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mercoledì 16 febbraio 2011

Facciamo il punto noi su............


GIADA GIUFFRIDA
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La novella può essere suddivisa in tre parti, a ciascuna delle quali si può far corrispondere un differente punto di vista. La prima giornata si apre con la descrizione della rivolta popolare che si esprime con ferocia e violenza. Si susseguono tre tumultuose sequenze narrative: la prima, in una sorta di “campo luogo”, con molteplici scene di uccisione; gli atti di giustizia sommaria, elencati sotto forma di verdetti urlati dalla folla, vengono compresi, anche se non giustificati, dal narratore, trattandosi di punizioni nei riguardi di reati commessi dai ceti privilegiati e dai loro apparati di potere. La seconda che si chiude sulla scena delle mani che inutilmente cercano di parare i colpi; la terza in casa della baronessa, in un crescendo di violenza. La seconda giornata occupa la parte centrale della novella, prima dell’arrivo di Bixio a far giustizia. Il suo arrivo secondo i moduli dell’oleografia risorgimentale e garibaldina, fatta propria dell’ingenuo narratore popolare; Nino Bixio non appare più come un padre buono, ma come un rude, feroce e vagabondo soldato. Il brusco cambiamento di tono è da attribuire, più che al narratore, all’autore stesso, non ignaro di certi comportamenti grossolani di Bixio, poco rispettoso dei valori tradizionali della comunità paesana di Sicilia. La terza parte della storia riferisce agli avvenimenti che seguono la strage, il possesso dei ribelli incarcerati, fino alla sua conclusione tre anni dopo. 
L’abilità narrativa di Verga risalta nella sua capacità di accordare la lingua ai personaggi. L’ eccitazione e la drammaticità della rivolta sono rese attraverso il ritmo conciliato e spezzato dalla sintassi: frasi brevissime, battute di discorso diretto, in forma esclamativa e interrogativa. Gli avvenimenti della sera e dei due giorni successivi sono rappresentati in modo più pacato, grazie all’impiego dell’ellissi. Nella parte finale, il ritmo sintattico vuole rendere il senso della lunghezza dell’attesa del processo e il clima di rassegnazione che lo circonda. Alla progressiva attenuazione della drammaticità della novella corrisponde un’accelerazione della velocità narrativa: mentre la strage è raccontata attraverso un’accavallarsi di scene che danno al lettore l’impressione di assistere alla rivolta in tempo reale, i fatti successivi sono riassunti in sommari che abbracciano durate via via più ampie fino alla brevissima scena finale della lettura della sentenza, suggellata dalla battuta del carbonaio. Proprio questa battuta del carbonaio spiega il significato amaramente ironico del titolo della novella: “la libertà” è, per il conservatore Verga un valore assunto, da confondere con la concessione della terra ai contadini; altrimenti la libertà diventa pericolosa sia per lo stato, che spinto sull’orlo dell’anarchia sia per le stesse masse popolari, che sono trascinate alla rovina. L’unico sistema possibile è quello vigente: inutile e catastrofico per tutti e ogni tentativo di cambiare la propria condizione sociale. È l’amara e spietata riconferma dell’ “ideale dell’ostrica”: l’unica salvezza sembra essere quella di restare attaccati alla propria origine come l’ostrica al proprio scoglio. Verga accentua il suo pessimismo materialistico, mettendo definitivamente da parte l’illusione di una possibile persistenza di valori ideali e fissando con sguardo freddo e analitico la realtà devastata dall’unica logica in grado di affermarsi: quella dell’interesse economico del vantaggio individuale, ovvero, con un termine da lui stesso utilizzato, quello della roba. La lotta per la vita non lascia spazio che per l’affermazione degli egoismi, in una guerra senza vincitori. Tale evoluzione coincide con il radicalizzarsi del conservatorismo, che lo induce ad abbandonare la prospettiva riformistica della destra storica, alla quale era stata vicino, per ripiegare su posizioni reazionarie. Se nel romanzi precedenti era possibile parlare di una religione della famiglia, qui l’unica religione riconosciuta è quella della roba. Ma la lotta furiosa per l’acquisizione dei beni materiali appare al tempo stesso priva di senso e quindi incapace di giustificare la ferocia che scatena fra gli uomini. Appunto la vanità degli sforzi compiuti dagli uomini per combattere questo stato di cose risalta in pieno in questa novella, nella quale la ricostruzione dell’insurrezione popolare nel paese di Bronte prima dell’arrivo dei Garibaldini si trasforma nell’occasione per mostrare la ferocia della povera gente e per condannare ogni possibilità di trasformazione sociale, ribadendo la necessità delle gerarchie e dei privilegi di una società sostanzialmente immodificabile. 
 ANTONELLA SALVA'


