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mercoledì 16 novembre 2011

L'AMINTA

L'opera viene composta nel 1573 e recitata il 31 Luglio dello stesso anno sull'isoletta di Belvedere sul Po, nei giardini della villa estense,alla presenza di tutta la corte. Verrà poi stampata da Manuzio nel 1581.
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  Composta nel periodo di maggiore serenità mentale ed intensità artistica dell’autore, l’Aminta rientra nel genere della favola pastorale, affermatosi in particolar modo a Ferrara a metà del secolo, che metteva in scena vicende ambientate nel mondo dei pastori; dall’altro lato, però, riprende la lunga tradizione della poesia pastorale, avviata da Teocrito e Virgilio e che ha avuto ampi successi nella letteratura cortigiana del Quattro e Cinquecento, con Poliziano e Sannazzaro. Il tema arcadico è giunto a Tasso attraverso l’opera Arcadia del Sannazzaro (1400), mentre il modello deriva dall’opera di Gian Battista Giraldi Cinzio, autore della prima favola pastorale, l’Egle. Il dramma di Tasso, come detto in precedenza, è suddiviso secondo i canoni posti da Aristotele nella Poetica: cinque atti preceduti da un prologo; in questa struttura si aggiungono la “coreografia” (i balletti) e i cori. L’intreccio è estremamente semplice.

Un pastore, Aminta, si innamora di una ninfa, Silvia, ma non viene ricambiato. Dafne, amica di Silvia, gli consiglia di recarsi alla fonte dove si bagna di solito Silvia. Silvia viene aggredita alla fonte da un satiro che si appresta a violentarla, quando interviene Aminta che la salva. Ma lei, ingrata, scappa senza ringraziarlo. Aminta trova un velo appartenente a Silvia sporco di sangue e pensa che sia stata sbranata dai lupi. Addolorato per la presunta morte dell'amata decide di suicidarsi gettandosi da una rupe. Silvia, che in realtà non è morta, ricevuta la notizia del suicidio di Aminta, presa dal rimorso e resasi conto di amarlo si avvicina al corpo piangendo disperata. Ma Aminta è ancora vivo perché un cespuglio ha attutito la caduta e riprende i sensi e così la vicenda si conclude con il matrimonio dei due. 

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