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martedì 23 settembre 2008

Impossibile ricostruire il periodo delle origini di Roma


Ragazzi,

Prima di affrontare lo studio della letteratura latina, mi pare opportuno dare qualche ragguaglio sul modo come i testi degli autori sono pervenuti fino a noi, ossia fornire qualche notizia sulla trasmissione dei testi.Noi oggi siamo abituati a leggere libri stampati , ma occorre ricordare che la diffusione di opere a stampa inizia solo nel XV secolo , dopo l'invenzione di Gutenberg; prima le opere della classicità erano tràdite (da trado=trasmettere, tramandare).Addetti alla riproduzione erano i librarii nel mondo romano e gli amanuensi in quello medievale.Proprio perchè affidata alla stesura manoscritta, la trasmissione dei testi- come è facile arguire- fu interessata per secoli dall'errore umano.

Domanda: A chi è affidato il compito di riportare alla sua forma originaria il testo?

Alla FILOLOGIA, una vera e propria scienza nata nel III sec.C. in Grecia,quando. dopo l'unificazione tra Ellade e Oriente apportata da Alessandro Magno, poeti e dotti si proposero di salvaguardare il patrimonio culturale dell'antichità.

La filologia si è dotata di un rigoroso metodo di lavoro, i cui momenti fondamentali sono rappresentati dalla collatio e dall'emendatio nella scelta fra le variae lectiones..

I criteri su cui si basa l'emendatio sono l'usus scribendi dell'autore e la lectio difficilior.Resta ora da parlare dei "canali" attraverso i quali ci sono giunti i testi, che sono due: la tradizione diretta e la tradizione indiretta.

Vi chiederete: Perchè la prof propone queste nozioni non pertinenti alle origini della letteratura latina?

Ragazzi il mio discorso è sicuramente utile!

Infatti , occorre dire, che per il periodo compreso tra la fondazione di Roma e il III secolo a.c. quando cioè siamo in grado di fissare la"nascita" della letteratura latina, è impossible analizzare il rapporto fra intellettuali e potere, in quanto la trradizione non ci ha restituito documenti scritti che consentano la ricostruzione di questo rapporto.

In seguito alle guerre espansionistiche la società romana ebbe il contatto con le culture orienatli , e particolarmente con quella greca e subì un'evoluzione anche la concezione della cultura letteraria.Enorme era il divario fra le due culture, pensate, Roma non aveva ancora elaborato un concetto autonomo di arte e la Grecia disponeva di una cultura raffinata in tutti i campi.

A Roma, la scrittura giunse dalle colonie greche d'occidente, forse attraverso la mediazione degli Etruschi intorno all'VII sec.a,C.

E allora?

Noi possediamo delle testimonianze preletterarie e qui entra in gioco anche l'Archeologia!

Prime testimonianze epigraficheV-VI sec. a. C.

La testimonianza più antica della lingua latina ci è data dalla cosiddetta “Fibula Praenestina”, una bellissima spilla in oro, rinvenuta in una tomba di Preneste (odierna Palestrina, nel Lazio) e risalente al VII-VI secolo avanti Cristo. È noto che sugli oggetti funebri, ma molto spesso anche in quelli di uso comune, erano riportati il nome del proprietario o dell’artigiano che li aveva fabbricati. Orbene, sulla spilla in questione si legge Manios med fhefhaked Numasioi, una frase in un latino arcaico che in futuro sarebbe diventato Manius me fecit Numasio e cioè: Manio mi fece per Numasio. Questo documento denota quanto abbiamo detto prima: la presenza nel latino di civiltà diverse; Manios, infatti, è un nominativo arcaico latino; med è una forma accusativa proto latina, fhefhaked una forma osca di perfetto con raddoppiamento e Numasioi è un dativo di forma greca.

Altro documento molto antico è l’iscrizione del Lapis Niger, rinvenuta nel 1889 in un cippo del foro romano; dovrebbe trattarsi di un divieto religioso. Autorevoli studiosi sostengono che tale iscrizione fosse posta sulla mitica tomba di Romolo, luogo sacro per eccellenza. Oscure parole che sembrano riferirsi ad un rito sacro si trova scritte sul Vaso di Dueno, mentre su una coppa rinvenuta a Civita Castellana, infine, c’è incisa una epigrafe che anticipa di qualche secolo il carpe diem oraziano: Foied vino pipafo, cra carefo e cioè hodie vinum bibam, cras carebo.

Come si vede si tratta di ben poca cosa, ma sono i germi dai quali si svilupperà la letteratura latina che conosciamo e tanto ammiriamo.

