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domenica 30 novembre 2008

  • Dante Alighieri
  • Dante nasce a Firenze nel 1265, da Alighiero Alighieri e da donna Bella; la sua famiglia, pur nobile, si dedicava ad attività mercantili ed era di parte guelfa. Perde entrambi i genitori in giovane età, e nel 1281 combatte per la lega guelfa contro i ghibellini toscani, sia a Campaldino che all' assedio di Caprona. Attorno al 1285 sposa Gemma Donati, che gli darà tre figli. Diviene amico di letterati come Brunetto Latini e Guido Cavalcanti, e scrive componimenti di vario genere, raccolti in parte nella "Vita nova", dedicata alla sua musa Beatrice, figlia di Folco Portinari e sposata a Simone de' Bardi, morta nel 1290. Dopo la morte di Beatrice, Dante si dedica a studi teologici e filosofici, e conosce un periodo di smarrimento. Filosofia, politica, poetica amorosa, mondanità, tutto entra a far parte delle "Rime" scritte in questi anni; Dante si iscrive ad una corporazione, e ciò gli consente di svolgere attività politica: entra a far parte successivamente del Consiglio del Capitano del Popolo, del Consiglio dei Savi e del Consiglio dei Cento. Si schiera con i guelfi bianchi, guidati dalla famiglia Cerchi, contro i guelfi neri, sostenitori di Bonifacio VIII e degli angioini, capitanati dal violento Corso Donati. Questi congiurano per far cadere Firenze sotto il dominio papale, ma i Bianchi prevalgono e difendono l'indipendenza della città, esiliando i Donati.
    Nel 1300 Dante è uno dei priori di Firenze; l'anno seguente è ambasciatore a Roma, ma durante la sua assenza Firenze è presa da Carlo di Valois, "paciere" del papa, che vi instaura una signoria di guelfi neri. La casa di Dante è saccheggiata, il suo operato oggetto di inchiesta; condannato in contumacia, non si presenta a giustificarsi, e la condanna viene commutata in condanna a morte nel 1302.
    Dante si unisce ad altri bianchi in esilio ma falliti i tentativi di rientrare in Firenze, se ne stacca e si rifugia a Verona, alla corte degli Scaligeri; qui scrive il "De vulgari eloquentia". Da esule, vaga per l' Italia, recandosi a Treviso, Padova, Venezia, in Lunigiana e in Casentino, e infine a Lucca nel 1309; intanto compone il Convivio ed inizia la stesura della Commedia. La discesa, l'anno seguente, di Arrigo VII in Italia risveglia in lui la speranza di un impero universale in cui Stato e Chiesa siano pacificati e ricondotti l'uno alla sfera temporale, l'altra a quella spirituale, e tale tensione ideale lo porta a scrivere il "De monarchia". La delusione per il comportamento dell' imperatore e la sua successiva morte portano Dante a rifugiarsi nuovamente a Verona, dove rimane fino al 1318. Intanto, visto il suo rifiuto a sottomettersi alle autorità fiorentine, la condanna a morte viene estesa alla sua famiglia.
    L'Inferno era stato pubblicato nel 1314, il Purgatorio nel 1315; passato a Ravenna, alla corte di Guido da Polenta, vi pubblica il Paradiso. In questa città trova pace e tranquillità, insegna poesia e retorica e tiene anche una lezione di argomento fisico. Inviato come ambasciatore a Venezia, durante il ritorno si ammala e muore: è il 14 Settembre 1321.

