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giovedì 28 gennaio 2010

CANTO VIII - PURGATORIO


Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;
quand'io incominciai a render vano
l'udire e a mirare una de l'alme
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.
Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando li occhi verso l'oriente,
come dicesse a Dio: 'D'altro non calme'.
'Te lucis ante' sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente;
e l'altre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l'inno intero,
avendo li occhi a le superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
chè 'l velo è ora ben tanto sottile,
certo che 'l trapassar dentro è leggero.
Io vidi quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sùe
quasi aspettando, palido e umìle;
e vidi uscir de l'alto e scender giùe
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue.
Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate.
L'un poco sovra noi a star si venne,
e l'altro scese in l'opposita sponda,
sì che la gente in mezzo si contenne.
Ben discernea in lor la testa bionda;
ma ne la faccia l'occhio si smarria,
come virtù ch'a troppo si confonda.
«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
disse Sordello, «a guardia de la valle,
per lo serpente che verrà vie via».
Ond'io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
tutto gelato, a le fidate spalle.
E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazioso fia lor vedervi assai».
Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse.
Temp'era già che l'aere s'annerava,
ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
non dichiarisse ciò che pria serrava.
Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra ' rei!
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi dimandò: «Quant'è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?».
«Oh!», diss'io lui, «per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che l'altra, sì andando, acquisti».
E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di sùbito smarrita.
L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
che sedea lì, gridando:«Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse».
Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
che tu dei a colui che sì nasconde
lo suo primo perché, che non lì è guado,
quando sarai di là da le larghe onde,
dì a Giovanna mia che per me chiami
là dove a li 'nnocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più m'ami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che, misera!, ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende
quanto in femmina foco d'amor dura,
se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.
Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com'avria fatto il gallo di Gallura».
Così dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa.
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso a lo stelo.
E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
E io a lui: «A quelle tre facelle
di che 'l polo di qua tutto quanto arde».
Ond'elli a me: «Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di là basse,
e queste son salite ov'eran quelle».
Com'ei parlava, e Sordello a sé il trasse
dicendo:«Vedi là 'l nostro avversaro»;
e drizzò il dito perché 'n là guardasse.
Da quella parte onde non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
leccando come bestia che si liscia.
Io non vidi, e però dicer non posso,
come mosser li astor celestiali;
ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali.
L'ombra che s'era al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta.
«Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant'è mestiere infino al sommo smalto»,
cominciò ella, «se novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che già grande là era.
Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina».
«Oh!», diss'io lui, «per li vostri paesi
già mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
e io vi giuro, s'io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.
Uso e natura sì la privilegia,
che, perché il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».
Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
sette volte nel letto che 'l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
che cotesta cortese oppinione
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d'altrui sermone,
se corso di giudicio non s'arresta».

Spunti per la riflessione

Nella "valletta dei Principi" si svolge una specie di sacra rappresentazione, di cui sono protagonisti gli angeli e il demonio.
Ricostruite il modo in cui si svolge questo rito e, dopo aver letto il commento (fotocopia) relativo,spiegate il valore simbolico.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

sera prof. ecco il mio commento:

Tra il colloquio di Dante e Nino Visconti e quello di Dante e Corrado Cisalpina,è inserita una sequenza, in cui si conclude il rito della tentazione che si ripete ogni sera nella valletta dei principi: il serpente (il peccato) arriva nella valletta, strisciando tra i fiori (i piaceri terreni), ma fugge alla vista degli angeli (l'aiuto divino).
Dante meravigliato vede tre delle stelle al posto delle quattro che brillavano nel cielo la mattina. il messaggio è che le virtù cardinali (fortezza, prudenza, temperanza e giustizia), non sono sufficienti per evitare la tentazioni, ma infatti occorrono le virtù teologali (fede, speranza e carità).

La valle dove le anime hanno in precedenza intonato l'inno "Salve Regina" è quella condizione terrena, già serena prima del peccato originale, in cui l'uomo è straniero e pellegrino, esposto alla contraddizione del male. la valletta riassume l'ambiguità della realtà mondana, originariamente buona, poi segnata dalla presenza del bene e del male. secondo Bottagisio, Pietrobono e successivamente dal Forti, la scena ha anche una valenza politica: gli angeli rappresentano i due poteri, temporale e spirituale, costituiti dalla provvidenza come rimedio al peccato originale. il rito, come ha ben descritto Petronio, è il vero cuore pulsante del canto, infatti ad esso è funzionale il tema dell'esilio dalla patria terrena.

TROVATO MANILA IV^E

Anonimo ha detto...

