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lunedì 12 aprile 2010

CANTO XXIII PURGATORIO

"...CHI SON QUELLE
DUE ANIME CHE LA' TI FANNO SCORTA;
NON RIMANER CHE TU NON MI FAVELLE!"

Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava ïo sì come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,

lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
vienne oramai, ché 'l tempo che n'è imposto
più utilmente compartir si vuole».

Io volsi 'l viso, e 'l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan sìe,
che l'andar mi facean di nullo costo.

Ed ecco piangere e cantar s'udìe
'Labïa mëa, Domine' per modo
tal, che diletto e doglia parturìe.

«O dolce padre, che è quel ch'i' odo?»,
comincia' io; ed elli: «Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo».

Sì come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno,

così di retro a noi, più tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
d'anime turba tacita e devota.

Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
palida ne la faccia, e tanto scema
che da l'ossa la pelle s'informava.

Non credo che così a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando più n'ebbe tema.

Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perdé Ierusalemme,
quando Maria nel figlio diè di becco!'.

Parean l'occhiaie anella sanza gemme:
chi nel viso de li uomini legge 'omo'
ben avria quivi conosciuta l'emme.

Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
sì governasse, generando brama,
e quel d'un'acqua, non sappiendo como?

Già era in ammirar che sì li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,

ed ecco del profondo de la testa
volse a me li occhi un'ombra e guardò fiso;
poi gridò forte: «Qual grazia m'è questa?».

Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ciò che l'aspetto in sé avea conquiso.

Questa favilla tutta mi raccese
mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.

«Deh, non contendere a l'asciutta scabbia
che mi scolora», pregava, «la pelle,
né a difetto di carne ch'io abbia;

ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
due anime che là ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!».

«La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
mi dà di pianger mo non minor doglia»,
rispuos' io lui, «veggendola sì torta.

Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
non mi far dir mentr' io mi maraviglio,
ché mal può dir chi è pien d'altra voglia».

Ed elli a me: «De l'etterno consiglio
cade vertù ne l'acqua e ne la pianta
rimasa dietro, ond' io sì m'assottiglio.

Tutta esta gente che piangendo canta
per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rifà santa.

Di bere e di mangiar n'accende cura
l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.

E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,

ché quella voglia a li alberi ci mena
che menò Cristo lieto a dire 'Elì',
quando ne liberò con la sua vena».

E io a lui: «Forese, da quel dì
nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu' anni non son vòlti infino a qui.

Se prima fu la possa in te finita
di peccar più, che sovvenisse l'ora
del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,

come se' tu qua sù venuto ancora?
Io ti credea trovar là giù di sotto,
dove tempo per tempo si ristora».

Ond' elli a me: «Sì tosto m'ha condotto
a ber lo dolce assenzo d'i martìri
la Nella mia con suo pianger dirotto.

Con suoi prieghi devoti e con sospiri
tratto m'ha de la costa ove s'aspetta,
e liberato m'ha de li altri giri.

Tanto è a Dio più cara e più diletta
la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare è più soletta;

ché la Barbagia di Sardigna assai
ne le femmine sue più è pudica
che la Barbagia dov' io la lasciai.

O dolce frate, che vuo' tu ch'io dica?
Tempo futuro m'è già nel cospetto,
cui non sarà quest' ora molto antica,

nel qual sarà in pergamo interdetto
a le sfacciate donne fiorentine
l'andar mostrando con le poppe il petto.

Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?

Ma se le svergognate fosser certe
di quel che 'l ciel veloce loro ammanna,
già per urlare avrian le bocche aperte;

ché, se l'antiveder qui non m'inganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.

Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira là dove 'l sol veli».

Per ch'io a lui: «Se tu riduci a mente
qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.

Di quella vita mi volse costui
che mi va innanzi, l'altr' ier, quando tonda
vi si mostrò la suora di colui»,

e 'l sol mostrai; «costui per la profonda
notte menato m'ha d'i veri morti
con questa vera carne che 'l seconda.

Indi m'han tratto sù li suoi conforti,
salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che 'l mondo fece torti.

Tanto dice di farmi sua compagna
che io sarò là dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.

Virgilio è questi che così mi dice»,
e addita'lo; «e quest' altro è quell' ombra
per cuï scosse dianzi ogne pendice

lo vostro regno, che da sé lo sgombra».

PARAFRASI

1.Descrivi la pena dei golosi(VV16-36)

2.Cosa chiede Forese a Dante, dopo essersi rivelato, e cosa gli risponde il poeta?(vv.49-60)

3.Quali accuse Forese muove alle donne fiorentine?(vv.91-114)

APPROFONDIRE

1.Il Purgatorio è la cantica in cui è più presente il tema dell'amicizia: approfondiscilo, confrontando l'episodio di Forese con quello di Casella nel canto II.

2.Nei canti V,VIII e XXIII del Purgatorio, Dante presenta tre figure di vedove:confrontale.

6 commenti:

Sandro ha detto...