1-2)La novella si ispira ad un fatto realmente accaduto. A Bronte, un paese non lontano da Catania, nei giorni dal 2 al 5 agosto 1860 la popolazione, formata in gran parte da poveri contadini, si sollevò contro i locali proprietari terrieri.
Il periodo storico è quello della spedizione dei Mille in Sicilia, al comando di Garibaldi e Nino Bixio. Dopo la caduta del governo borbonico, c'erano stati vari proclami rivoluzionari, secondo i quali la terra, già di proprietà di pochi galantuomini (così venivano detti i proprietari terrieri), doveva essere distribuita ai capifamiglia contadini.
Queste le ragioni della rivolta, quindi: le condizioni miserevoli dei contadini, la fame, il desiderio di «libertà» dalla schiavitù e dalla miseria.
Si tenga anche presente che la popolazione siciliana, in gran parte, aiutò Garibaldi ed i Mille nella vittoriosa guerra contro i Borboni, proprio perché vedeva in questa la possibilità di un miglioramento della sua condizione di vita.
La rivolta di Bronte fu sanguinosa, e si risolse in un eccidio tremendo. Venne repressa personalmente da Nino Bixio, che fece fucilare alcuni dei rivoltosi (talvolta, come accade in queste circostanze, prendendo quasi a caso quelli che dovevano essere giustiziati). Gli altri vennero condannati e incarcerati a vita.
Verga riferisce con esattezza la storia con il suo contenuto drammatico. Descrive le uccisioni, la psicologia della folla impazzita, i drammi.
Si noti, ad esempio, l'uso di paragoni tratti dalla natura: i rivoltosi sono come un «torrente», come la «piena del fiume», e travolgono tutto senza ormai rendersi conto di ciò che fanno.
Passata la follia e finito l'eccidio, il giorno che sorge porta una calma strana e piena di paure; i soldati che arrivano e fucilano sono accolti quasi con un senso di liberazione; la tragedia che si è consumata ha lasciato tutti stravolti ed esterrefatti.
Alla fine, tutto torna come prima: i «signori» al loro posto, i poveri contadini sempre più poveri.
La tragedia si è chiusa, e non è servita a niente. Solo i condannati continueranno a chiedersi il perché, gridando che loro volevano solo «la libertà».
E un mondo senza speranza, che neppure la vittoria garibaldina ed il cambio di Re riescono a mutare.

L'atteggiamento di Verga ha fatto molto discutere perchè non manifesta in questa novella alcun rilievo critico nei confronti del'operato di Bixio:non si accenna, per esempio, al fatto che tra i fucilati ci fosse in realtà anche un patriota democratico, l'avvocato Lombardo.Occorre tuttavia mantenere distinte le posizioni del narratore da quelle dell'autore.La violenza del popolo viene rappresentata da Verga come una sorta di elemento della natura, la focalizzazione del narratore ne mette in evidenza espressionisticamente la primitività. La violenza, che si esercita in genere dall'alto verso il basso, sembra invertire per un attimo la sua direzione, ma la gerarchia sociale di sempre torna a imporsi con la forza dell'ordine naturale.