GIADA GIUFFRIDA

È l’ora del tramonto, che dà occasione a Dante di scrivere uno degli esordi più intensi del poema: “Era già l’ora che volge il disio/ ai navicanti e ‘ntenerisce il core/ lo dì c’han detto ai dolci amici addio…”. Una delle anime della valletta alza le mani e, guardando fisso verso oriente, inizia ad intonare l’inno “Te lucis ante”, seguita da tutti gli altri penitenti. A questo punto due angeli con due spade infuocate e senza punta scendono dal cielo e si pongono ai due lati della valletta, in modo da lasciare nel mezzo le anime dei penitenti. Sordello spiega che i due angeli sono stati inviati dalla Madonna per proteggere la valletta, perché di lì a poco comparirà un serpente, e invita i poeti a scendere tra le anime. Qui un’anima comincia a fissare Dante, e i due si riconoscono: è Nino Visconti, signore della Gallura in Sardegna, figlio di Giovanni e genero del conte Ugolino della Gherardesca. Il poeta scopre con gioia che è destinato alla salvezza, e i due amici si salutano caramente. Mentre Dante si sofferma a fissare tre stelle luminose apparse al posto delle quattro ammirate al mattino dalla spiaggia, giunge il serpente: forse, lo stesso che spinse Eva a cogliere il frutto proibito nel Paradiso terrestre. Con grande rapidità intervengono gli angeli che, messa in fuga la serpe, volano via.
Tema centrale del canto è l’esilio. L’esilio riguarda i principi del la valletta, esclusi per lungo tempo dalla citta celeste. Il tema,inoltre, viene ampliato con il riferimento al peccato originale nell’episodio del serpente: a causa di esso gli uomini vennero cacciati per sempre, dunque esiliati, dal Paradiso terrestre.

Anonimo ha detto...

È il tramonto, momento della giornata particolarmente nostalgico per i marinai e i pellegrini, quando il poeta è attratto da un’anima che alzatasi in piedi intona un canto dolcissimo (“De lucis ante terminum”), al quale si uniscono Dante e tutti gli altri spiriti. Terminato il canto le anime fissano il cielo, in silenzio, come in attesa. Ed ecco dal cielo scendere due angeli, vestiti di verde, che, con spade infuocate si pongono a guardare dalla valle. Sordello spiega che gli angeli, inviati dalla Madonna, vengono a proteggere gli spiriti dal serpente che sta per arrivare. Dante, impaurito, si stringe a Virgilio. Dietro invito di Sordello, Dante accede alla valle e subito incontra, compiacendosi nel vederlo tra le anime destinate alla salvezza, il vecchio amico Nino Visconti. Questi, saputo che Dante è vivo, dopo aver chiamato un’altra anima, chiede al padre fiorentino di ricordarlo a sua figlia Giovanna; sua moglie, infatti, risposatasi non si cura più di pregare per la sua anima. Mentre Nino Visconti finisce di parlare, Dante, guardando il cielo, nota tre nuove stelle e Virgilio lo informa che, nel frattempo, sono tramontate le quattro stelle viste al mattino. Sordello interviene, indicando il serpente; velocissimi, i due angeli scacciano la bestia e tornano al loro posto. Intanto Corrado Malaspina che era stato chiamato da Nino Visconti, non ha distolto lo sguardo da Dante. Fuggito il serpente, egli si presenta e chiede notizie della sua terra. Dante tesse l’elogio della cortesia dei Malaspina di Lunigiana, la cui fama si è sparsa in tutta Europa. Corrado infine,profetizza che Dante entro pochi anni, potrà verificare di persona quanto ha appena affermato.

SIMBOLI:
•Le tre stelle rappresentano le tre virtù teologiche: FEDE SPERANZA E CARITA’, prendendo il posto delle quattro stelle che rappresentavano la PRUDENZA, GIUSTIZIA, FORTEZZA, TEMPERANZA.
•La spada simboleggia la giustizia
•Il verde delle vesti e delle ali è simbolo della speranza



A domani prof..:)

Mery Pafumi

Anonimo ha detto...

Sera prof.essa

Al calar del giorno, una delle anime che si trovano nella valletta dei principi chiede alle altre attenzione e silenzio: al che, intona la preghiera della compieta, il Te lucis ante terminum, richiesta di aiuto a Dio contro le tentazioni della notte. Tutte, allora, si uniscono a lei un canto soave, nell'ascolto del quale Dante si immerge profondamente. Segue un appello del poeta al lettore perché interpreti correttamente - cioè in senso allegorico e non in modo semplicistico - gli eventi che verranno descritti. Due angeli con due spade infuocate, ma prive delle punte, dalle ali e dalle vesti di color verde, scendono sulle anime: la loro chioma è bionda, ma il volto è talmente luminoso che a mala pena può essere scorto. Sordello, dopo aver spiegato che essi vengono dall'Empireo a proteggere la valle dall'imminente avvento del serpente, invita Dante a parlare con le anime che ivi dimorano. Avviene allora l'incontro tra Dante e il giudice Nino Visconti, al termine del quale lo sguardo di Dante è attratto dalla vista di tre stelle, simbolo delle tre virtù teologali. Subito dopo compare, strisciando tra l'erba e i fiori, l'annunciato serpente, tempestivamente messo in fuga dai due angeli. Sventato il pericolo, Dante si mette a parlare con una seconda anima, quella di Corrado Malaspina che prima di congedarsi profetizza al poeta il suo futuro soggiorno in Lunigiana presso la sua famiglia.


Antonella Salvà