"Per per si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
3 per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
6 la somma sapïenza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
9 Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".
Queste parole di colore oscuro
vid’ïo scritte al sommo di una porta;
12 per ch’io: "Maestro, il senso lor m’è duro".
Ed elli a me, come persona accorta:
"Qui si convien lasciare ogne sospetto;
15 ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
18 c’hanno perduto il ben de l’intelletto".
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’io mi confortai,
21 mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
24 per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
27 voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
30 come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch’i’ odo?
33 e che gent’è che par nel duol sì vinta?".
Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
36 che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
39 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
42 ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli".
E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?".
45 Rispuose: "Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
48 che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
51 non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
che girando correva tanto ratta,
54 che d’ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
57 che morte tanta n’avesse disfatta.
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
60 che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi,
63 a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
66 da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
69 da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
72 per ch’io dissi: "Maestro, or mi concedi
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
75 com’i’ discerno per lo fioco lume".
Ed elli a me: "Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
78 su la trista riviera d’Acheronte".
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave,
81 infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
84 gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
87 ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
90 Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
93 più lieve legno convien che ti porti".
E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
96 ciò che si vuole, e più non dimandare".
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
99 che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
102 ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
105 di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
108 ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
111 batte col remo qualunque s’adagia.
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
114 vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
117 per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
120 anche di qua nuova schiera s’auna.
"Figliuol mio", disse ’l maestro cortese,
"quelli che muoion ne l’ira di Dio
123 tutti convegnon qui d’ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
126 sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
129 ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona".
Finito questo, la buia campagna
tremò si forte, che de lo spavento
132 la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
136 e caddi come l’uom cui sonno piglia.
Approfondite la figura storica di Celestino V e il suo rapporto con Bonifacio VIII
la trama in sequenze
vv.1-21
vv.22-69
vv.70-120
vv.121-136
Figure retoriche salienti
3 commenti:
TRAMA IN SEQUENZE
Vv. 1-21
I due poeti sono davanti alla porta dell'Inferno. Dante legge su di essa una terribile iscrizione, che dichiarando l'eternità del luogo, ammonisce chi entra a lasciare ogni speranza. Queste parole turbano il poeta, ma Virgilio lo rinfranca esortandolo a lasciare ogni dubbio e ogni viltà. Così, presolo per mano, lo introduce nel regno dei morti.
Vv. 22-69
Appena entrato nell'Inferno, Dante è colpito da sospiri, pianti e lamenti: il poeta è in lacrime. Chiesto a Virgilio chi sono quelle genti che si lamentano, viene a sapere che sono le anime degli Ignavi, respinte dallo stesso Inferno per la loro vita senza scopo. Virgilio sdegnosamente invita il poeta a passare oltre e a limitarsi solo a guardare perché non sono degni di nulla, solo del silenzio. Dante scorge l'ombra di colui che fece un gran rifiuto(Papa Celestino V) e non lo nomina neppure andando avanti. Osserva la loro pena. Sono costretti a correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi, mentre il sangue che riga il loro volto e le lacrime cadono a terra raccolte da vermi fastidiosi.
Vv. 70-111
Dante vede sulla riva di un fiume(l'Acheronte) molte anime che appaiono desiderose di passare dall'altra riva. Improvvisamente appare sul fiume un'imbarcazione condotta da un vecchio canuto, Caronte, che rivolge alle anime minacce terribili. E poi rivoltosi a Dante gli ordina di ritornare indietro, perché di li non potrà passare. Ma Virgilio lo invita a non preoccuparsi poiché il viaggio di Dante è voluto da Dio. Intanto le anime, urlando e maledicendo Dio, salgono sulla barca e Caronte le percuote con il remo.
Vv. 112-136
Virgilio spiega a Dante che attraverso l'Acheronte non può passare anima non dannata. Appena terminato questo discorso, un bagliore improvviso squarcia le tenebre, preceduto da un terremoto pauroso, per cui Dante perde i sensi e sviene.
CELESTINO V E BONIFACIO VIII
Alla morte di Niccolò IV i Cardinali non riuscirono a mettersi d'accordo sul successore. Allora scelsero Pietro da Marrone, un povero frate abbruzzese. Quando frate Pietro venne a conoscenza di questo fatto, tentò la fuga, ma fu preso e incoronato col nome di Celestino V. Celestino V non si trovava bene tra tutti gli intrighi della chiesa e quindi preparò una bolla pontificia con cui annunciava la sua abdicazione. La storia ci narra che il testo della bolla fu preparato dal Cardinale Caetani che dopo l'abdicazione di Celestino V fu incoronato Papa Bonifacio VIII. Quest'ultimo come prima cosa fece arrestare frate Pietro (Celestino V).
GIUSEPPE LONGO III E
TRAMA IN SEQUENZE
Vv. 1-21
I due poeti sono davanti alla porta dell'Inferno. Dante legge su di essa una terribile iscrizione, che dichiarando l'eternità del luogo, ammonisce chi entra a lasciare ogni speranza. Queste parole turbano il poeta, ma Virgilio lo rinfranca esortandolo a lasciare ogni dubbio e ogni viltà. Così, presolo per mano, lo introduce nel regno dei morti.