CONCETTA RUSSO
La novella “Libertà” di Verga fa parte delle novelle rusticane ed è ispirata alla strage di Bronte avvenuta nel 1860.
La “Libertà" è l'esempio più significativo di novella che il Verga scrisse ispirandosi allo scontro fra ceti contrapposti ed alla violenza perenne del loro rapporto. Nelle varie parti della novella fa corrispondere un momento storico ed un punto di vista diversi.
"La libertà" è un titolo amaramente ironico, perché tutta la novella muove da una rivolta per costruire la libertà, mentre questa non viene raggiunta e alla fine della novella dopo diversi anni che i rivoltosi erano in carcere, uno di questi che era uscito disse: " Ma se mi avevano detto che c'era la libertà".
La parte iniziale ha come collocazione temporale il sabato 4 agosto in cui la rivolta contro i "galantuomini" esplode in tutta la sua violenza e ferocia. Viene qui evidenziato il punto di vista dei popolani che si afferma in un crescendo di entusiasmo e di violenza. Tutto appare giusto e possibile sia l'anelito di uguaglianza economica e sociale che la sete di vendetta nei confronti della classe dominante accentratrice di ricchezza e potere.
Nella parte centrale la novella descrive i fatti di domenica 5 agosto; si rafforza la visione della libertà come equa distribuzione delle terre e da essa traspare una visione maggiormente utilitaristica ed individualistica dei fatti.
La terza parte si articola in un periodo di tre anni, dall'arrivo dei garibaldini all'emissione della sentenza della Corte di appello nei confronti dei rivoltosi. Qui Verga fa prevalere il punto di vista borghese: "libertà" vuol dire solo violenza e turbamento di un ordine costituito. Gli avvenimenti scorrono lentamente, in un crescendo di disinteresse, mentre gli imputati sono presi dal fatalismo di chi non riesce a spiegarsi i motivi della propria sconfitta.
Della sanguinosa rivolta rimane così solo la sofferenza degli accusati, mentre la vita torna a scorrere come prima. Tutto resta uguale, tutto è stato inutile.
Tutto il brano è caratterizzato dalla tecnica espressiva propria di Verga, cioè l’ impersonalità che fa apparire il racconto come proveniente dalla voce del popolo, dai viottoli del paese dove esso si svolge. Contemporaneamente, traspare il conservatorismo dell’ autore, il quale, propone una storia in cui i contadini siciliani non riescono, per vari motivi ad attuare un ribaltamento delle loro condizioni sociali, neppure quando agiscono con la forza.



Marco Siracusano
La “Libertà” di Verga, prende spunto da un fatto realmente accaduto. Ci troviamo a Bronte nel 1860.
Ciò che si sviluppa esattamente nella novella, è l’azione compiuta dalla popolazione di ceti inferiori nei confronti dei galantuomini, scaturita da sentimenti di rabbia coltivati un po’ da sempre. Tale novella rappresenta una delle opere più importanti che metta in luce i gravi contrasti esistenti tra le varie classi sociali. I protagonisti di questa vicenda sono proprio i popolani, cioè tutti coloro che hanno preso parte alla rivolta. La massa, spinta dal tradimento garibaldino, in quei giorni d’estate fa scoppiare una sanguinosa strage prendendo di mira i ‘cappelli’ cioè i rappresentati dell’alta società compiendo azioni che magari non avrebbero mai compiuti da soli, ma, spinti dall’euforia di quei momenti, vengono trascinati in gran numero. Il popolo di Bronte è simile per certi aspetti a quello milanese manzoniano nei momenti della rivolta del pane, per via degli aspetti comuni dettati da una situazione disperata che opprime e alla fine trova come unico sfogo la rivolta. Tutto ciò cela sotto certi aspetti un'ignoranza del popolo, che non riesce a risolvere certe questioni con l'intelletto.
Verga fa riferimento ad uno luogo specifico, ovvero il paese di Bronte in cui si svolgono i fatti della novella, e a una città in cui si svolge il processo ai rivoltosi.
L’arco di tempo della rivolta è ben definito: essa si svolge in un periodo di circa tre giorni, appare invece indefinito il periodo dei processi.
Verga mette in mostra gli aspetti più cruenti e violenti di una rivolta. Le immagini che ci vengono donate ci conducono a quel tempo, facendoci diventare quasi parte della massa. Le scene di uccisione sono descritte da frasi brevi pronunciate qua e la dai popolani, che tuttavia riescono a farci ben comprendere ciò che accade. È possibile dividere in tre momenti principali gli avvenimenti. La prima giornata è caratterizzata dai primi atti di violenza eseguiti inizialmente per strada, sotto gli occhi di tutti. È come se la folla inferocita stesse cercando di farsi vedere nel modo più rapito possibile. Spostandosi poi a casa della baronessa. La seconda giornata si apre con una scena del paese completamente vuoto. Le campane della chiesa non suonano anche se è domenica, e per strada non c’è nessuno. Quando la folla riesce a radunarsi, gli abitanti cercano invano di spartirsi le terre. Ed è proprio in questo momento che sentono la mancanza dei ceti più alti: viene a mancare la figura dei parroci che si occupa della parte spirituale della vita degli uomini, e i vari funzionari che si occupano della burocrazia. La terza parte invece, è più dispersiva dato che si sviluppa in un arco di tempo più lungo. dall'arrivo dei garibaldini all'emissione della sentenza della Corte di appello nei confronti dei rivoltosi.
Dei vari avvenimenti della rivolta, rimane solamente un forte senso di sofferenza da parte degli accusati. Non è cambiato proprio nulla, e la vita riprende a scorrere come un tempo. 



