"I poeti vogliono giovare o dilettare o dire cose piacevoli, e insieme appropriate alla vita.Qualsiasi cosa tu intenda insegnare, sii breve,perchè gli animi accolgano subito le parole con facilità e le ritengano fedelmente.Ogni elemento superfluo trabocca dall'animo pieno.Riporta il massimo consenso che unisce l'utile al dilettevole, dilettando e anche ammaestrando il lettore."
Miscere utile dulci :La poesia non è solo lusus ,deve giovare ai lettori: questa è la novità di Orazio rispetto ai poeti emergenti dell'età di Cesare .Anch'egli ammira ede emula Callimaco e gli Alessandrini, ma con piena adesione alla moralità romana:l'arte non deve essere pura esibizione di dottrina e raffinatezza formale , volta solo a delectare ,LA POESIA DEVE EDUCARE:questo spiega il tono colloquiale che assume gran parte della produzione di Orazio.
La filosofia greca entra a Roma e spesso i romani attingono le loro idea più correnti filosofiche; è anche il caso di Orazio, il quale fa propri l’autàrkeia (autosufficienza interiore) e la metriotes( la moderazione, il giusto mezzo).
Le "Satire", dette dal poeta stesso "Sermones" (ovvero propriamente "conversazioni", e dunque scritte con stile e lingua studiatamente quotidiani), composte in esametri dattilici, sono divise in 2 libri: il I (35-33 a.C.) ne comprende 10, il II (30 a.C.) 8. Difficile ne è la cronologia interna.
Abbandonate le inquietudini e il disadattamento degli "Epòdi", attraverso certo i temi della predicazione filosofica (in specie, quelli della diàtriba cinico-stoica, ma stemperati dal loro rigido moralismo) e la lettura di poeti quali Lucilio (di cui vuol essere versione moderna, ma altresì originale: satire I4 e I10), O. cerca di elaborare in forma piana e discorsiva (si tratta di componimenti misurati, caso mai vivaci, ma come detto non sfoghi moralistici) un suo ideale di misura (il cosiddetto "giusto mezzo", I1 e I2) che lo salvi dalle tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita .Il poeta insomma ricerca una morale di autosufficienza e di libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico, oltre che del suo tatto e della sua conoscenza del mondo: il ragionamento si mantiene sempre sul piano psicologico-umano, e la polemica non è tanto contro i vizi in sé, quanto contro la loro vera radice, ovvero l’eccesso: come dire che egli si propone non certo di cambiare la società romana ed il modello etico di riferimento, ma almeno di fornire qualche utile elemento di riflessione per intervenire sulla coscienza dei singoli.
Inoltre, nelle prime "Satire", O. si sforza di dimostrare che la morale epicurea non è in disaccordo con i valori tradizionali di Roma: moderazione, saggezza, rispetto dei costumi, eccetera. Insiste anche sulla semplicità dell’esistenza rurale quale condizione della felicità, parlando, in questo senso, un linguaggio simile a quello di Virgilio e precisamente nello stesso periodo, all’incirca, in cui questi componeva le sue "Georgiche". Affinità vi sono anche col linguaggio di Tibullo. Inoltre, l’amicizia da lui spesso elogiata non è scambio di favori, e ancor meno schiavitù (come spesso avveniva a Roma quando gli amici erano di condizioni ineguali), ma una comunione profondamente spirituale o, anche, ideale.
Appare chiaro, insomma, che i "Sermones" toccano una straordinaria pluralità di temi, che non si lasciano imbrigliare in una sterile didascalia; mi limito, così, a ricordare le satire ritenute dai più le più rappresentative, oltre quelle già accennate. Così, ad es., un'altra satira programmatica è la II1, dove O. risponde alle critiche rivolte a se stesso e al genere satirico. Spunti autobiografici, invece, si riscontrano nelle satire: I4 (sul padre adorato); I6 (sulla presentazione a Mecenate); I5 (sull'avventuroso viaggio a Brindisi al seguito di Ottaviano); II6 (in cui esprime la gioia per la villa donatagli). Satire più propriamente etico-filosofiche sono invece: I2 (sull’adulterio; vigorosa); II3 (sulla pazzia degli uomini, eccetto il filosofo; briosa); II6 (vi si trova l’apologo del topos campagnolo e del topos urbano, con cui il poeta esprime simbolicamente l'angoscia che prova in città ed il desiderio di rifugiarsi nella tranquillità della campagna).
Dunque, le satire di O. non sono un'astrazione teorica, ma una proiezione della realtà, sia rispetto alla vitae ratio seguita dal poeta, sia rispetto alle sue dottrine letterarie, sia infine come quadro d'ambiente, che ci riporta al "Satyricon" di Petronio e agli "Epigrammi" di Marziale: hanno un valore di trasmissione culturale dei vizi sociali>>
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