Vv. 22-69
Appena entrato nell'Inferno, Dante è colpito da sospiri, pianti e lamenti: il poeta è in lacrime. Chiesto a Virgilio chi sono quelle genti che si lamentano, viene a sapere che sono le anime degli Ignavi, respinte dallo stesso Inferno per la loro vita senza scopo. Virgilio sdegnosamente invita il poeta a passare oltre e a limitarsi solo a guardare perché non sono degni di nulla, solo del silenzio. Dante scorge l'ombra di colui che fece un gran rifiuto(Papa Celestino V) e non lo nomina neppure andando avanti. Osserva la loro pena. Sono costretti a correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi, mentre il sangue che riga il loro volto e le lacrime cadono a terra raccolte da vermi fastidiosi.
Vv. 70-111
Dante vede sulla riva di un fiume(l'Acheronte) molte anime che appaiono desiderose di passare dall'altra riva. Improvvisamente appare sul fiume un'imbarcazione condotta da un vecchio canuto, Caronte, che rivolge alle anime minacce terribili. E poi rivoltosi a Dante gli ordina di ritornare indietro, perché di li non potrà passare. Ma Virgilio lo invita a non preoccuparsi poiché il viaggio di Dante è voluto da Dio. Intanto le anime, urlando e maledicendo Dio, salgono sulla barca e Caronte le percuote con il remo.
Vv. 112-136
Virgilio spiega a Dante che attraverso l'Acheronte non può passare anima non dannata. Appena terminato questo discorso, un bagliore improvviso squarcia le tenebre, preceduto da un terremoto pauroso, per cui Dante perde i sensi e sviene.
CELESTINO V E BONIFACIO VIII
Alla morte di Niccolò IV i Cardinali non riuscirono a mettersi d'accordo sul successore. Allora scelsero Pietro da Marrone, un povero frate abbruzzese. Quando frate Pietro venne a conoscenza di questo fatto, tentò la fuga, ma fu preso e incoronato col nome di Celestino V. Celestino V non si trovava bene tra tutti gli intrighi della chiesa e quindi preparò una bolla pontificia con cui annunciava la sua abdicazione. La storia ci narra che il testo della bolla fu preparato dal Cardinale Caetani che dopo l'abdicazione di Celestino V fu incoronato Papa Bonifacio VIII. Quest'ultimo come prima cosa fece arrestare frate Pietro (Celestino V).
GIUSEPPE LONGO III E
TRAMA IN SEQUENZE
Vv. 1-21
I due poeti sono davanti alla porta dell'Inferno. Dante legge su di essa una terribile iscrizione, che dichiarando l'eternità del luogo, ammonisce chi entra a lasciare ogni speranza. Queste parole turbano il poeta, ma Virgilio lo rinfranca esortandolo a lasciare ogni dubbio e ogni viltà. Così, presolo per mano, lo introduce nel regno dei morti.
Vv. 22-69
Appena entrato nell'Inferno, Dante è colpito da sospiri, pianti e lamenti: il poeta è in lacrime. Chiesto a Virgilio chi sono quelle genti che si lamentano, viene a sapere che sono le anime degli Ignavi, respinte dallo stesso Inferno per la loro vita senza scopo. Virgilio sdegnosamente invita il poeta a passare oltre e a limitarsi solo a guardare perché non sono degni di nulla, solo del silenzio. Dante scorge l'ombra di colui che fece un gran rifiuto(Papa Celestino V) e non lo nomina neppure andando avanti. Osserva la loro pena. Sono costretti a correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi, mentre il sangue che riga il loro volto e le lacrime cadono a terra raccolte da vermi fastidiosi.
Vv. 70-111
Dante vede sulla riva di un fiume(l'Acheronte) molte anime che appaiono desiderose di passare dall'altra riva. Improvvisamente appare sul fiume un'imbarcazione condotta da un vecchio canuto, Caronte, che rivolge alle anime minacce terribili. E poi rivoltosi a Dante gli ordina di ritornare indietro, perché di li non potrà passare. Ma Virgilio lo invita a non preoccuparsi poiché il viaggio di Dante è voluto da Dio. Intanto le anime, urlando e maledicendo Dio, salgono sulla barca e Caronte le percuote con il remo.
Vv. 112-136
Virgilio spiega a Dante che attraverso l'Acheronte non può passare anima non dannata. Appena terminato questo discorso, un bagliore improvviso squarcia le tenebre, preceduto da un terremoto pauroso, per cui Dante perde i sensi e sviene.
CELESTINO V E BONIFACIO VIII
Alla morte di Niccolò IV i Cardinali non riuscirono a mettersi d'accordo sul successore. Allora scelsero Pietro da Marrone, un povero frate abbruzzese. Quando frate Pietro venne a conoscenza di questo fatto, tentò la fuga, ma fu preso e incoronato col nome di Celestino V. Celestino V non si trovava bene tra tutti gli intrighi della chiesa e quindi preparò una bolla pontificia con cui annunciava la sua abdicazione. La storia ci narra che il testo della bolla fu preparato dal Cardinale Caetani che dopo l'abdicazione di Celestino V fu incoronato Papa Bonifacio VIII. Quest'ultimo come prima cosa fece arrestare frate Pietro (Celestino V).
GIUSEPPE LONGO III E
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