema è piuttosto innovativo rispetto alla tradizione di questo genere poetico.
2. fonico: il sonetto risulta da un complicato intreccio di corrispondenze foniche. Oltre all'allitterazione della /s/ ("sempre scendi... secrete… soavemente"7-8, in combinazione con l’assonanza della /e/) sono frequenti altre assonanze e consonanze (la più forte è "questo reo tempo"11), anche spurie, in combinazioni come "guardo la tua pace"13.
3. livello sintattico: il sonetto può essere diviso in due parti corrispondenti a due ampi discorsi, il primo dominato dalla quiete e il secondo dal movimento. Sono molti gli enjambement che allungano il ritmo del verso provocando un effetto di sospensione. L'equilibrio formale del componimento è tuttavia ottenuto anche con altre soluzioni come parallelismi ("le nubi estive e i zeffiri sereni"4) e inversioni (vedi soprattutto l'iperbato "inquiete / tenebre e lunghe"5-6), mentre l'anafora "e quando... e quando"3-5 separa immagini che si riferiscono rispettivamente all'estate e all'inverno.
4. livello lessicale: le parole-chiave della poesia sono "sera" e "quiete", rilevate anche dal fatto che si trovano entrambe in posizione significativa, la prima dopo il lungo enjambement dei vv. 1-2, la seconda in chiusura del v. 1. Al v. 13 la stessa funzione di "quiete" viene assolta in parte dal termine "pace". La poesia si configura come un gioco di richiami tra la sera e la pace, da intendersi pertanto sia come pace eterna (la "fatal quïete"1, ma anche il "nulla eterno"10), sia come tregua dall'inquietudine dello "spirto guerrier"14. Nella prima parte la sera è associata a immagini di quiete. Nella seconda il ritmo varia, sebbene ai termini che indicano movimento ("Vagar"9, "fugge"10, "van", 11) segua nella terzina finale una nuova stasi ("guardo... dorme"13).Il movimento richiama lo scorrere del "reo tempo" (e non si può far notare qui la corrispondenza intertestuale con il "fugerit invida aetas" oraziano). Tutta la poesia è dominata, anche a livello lessicale, da una forte impronta soggettiva. Ne sono testimonianza i frequenti pronomi personali e aggettivi possessivi. Il linguaggio è medio-alto. Mancano infatti termini molto ricercati e aulici, caratteristica formale tipicadel neoclassicismo.
5. retorico-semantico: la sera appare come la personificazione di una divinità.