Il valore della cooperazione nell'innovazione della didattica
Moderatrice:Prof.ssa Maria Allo
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mercoledì 29 settembre 2010
PARADISO CANTO I
2 commenti:
Anonimo
ha detto...
Antonella Salvà
Il termine "classico", e "classicismo", derivano dal latino "classicus", che indicava chi apparteneva alla prima classe di cittadini, i quali a Roma venivano divisi per censo; l’accezione originaria implica pertanto una distinzione per una superiorità sociale, morale e intellettuale. Il termine "classico" fu usato per la prima volta da un erudito latino del secondo secolo d.C., Aulo Gellio, con il significato di autore eccellente, "esemplare". "Classicus" equivaleva quindi a "di prima classe", "di prima qualità"; in senso traslato indicava quegli scrittori dell’età aurea augustea degni, per la loro importanza e per i risultati di alta elaborazione formale da essi raggiunti, di essere presi a modello. Ma le nozioni di classico e classicismo hanno una più ampia estensione. Con il primo termine si fa di solito riferimento all’intera cultura antica, greca e latina; con il secondo si intende il culto di questa cultura nei suoi più vari aspetti.Più specificatamente classicismo è ogni atteggiamento di fedeltà ai grandi classici antichi, cioè un fenomeno culturale, o momento storico, che trae origine dai modelli "classici", ossia per le sue caratterizzazioni emergenti, "esemplari". In linea di massima, il richiamo ai classici antichi, sviluppatosi soprattutto nel periodo umanistico-rinascimentale, si è arricchito di una ideologia della misura, dell’equilibrio, nella ricerca di chiarezza, nitidezza, razionalità espressiva. Ma le diversità delle situazioni presentatesi nel tempo sconsiglia generalizzazioni sommarie: quindi "classico", più che come indicazione di certe modalità formali riferite alla letteratura greco-latina (quanto è dotato di armonico e razionale equilibrio), va preso come indicazione di una continuità di culture e di gusto.In generale, quindi, con il termine classicismo ci riferiamo principalmente all’imitazione di modelli antichi (il principio dell’imitatio).
Segue antonella Salvà Durante l’età napoleonica si sviluppò in Europa, e particolarmente in Italia, un movimento artistico che vien detto “Neoclassicismo” perché si ispira all’arte antica dei Greci e dei Romani. L’affermazione di questo movimento deve molto al rinnovato interesse per gli studi archeologici e all’entusiasmo suscitato dal ritrovamento di preziose opere d’arte affiorate durante gli scavi di Ercolano, di Pompei, di Paestum e del Lazio. Ma anche al favore di Napoleone Bonaparte, fervido ammiratore della grandezza di Roma, fino a considerarsi l’erede naturale di quella grandezza e ad affermare: “Io sono un imperatore romano; sono della migliore stirpe dei Cesari, stirpe di creatori di opere, di plasmatori di uomini”. E proprio per devoto riguardo al sommo imperatore, il nuovo gusto sconfinò dal terreno propriamente dell’arte in quello della vita civile, riflettendosi nella foggia degli abiti, nelle acconciature dei capelli, nello stile dei mobili, ecc. La poetica del Neoclassicismo era stata delineata dall’archeologo tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann (1717-1768), autore di una “Storia dell’arte dell’antichità” e prefetto della Vaticana, ed era stata poi approfondita dal pittore boemo Raffaello Mengs (1728-1779), direttore dell’Accademia di Pittura di Roma. La loro teoria si estese ben presto dalle arti figurative alla letteratura. Secondo il Winckelmann gli artisti antichi, greci e latini, avevano realizzato il “bello ideale”, consistente in un’armonica fusione di linee e di volumi che, pur utilizzando gli elementi presenti nella Natura, non rappresentassero nessun aspetto particolare e definito della Natura stessa e si librassero invece, fuori del tempo e dello spazio reali, nella sfera platonica delle “pure idee”. Condizione essenziale per realizzare tale arte sarebbe stata la “calma interiore”, l’assoluta libertà dello spirito da ogni passione o interesse terreni: condizione, questa, che dogmaticamente si attribuiva come congenita soprattutto al mondo ellenico. Da questa teoria derivava la nozione che, per voler riproporre l’arte classica, fosse necessario liberarsi da tutti i problemi terreni e collocarsi al di fuori del tempo e dello spazio.