Quale importanza ha avuto Dante per il nostro Novecento?
Fin dall'inizio del secolo, ma soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale le coscienze dei poeti dichiarano di non essere più in grado di produrre poesia: basti pensare al silenzio dell'anima sbarbariana («Taci, anima stanca di godere»), o al netto rifiuto della qualifica di poeta della corazziniana Desolazione del povero poeta sentimentale («Io non sono un poeta»), fino al celebre componimento di Eugenio Montale, Non chiederci la parola. La poesia, dunque, diventa testimonianza autentica di questa crisi e si fa tramite vano della ricerca di un senso dell'esistenza. Significative sono le considerazioni di Eliot quando afferma che la letteratura è in grado di restituire un mondo e che il poeta che per primo ha restituito un mondo intero è stato appunto Dante. Per questo il Novecento non può far finta che Dante non sia esistito, ma anzi lo recupera come memoria e utopia. Basti pensare a come la poesia novecentesca riprenda e reinterpreti l'Ulisse dantesco (e omerico). Proprio intorno a questa figura mitica, che attraversa la letteratura antica e moderna, si potrebbe costruire un percorso didattico volto soprattutto al confronto operativo tra testi, prendendo in considerazione in particolare l'Ulisse dannunziano di Maia (IV, 22-123), che disprezza la vita e ricerca il gesto eroico che ad essa dia significato, l'«eclisse del mito» dell'Ulisse pascoliano dei Poemi Conviviali (XXIV, Calypso), la lettura gozzaniana (in Poesie sparse) in chiave ironica del mito, a cui fa da sfondo il mondo borghese, e ancora il "doloroso amore" della vita dell'Ulisse di Umberto Saba (Mediterranee), fino al Capitano Ulisse di Alberto Savinio, per toccare anche il teatro.

La "Vita nuova"

La prima opera certa di Alighieri è la Vita nuova (1292-4), un prosimetro, cioè un testo
che alterna parti in prosa e parti in verso. Sono inserite 31 liriche: 25 sonetti (di cui due sono sonetti doppi), 3 canzoni e una doppia stanza di canzone, 1 ballata, 1 stanza di canzone. All'interno di 42 capitoli in prosa, con il compito di svolgere l'itinerario autobiografico da cui nascono i versi e commentarli retoricamente.

La vicenda è in fondo esile. Un'esperienza d'amore idealizzata, l'amorazzo di Dante per Beatrice incontrata per la prima volta a nove anni, rivista nove anni dopo. Da questi incontri si snoda l'intimo memoriale, dapprima profano e "cortese" poi sempre più mistico e agiografico, finché la morte di Beatrice trasforma l'amata e l'amore in mito cristiano, Amore assoluto e mezzo di devozione.
Turbato dall'amore per Beatrice rivista a nove anni di distanza del primo (fanciullesco) incontro, Dante decide di nascondere a tutti il suo sentimento e di professarsi amante di un'altra donna (alla cui partenza da Firenze subentra poi un'altra). Il brusco risentimento di Beatrice che gli nega il saluto, e il consiglio di alcune gentili donne che lo spingono a investigare meglio in sé stesso la particolarissima fenomenologia dell'innamorato, lo portano a un esplicito riconoscimento del suo amore per Beatrice. Prima muore il padre della fanciulla, poi Beatrice stessa: Dante è disperato. Da ciò lo risolleva l'interessamento di una donna "gentile". A conclusione è di nuovo l'intervento risentito di Beatrice, che gli appare in sogno. Ciò lo distoglie da ogni altra donna, gli fa desiderare di "non dire più di questa benedetta infino a tanto che [...] potesse più degnamente trattare di lei".

Il testo possiede alcune delle migliori liriche di Alighieri: Donne ch'avete intelletto d'amore, il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare. Segna il distacco dallo stilnovismo, proprio per il fervore religioso. Corona e conclude l'esperienza stilnovistica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sera prof...

Col sonetto Tanto gentile Dante supera la concezione dell'amore espressa da Cavalcanti. Dante pone al centro della sua poesia proprio la rappresentazione della bellezza femminile, comunicata attraverso la "lode" dela sua donna e degli effetti beatificanti che ella produce. L'uso però di termini quali gentila, dolcezza, rivelano un profonto legame con la poesia di Cavalcanti.
beatrice appare come un miracolo, una creatura celeste dotata di qualità morali come nobiltà d'animo, onesta, umiltà, che suscitano in chi la guarda sensazioni di indicibie dolcezza.
a descrizione di Dante è di carattere esclusivamente morale, e tralascia ogni elemento fisico della donna.
Antonella Salvà