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martedì 24 maggio 2011

La "poesia pura"

vd. Ermetismo







Con gli anni venti nasce in Italia una nuova poesia , il cui tratto distintivo è la sua dimensione lirica.E' la poesia di Ungaretti,Montale, Saba,Saba, Quasimodo e dell'Ermetismo, che si caratterizza come:


  • ricerca del significato più profondo del mistero dell'esistenza,al di là delle parvenze quotidiane, della storia,delle ideologie,attraverso un vertiginoso scavo interiore dentro la propria esperienza autobiografica;
  • fondazione di una nuova poesia, che si libera da ogni intenzione oratoria , didascalica, discorsiva tipica della precedente poesia italiana e si ricollega alla poetica del simbolismo francese, recuperando e superando tendenze già presenti nel frammentismo della" Voce ", in Campana , nella stessa vocazione lirica della prosa d'arte della Ronda .
I nuovi poeti consapevoli della crisi di valori del mondo moderno,della solitudine dell'uomo, della drammaticità di un'esistenza stretta tra la disperazione e la ricerca del" varco"(Montale) o "dell'illusione per farci coraggio"
si affidano alla poesia come all'illusione suprema , capace di riscattare l'uomo dal "male di vivere".
La poesia diventa così mezzo di conoscenza , illuminazione che coglie il senso delle cose.
Ma per poter compiere questa operazione, essa deve liberarasi dalla razionalità usuale delle forme discorsive i cui nessi logico-sintattici descrivono una realtà senza senso) e recuperare la "purezza della parola" , attarverso una vera e propria rivoluzione formale, i cui caratteri sono:
l'essenzialità della parola, che dà alla singola parola il valore di un'immagine e ne recupera il significato originario che l'uso corrente ha ormai logorato;
la tecnica dell'analogia , che sconvolge i nessi logico-sintattici del linguaggio comune  e accosta le cose più lontane tra loro attraverso la potenza evocativa della parola, cogliendo in questo modo il mistero che si cela dietro le parvenze del reale.

 Con il suo senso della solitudine, la sua mancanza di salde certezze e la concezione della vita come dolore, Eugenio Montale è l’interprete forse più suggestivo e originale della condizione di crisi dell’uomo contemporaneo. Nessun poeta italiano del Novecento quanto Montale rappresenta il simbolo di un secolo di inquietudine sociale e di angoscia esistenziale per la caduta di punti fermi ideologici e morali.


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!



Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

Con questa poesia-manifesto Eugenio Montale inaugura la raccolta “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925 e destinata a rivoluzionare la poesia italiana. Il componimento ci colpisce sia da un punto di vista formale, sia per l’intensità della dichiarazione d’intenti: il “Non chiederci la parola” coincide, infatti, col rifiuto da parte del poeta di presentarsi come vate, alla maniera classica e poi dannunziana; il tutto è sostenuto da una versificazione innovativa,  che ad elementi tradizionali unisce la “trasgressione” di versi niente affatto regolari. Ma è soprattutto la programmaticità del testo a colpirci, e sotto sotto a coinvolgerci: quel “Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” suona all’orecchio del contemporaneo come slogan dal sapore di rivoluzione intriso di una disperata, ma battagliera, rassegnazione in cui i giovani non possono che identificarsi.  vd.Montale

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