1)la pena dei golosi doveva consistere nel soffrire la fame e la sete guardando frutta e acque. Così il loro desiderio non poteva essere soddisfatto. Ma ciò era un tormento sano in quanto li conduceva alla beatitudine

2)Forese chiede a Dante come mai, essendo un'anima viva si trovi nel purgatorio.Dante risponde a sua volta con un'altra domanda. Egli chiede la causa della magrezza sua e delle anime che si trovano con lui.

3)Forese Donati con le sue parole esprime una violenta invettiva contro le donne fiorentine. Di esse egli critica i malcostumi e la mancanza di pudore. Ciò è una ulteriore critica nei confronti di Firenze e il suo popolo

Anonimo ha detto...

1)i golosi poichè in vita si diedero ai piaceri di gola, ora sono costretti a soffrire fame e sete e sono magrissimi

2)Forese chiede a Dante come mai,ancora vivo, sia nel purgatorio.Dante invece di dare risposta alla domanda chiede il motivo della sua magrezza e il perchè della condizione di quelle anime.

3)Forese accusa le donne fiorentine del gesto fatto una volta rimaste vedove(come per esempio il risposarsi),venendo meno alla fedeltà e alla memoria dei mariti.

Francesca Auditore

Anonimo ha detto...

GIADA GIUFFRIDA

1)anime terribilmente macilente,la pelle prende forma dalle ossa,le occhiaie sono vuote e buie, pallida la faccia :un corteo di spettri,di affamati,quali a volte emergevano nel paesaggio cittadino dopo un lungo assedio o in seguito a spaventevoli carestie. Sono i golosi: furono stimolati freneticamente da un'insaziabile fame e sete, sono ora puniti nella gola:soffrono atrocemente la fame e sete,ridestate in loro dalla vista di frutte e acque, però intoccabili.

2)Forese vuol sapere dall'amico come,vivo, faccia il viaggio nell'aldilà. Dante invece di rispondere alla domanda chiede il motivo della sua magrezza.

3)Nelle sue parole, Forese esprime la più violenta invettiva dantesca contro i malcostumi sfacciati e impudichi delle donne di firenze. non è un omaggio alla retorica della letteratura misogina, ma un ulteriore aspetto della polemica contro Firenze ed il suo popolo.

Anonimo ha detto...

1) I golosi sono coloro che in vita si abbandonarono ai piaceri della tavola, ora nella sesta cornice del purgatorio sono costretti a correre velocemente soffrendo la fame e la sete, che li rendono paurosamente magri. Essi inoltre devono meditare su esempi di temperanza e di golosità.
2) Quando Forese incontra Dante vuole sapere da lui la natura del suo viaggio ultraterreno, ma quest'ultimo invece di rispondere, a sua volta, chiede quali sono le cause della magrezza sua e delle anime che si trovano in quella cornice.
3) La corruzione di Firenze è rispecchiata dal modello di donne che vestono in maniera indecente e che una volta rimaste vedove si risposano e vengono meno alla fedeltà alla memoria dei mariti morti, che hanno bisogno delle preghiere per abbreviare il tempo dell'espiazione nell'antipurgatorio.


Concetta Russo

Anonimo ha detto...

1.Dante e Virgilio vengono superati da una schiera di anime, è la schiera dei golosi che colpiscono il poeta per degli elementi in particolare: gli occhi incavati e spenti, il volto pallido e la magrezza. Queste anime sono costrette a soffrire la fame e la sete, ma anche la temperanza, perché in vita furono troppo golosi.
2.Forese innanzitutto invita Dante a non badare alla sua magrezza, esortandolo a parlargli della sua vita e del motivo per cui lui si trova li. Dante dice a Forese che nel vederlo in quelle condizioni, sta provando lo stesso dolore che provò quando lo vide morto.
3.Forese, sdegnato per la corruzione della sua terra e in particolare quella di Firenze, predice l’intervento dell’autorità religiosa per frenare lo scandalo delle donne fiorentine, che mostrano nudo il seno. Forese continua dicendo che per le donne barbare, non furono necessari interventi ecclesiastici, pur essendo anche loro corrotte. A questo punto fa una predizione, infatti dice che da li a poco tempo, degli eventi terribili faranno tremare queste donne.



Mery Pafumi

Anonimo ha detto...

1) La pena dei golosi consisteva nell essere delle povere anime magre con la pelle attaccata così tanto alle ossa da prenderne la forma di queste e inoltre erano pallidi in viso . Essi furono stimolati da un'insaziabile fame e sete e ora vengono puniti soffrendo atrocemente la fame e sete che vengono ridestate in loro dalla vista di frutte e acque, però intoccabili.

2)Quando Forese incontra Dante vuole sapere da lui la natura del suo viaggio ultraterreno sotto forma di persona umana e non di anima, ma quest'ultimo invece di rispondere gli chiede quali siano le cause della sua magrezza.

3)Nelle sue parole, Forese esprime un ' invettiva dantesca contro i malcostumi sfacciati delle donne di firenze mettendo in risalto un ulteriore aspetto della polemica contro Firenze ed il suo popolo.

SPADARO RICCARDO IV E