Scipio Slataper ((Trieste 1888-Monte Podgora,Gorizia,1915)
ha scritto Il mio Carso, prosa autobiografica che , collocandosi nella temperie dell'espressionismo vociano, supera la poetica del frammento dei giovani scrittori che ruotavano attorno alla rivista fiorentina, conseguendo una sua compatta, sia pure acerba unità compositiva.
Il libro è diviso in tre parti non titolate. La prima parte è tutta dedicata alla rievocazione dell'infanzia triestina e della scoperta del Carso. L'inizio famoso, si serve di un espediente retorico (l'anafora), tipico dello stile alto , per formulare una falsa ipotesi sulle proprie origini, subito smentita, con un effetto al tempo stesso epico e ironico, che bene introduce al tono nostalgico della narrazione: "vorrei dirvi: sono nato in carso, in una casupola col tetto di paglia annerita dalle piove e dal fumo..."
La seconda parte inizia con la descrizione del nuovo porto della città. La vita cittadina, che comprende la scuola, gli amori, le associazioni giovanili proibite dalla polizia, ma anche il ricordo di uno zio garibaldino, è resa con il frequente ricorso al dialogo in dialetto, ardita soluzione stilistica in un impianto letterario vociano. La terza parte più breve, racconta il ritorno a Trieste e al carso, dopo il suicidio di Gioetta, la donna amata.La prosa si fa più febbrile, i pensieri
si confondono uno con l'altro, e su tutto domina l'incertezza, lo spaesamento: " io sono solo e stanco. Posso tornare e restare."
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