MARIANGELA  LEOTTA
La libertà di questa novella rusticana è un concetto per nulla univoco,caricato com'è di funzioni via via differenti e persino opposte,a seconda della prospettiva dei personaggi che usano il termine.Da grido esultante che incita al capovolgimento dei rapporti di forza,diviene sinonimo prima di equa distribuzione delle ricchezze e poi di rivoluzione e carneficina con degli aspetti irrazionali e di disorganizzazione.; è colma di episodi crudeli, sanguinosi e si parla di bambini, donne e uomini innocenti, sia ricchi che poveri, che muoiono. Secondo me, la povera gente ha sbagliato ad attaccare la nobiltà, perché non ha ottenuto niente, ma ha   solamente ucciso gente. Verga presenta la vicenda in tutta la sua drammaticità, con tinte fosche, parole aspre ed espressioni realistiche che documentano l’orrore compiuto nel nome della libertà; inoltre intende a sottolineare la violenza dei contadini. È la novella dei “vinti”, di coloro che si ribellano alla classe dominante senza avere la possibilità e la capacità di cambinare granché della loro misera condizione. Anche la tanto invocata “libertà”, che alla novella dà il titolo, finisce col risultare falsa e illusoria e, comunque, valida solo per alcuni. Io penso che la libertà indica l'essere libero, la condizione di chi non è prigioniero e non ha restrizioni, ma è anche la facoltà dell'uomo di agire e di pensare in piena autonomia.
Per me, questa novella è stupenda, ti fa riflettere sul valore della libertà e immaginare le scene, come se fossi io stessa a guardare.
L’unico svantaggio che ho riscontrato durante la lettura di questo breve racconto è che il lessico e il modo di scrivere sono complessi. La non definizione dei luoghi e dei temp ,come l'assenza di una presentazione degli antefatti della vicenda,si può spiegare con l'intenzione di mettere il lettore"faccia a faccia col fatto nudo e schietto",catapultando fin da dalle prime parole,senza alcuna mediazione da parte del narratore,nel bel mezzo dell'azione.L'assenza di un filtro narrativo non seleziona un protagonista dal fatto che il narratore non seleziona un protagonista singolo al centro della scena ma mette in scena un soggetto collettivo indefinito("Sciorinarono....
suonarono...cominciarono..")lasciando al dottore il compito di identificarne i connotati a partire dalle sue azioni:se in alcuni momenti singole figure emergono attraverso rapidi zoom cinematografici("una strega" riga 8, "un monello sciancato"riga 19,"il taglialegna"righe47-48),esse scompaiono immediatamente ,assorbite dalla massa. Il pessimismo sociale di verga io lo associo all'evidente pianto dei rivoltosi,questo significa che loro sanno che non cambieranno mai,dimostrazione di un pentimento che nasce dalla consapevolezza della loro situazione di inferiorità nei confronti di alcune classi sociali che l'anno sempre controllati e che hanno dettato le regole fino ad allora . La fine della novella è una mediazione perchè i contadini hanno bisogno dei padroni e viceversa, quindi traspare il conservatorismo dell'autore. Verga propone una storia in cui i contadini siciliani non riescono ,per vari motivi a ribaltare le loro condizioni ,neppure quando agiscono con la forza.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mariangela leotta ha detto...
La libertà di questa novella rusticana è un concetto per nulla univoco,caricato com'è di funzioni via via differenti e persino opposte,a seconda della prospettiva dei personaggi che usano il termine.Da grido esultante che incita al capovolgimento dei rapporti di forza,diviene sinonimo prima di equa distribuzione delle ricchezze e poi di rivoluzione e carneficina con degli aspetti irrazionali e di disorganizzazione.; è colma di episodi crudeli, sanguinosi e si parla di bambini, donne e uomini innocenti, sia ricchi che poveri, che muoiono. Secondo me, la povera gente ha sbagliato ad attaccare la nobiltà, perché non hanno ottenuto niente, ma hanno solamente ucciso gente. Verga presenta la vicenda in tutta la sua drammaticità, con tinte fosche, parole aspre ed espressioni realistiche che documentano l’orrore compiuto nel nome della libertà; inoltre intende a sottolineare la violenza dei contadini. È la novella dei “vinti”, di coloro che si ribellano alla classe dominante senza avere la possibilità e la capacità di cambiare granché della loro misera condizione. Anche la tanto invocata “libertà”, che alla novella dà il titolo, finisce col risultare falsa e illusoria e, comunque, valida solo per alcuni. Io penso che la libertà indica l'essere libero, la condizione di chi non è prigioniero e non ha restrizioni, ma è anche la facoltà dell'uomo di agire e di pensare in piena autonomia.
Per me, questa novella è stupenda, ti fa riflettere sul valore della libertà e immaginare le scene, come se fossi io stessa a guardare.
L’unico svantaggio che ho riscontrato durante la lettura di questo breve racconto è che il lessico e il modo di scrivere sono complessi. la non definizione dei luoghi e dei tempi,come l'assenza si una presentazione degli antefatti della vicenda,si può spiegare con l'intenzione di mettere il lettore"faccia a faccia col fatto nudo e schietto",catapultando fin da dalle prime parole,senza alcuna mediazione da parte del narratore,nel bel mezzo dell'azione.l'assenza di un filtro narrativo non seleziona un protagonista dal fatto che il narratore non seleziona un protagonista singolo al centro della scena ma mette in scena un soggetto collettivo indefinito("Sciorinarono....suonarono...cominciarono..")lasciando al dottore il compito di identificarne i connotati a partire dalle sue azioni:se in alcuni momenti singole figure emergono attraverso rapidi zoom cinematografici("una strega" riga 8, "un monello sciancato"riga 19,"il taglialegna"righe47-48),esse scompaiono immediatamente ,assorbite dalla massa. Il pessimismo sociale di verga io lo associo all'evidente pianto dei rivoltosi,questo significa che loro sanno che non cambieranno mai,dimostrazione di un pentimento che nasce dalla consapevolezza della loro situazione di inferiorità nei confronti di alcune classi sociali che l'anno sempre controllati e che hanno dettato le regole fino ad allora . La fine della novella è una mediazione perchè i contadini hanno bisogno dei padroni e viceversa, quindi traspare il conservatorismo dell'autore. Verga propone una storia in cui i contadini siciliani non riescono ,per vari motivi a ribaltare le loro condizioni ,neppure quando agiscono con la forza.