Il Lapis Niger corrisponde ad un'area quadrata in marmo nero (nella foto sopra) che una transenna di lastre di marmo bianco separava dal resto della pavimentazione augustea in travertino. La scoperta, avvenuta alla fine dell'Ottocento, venne subito associata con un passo dello scrittore Festo, nel quale si accennava ad una "pietra nera nel Comizio" (lapis niger in Comitio) indicante un luogo funesto, nel quale si doveva riconoscere la tomba di Romolo o quantomeno il luogo dove il primo re venne ucciso. Lo scavo al di sotto del pavimento in marmo nero portò successivamente alla scoperta di un complesso cippo iscrittomonumentale arcaico (accessibile tramite una breve scala) costituito da una piattaforma sulla quale sorge un altare mancante della parte superiore, accanto al quale vi è un tronco di colonna (o piuttosto una base di statua) e un cippo iscritto, anche esso mancante nella parte superiore (nella foto a sinistra). L'antichità dei caratteri, ancora vicini a quelli greci calcidesi dai quali deriva l'alfabeto latino, permettono di datare l'iscrizione al VI secolo a.C., la più antica iscrizione monumentale latina quindi, quasi certamente anteriore all'inizio della Repubblica. L'iscrizione, seppur lacunosa e difficile nella traduzione, riveste un'importanza fondamentale, in quanto documenta che questo era un luogo sacro, ai violatori del quale si minacciano pene terribili. L'aspetto del monumento, un altare con una statua (anche se nella base tronco-conica si deve riconoscere una colonna, questa, per le sue dimensioni e il suo isolamento doveva sostenere una statua) più che ad una tomba fa pensare ad un piccolo santuario; se a questo aggiungiamo che il tutto sembra dedicato ad un re, non si può non ricordare che Dionigi di Alicarnasso, scrittore greco dell'età di Augusto, menzionava la presenza di una statua di Romolo nel Volcanale (ossia il santuario di Vulcano) accanto ad un'iscrizione "in caratteri greci" (che non significa probabilmente "in greco" ma nei caratteri simili ai greci delle iscrizioni arcaiche latine): vista la vicinanza del Volcanale al Lapis Niger, è probabile che si tratti proprio della stessa iscrizione e della stessa statua.


I Carmi

Il latino, popolo di contadini e di pastori, alla pari degli altri italici coevi, fu un popolo molto religioso, anzi superstizioso. Esso adorava soprattutto le divinità protettrici dei campi e delle attività legate all’agricoltura, alla pastorizia e agli eventi della vita. Naturalmente a questi dei erano offerti sacrifici e ad essi erano rivolte preghiere. Di queste orazioni qualcosa ci è giunto.

Il Carmen Fratrum Arvale, un inno rituale in versi saturni e redatto in un latino del VI –V secolo a.C., è uno fra i documenti più antichi della poesia religiosa latina. Esso era recitato durante le cerimonie religiose per i campi. A queste cerimonie, dette Ambarvalie, erano preposti i “Fratelli Arvali”, un collegio di dodici sacerdoti che immolavano gli animali, facevano libagioni e poi recitavano un carme, accompagnandolo con danza. Questa poesia era già di difficile interpretazione per i romani dell’età classica; da quel poco che ci resta, ne ricaviamo che si tratta di una preghiera rivolta ai Lari ed a Marte affinché proteggessero gli uomini ed i raccolti.

Il Carmen Saliare, invece era una preghiera che recitavano i sacerdoti Salii, quelli che avevano il compito di custodire i dodici scudi sacri, fra i quali quello di Romolo. In questo carme è citato Giano, che si conferma così antichissima divinità latina dell’età dell’oro.

Anche dei carmina triumphalia resta pochissimo. Essi, in ogni modo, erano canti rozzi e salaci con i quali i soldati accompagnavano il trionfo del loro generale. I carmina conviviali, invece, erano gli elogi che durante il banchetto funebre si facevano per gli illustri defunti.

I carmi trionfali ed i carmi conviviali possono ritenersi i germi della poesia epica latina ed erano composti nel verso nazionale romano, il saturnio, metro usato fino ad Ennio.

Documenti in prosa


Accanto a questi in versi, ne abbiamo altri in prosa. Si trattava per lo più di foedera, cioè trattati di alleanza con gli stati vicini; di Leges regiae, vale a dire di leggi promulgate nel periodo regio; dei Commentarii pontificium, i resoconti che le autorità facevano su apposite tavole su tutto ciò che era successo durante l’anno di carica. Questo documenti, che sarebbero stati di importanza eccezionale, furono distrutti soprattutto a causa dell’incendio di Roma per opera dei Galli nel 390 a.C..