2 commenti:
Antonella Salvà
Il termine "classico", e "classicismo", derivano dal latino "classicus", che indicava chi apparteneva alla prima classe di cittadini, i quali a Roma venivano divisi per censo; l’accezione originaria implica pertanto una distinzione per una superiorità sociale, morale e intellettuale. Il termine "classico" fu usato per la prima volta da un erudito latino del secondo secolo d.C., Aulo Gellio, con il significato di autore eccellente, "esemplare". "Classicus" equivaleva quindi a "di prima classe", "di prima qualità"; in senso traslato indicava quegli scrittori dell’età aurea augustea degni, per la loro importanza e per i risultati di alta elaborazione formale da essi raggiunti, di essere presi a modello. Ma le nozioni di classico e classicismo hanno una più ampia estensione. Con il primo termine si fa di solito riferimento all’intera cultura antica, greca e latina; con il secondo si intende il culto di questa cultura nei suoi più vari aspetti.Più specificatamente classicismo è ogni atteggiamento di fedeltà ai grandi classici antichi, cioè un fenomeno culturale, o momento storico, che trae origine dai modelli "classici", ossia per le sue caratterizzazioni emergenti, "esemplari".
In linea di massima, il richiamo ai classici antichi, sviluppatosi soprattutto nel periodo umanistico-rinascimentale, si è arricchito di una ideologia della misura, dell’equilibrio, nella ricerca di chiarezza, nitidezza, razionalità espressiva. Ma le diversità delle situazioni presentatesi nel tempo sconsiglia generalizzazioni sommarie: quindi "classico", più che come indicazione di certe modalità formali riferite alla letteratura greco-latina (quanto è dotato di armonico e razionale equilibrio), va preso come indicazione di una continuità di culture e di gusto.In generale, quindi, con il termine classicismo ci riferiamo principalmente all’imitazione di modelli antichi (il principio dell’imitatio).
Antonella Salvà
Segue antonella Salvà
Durante l’età napoleonica si sviluppò in Europa, e particolarmente in Italia, un movimento artistico che vien detto “Neoclassicismo” perché si ispira all’arte antica dei Greci e dei Romani. L’affermazione di questo movimento deve molto al rinnovato interesse per gli studi archeologici e all’entusiasmo suscitato dal ritrovamento di preziose opere d’arte affiorate durante gli scavi di Ercolano, di Pompei, di Paestum e del Lazio. Ma anche al favore di Napoleone Bonaparte, fervido ammiratore della grandezza di Roma, fino a considerarsi l’erede naturale di quella grandezza e ad affermare: “Io sono un imperatore romano; sono della migliore stirpe dei Cesari, stirpe di creatori di opere, di plasmatori di uomini”. E proprio per devoto riguardo al sommo imperatore, il nuovo gusto sconfinò dal terreno propriamente dell’arte in quello della vita civile, riflettendosi nella foggia degli abiti, nelle acconciature dei capelli, nello stile dei mobili, ecc. La poetica del Neoclassicismo era stata delineata dall’archeologo tedesco Giovanni Gioacchino Winckelmann (1717-1768), autore di una “Storia dell’arte dell’antichità” e prefetto della Vaticana, ed era stata poi approfondita dal pittore boemo Raffaello Mengs (1728-1779), direttore dell’Accademia di Pittura di Roma. La loro teoria si estese ben presto dalle arti figurative alla letteratura. Secondo il Winckelmann gli artisti antichi, greci e latini, avevano realizzato il “bello ideale”, consistente in un’armonica fusione di linee e di volumi che, pur utilizzando gli elementi presenti nella Natura, non rappresentassero nessun aspetto particolare e definito della Natura stessa e si librassero invece, fuori del tempo e dello spazio reali, nella sfera platonica delle “pure idee”. Condizione essenziale per realizzare tale arte sarebbe stata la “calma interiore”, l’assoluta libertà dello spirito da ogni passione o interesse terreni: condizione, questa, che dogmaticamente si attribuiva come congenita soprattutto al mondo ellenico. Da questa teoria derivava la nozione che, per voler riproporre l’arte classica, fosse necessario liberarsi da tutti i problemi terreni e collocarsi al di fuori del tempo e dello spazio.
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