Anonimo ha detto...

Nella novella si racconta un episodio reale, avvenuto nel 1860 a Bronte, un paese alle falde dell’Etna, in occasione della spedizione dei Mille di Garibaldi. I contadini affamati, raccogliendo un proclama del condottiero e interpretandolo alla luce dei loro interessi materiali, si ribellano ai ricchi proprietari terrieri, facendone una strage. Il racconto si divide in tre momenti: nel primo si descrive la sanguinosa rivolta; nel secondo si mostra l’arrivo di Bixio e dei garibaldini, che fucilano alcuni fra gli insorti; nel terzo si rappresenta il ritorno della situazione alla precedente condizione, come se niente fosse successo. Il motivo sociale che sta alla base della novella (la contraddizione di classe nelle campagne durante il processo risorgimentale) era presente nella letteratura garibaldina. Inoltre esso stava particolarmente a cuore a Verga, sia per ragioni artistiche (le Novelle rusticane mostrano una crescente attenzione dell’autore per i motivi sociali), sia per ragioni politiche personali: era anche lui un proprietario terriero preoccupato per la diffusione delle idee socialiste, tanto che, nelle edizioni delle Novelle rusticane da lui ripubblicata nel 1920, trasforma il fazzoletto tricolore degli insorti in uno rosso. Bisogna in fine ricordare che Verga si era formato nel mito di Garibaldi, di Bixio, dell’unità d’Italia. Non c’è dunque da meravigliarsi, per esempio, se avvolge in un’aria mitica la figura di Bixio, giustificandone il comportamento e omettendo di ricordare che fra i fucilati ci fu un patriota democratico, antiborbonico e filo garibaldino, l’avvocato Lombardo. Il fatto poi che la conclusione della novella insista sull’impossibilità di mutar stato e sull’assurdità delle rivoluzioni ha a che fare, oltre che con l’ideologia politica conservatrice di Verga, con la sua filosofia ispirata ai principi del “darwismo sociale”, secondo cui la vita sociale è caratterizzata dalla lotta di ciascuno contro ciascuno. L’ideologia politica lo induce a una conclusione che ricalca singolarmente la morale dell’apologo di Menenio Agrippa: “ i galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza galantuomini. Fecero la pace”. Quanto all’ideologia filosofica, nel materialismo naturalistico di Verga non esiste l’idea di storia come progresso e neppure come sviluppo determinato dal conflitto di classe.

CONTI NIBALI STEFANO VE