GIOVANNI PASCOLI
NOVEMBRE
Gèmmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno; solo, alle ventate
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cadere fragile. E' l'estate,
fredda, dei morti.
Commento alla poesia Novembre
Premessa: la poesia risale al 1891 e fu pubblicata nella prima raccolta di Pascoli, Myricae (titolo
desunto da una bucolica di Virgilio: piantine umili, come umile, per anime semplici, per il
fanciullino, vorrebbe essere la poesia di Pascoli).
Per le tematiche, si potrebbe confrontarla con l’altra celeberrima S. Martino del maestro
universitario di Pascoli, Carducci (si veda il commento in questa stessa Alma DL), scritta solo 8
anni prima.
La struttura metrica è ancora classica (3 strofe “saffiche”, di 3 endecasillabi e un quinario, con rime
alternate), ma sfruttata in modo già moderno: si veda la frequenza degli enjambements (il discorso
non si interrompe alla fine di un verso ma continua nel verso successivo). Tipica della lingua
poetica tradizionale è invece l’anteposizione dell’aggettivo al nome, non esclusiva ma in ogni caso
prevalente (gemmea aria, secco pruno, vuoto cielo ecc.): questo si adatta alla sensibilità
“impressionistica” di Pascoli, per la quale si direbbe che il colore, la qualità, venga prima, sia
rivelatrice dell’essenza delle cose, la “sostanza” tradizionalmente rappresentata dai “sostantivi”.
v.1: la frase principale (da cui dipendono le due subordinate consecutive dei vv. 2-4) è costituita da
due proposizioni nominali (col verbo essere sottinteso). L’aggettivo gemmeo ‘limpido, trasparente
(e anche freddo) come una gemma’è tipico della poesia di fine ’800 o inizio ’900: dal principale
vocabolario storico italiano (il Battaglia, edito dall’Utet in 21 volumi) troviamo il gemmeo pallore
di una donna in Carducci e D’Annunzio, e l’azzurro gemmeo del cielo in Ada Negri.
v. 2: frase consecutiva, come la seguente coordinata (ricerchi… e senti); il tu è ovviamente
generico, per indicare l’ascoltatore, cioè uno qualunque di noi.
Più avanti invece vediamo che la sintassi è fondata soltanto sulla coordinazione, sull’aggiunta di sensazioni, di impressioni una dopo l’altra, mediante la congiunzione e (ben quattro volte ai vv. 3-
7): quasi come il fanciullino che un po’per volta fa scoperte nuove e vede smentite le sue prime
immaginazioni.
v. 3: prunalbo, forma dotta, latineggiante, per l’italiano biancospino (famoso, in Pascoli, quello la
cui fioritura è paragonata al vestito nuovo di Valentino). Non è molto documentato in italiano: un
solo esempio nel Trecento, poi si passa all’Ottocento. È notoria la precisione con cui Pascoli amava
denominare piante e animali, in una reazione all’indeterminatezza o alla falsità della poesia
precedente.
v. 4 nel cuore in astratto (metonimia, come lingua per indicare la capacità di parlare e il discorso),
come immaginata sede dei sentimenti.
vv. 5-8: la strofa si caratterizza per la frequenza degli aggettivi anteposti al nome (5, contro uno solo
posposto, piè sonante). L’inizio con Ma (altra congiunzione coordinante) indica che questa frase è
strettamente connessa a quella che precede: se al principio (strofa 1) ci si era illusi della primavera,
della vita che rinasce, adesso quel ma ci richiama alla realtà dell’autunno, presagio di morte.
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