Ci sono rimaste le Leggi delle XII Tavole, risalenti al 451 a.C. quando una commissione di 10 uomini (decemviri) codificò il primo corpo di leggi scritte ed esposte al pubblico. Queste leggi rimasero nei secoli come monumento di sapienza giuridica e costituirono il fondamento del diritto romano che ancora oggi è la base per tutti i popoli civili.

I Versi Fescennini

Esistevano i fescennini. Questi erano versi improvvisati che costituivano dialoghi rozzi e licenziosi scambiati tra contadini in occasione di cerimoniali legati alle feste della fecondità, della vendemmia e del raccolto. Essi sono riconducibili all’ambiente proto-latino, ma fiorirono anche in ambiente etrusco. In verità il termine “fescennino” è generalmente collegato alla città etrusca di Fescennium, secondo Catone luogo di origine di buffoni itineranti che inscenavano simili dialoghi allo scopo di intrattenimento. Secondo Tito Livio, i versi fescennini furono introdotti in Roma nel 3° secolo a.C. per vivacizzare gli spettacoli di danza e musica di origine etrusca. Possono quindi essere considerati uno degli elementi da cui si sviluppò la “satura” latina.

Allo spirito dei fescennini si riallacciavano anche le battute in occasione di feste nuziali.

La Satura

Satura tota nostra est”, diceva con giusto orgoglio Quintiliano. I greci potevano rivendicare la paternità di tutti i generi della letteratura, ma non della satira che racchiude due elementi tipicamente italici: lo spirito farsesco dei fescennini e le rappresentazioni di musica e danza etrusche. La satura era rappresentata da histriones (attori) e consisteva in una rappresentazione teatrale mista di danze, musica e recitazione. Il stesso termine “satura” fa collegare la sua nascita a celebrazioni religiose con offerte di primizie alla dea Cerere accompagnate da canti e scene di carattere arguto e giocoso. Satura lanx, infatti, significa proprio piatto colmo di cibo (ovviamente da offrire alla dea).

Con Lucilio, in seguito, la satura assunse la caratteristica, che ancora oggi possiede, di critica dei costumi o di personaggi altolocati.

L’Atellana

Altro genere che incontriamo in questo cammino, è l’atellana, o meglio la fabula atellana, che fu introdotta a Roma anch’essa nel 3° secolo a.C.. In origine era una forma primitiva di teatro comico popolare rappresentata tra gli Osci della Campania e soprattutto nella città di Atella che le diede il nome. Era caratterizzata da un vivace realismo e dalla presenza di maschere fisse: Maccus, Bucco, Pappus, Dossenus.

A Roma, nel I secolo a.C., per opera di Novio e Pomponio, acquistò forma letteraria e costituì il pezzo finale (exodium) nella rappresentazione delle tragedie. Divenne, in pratica, quello che era il dramma satiresco della tragedia greca.

APPIO CLAUDIO (sec. IV – III a.C.)

Appio Claudio Cieco, uomo politico e scrittore, è la prima chiara personalità della storia e della letteratura di Roma. Di origine patrizia, mostrò tuttavia grande apertura verso i problemi sociali del suo tempo. Censore nel 312 a. C., nel redigere il censo tenne conto non più solo dei beni fondiari, ma anche delle fortune mobiliari, introducendo nel Senato uomini nuovi, perfino figli di liberti, e distribuendo anche nelle tribù rustiche i liberti stessi. Celebri rimasero la costruzione del primo acquedotto e l'inizio della via Appia, le vittorie conseguite nelle guerre sannitiche (fu console nel 307 e nel 296) e il suo intervento, da vecchio, in Senato contro la pace offerta da Pirro. Fece pubblicare dal suo scrivano Gneo Flavio il cosiddetto Ius Flavianum, prima opera latina di procedura giudiziaria, e compilò il liber actionum, divulgato dallo stesso Gneo Flavio; curò la riforma dell'ortografia e scrisse una raccolta di massime etiche in versi saturni. Si conservano alcuni suoi frammenti e l'epitaffio che sulla tomba ne ricordava i meriti.

Conclusioni

Il periodo delle origini della letteratura convenzionalmente è fatto terminare nel 241 a.C., anno in cui Roma conclude vittoriosamente la prima guerra punica e diventa signora della penisola italica. L’anno successivo, nel 240, mentre in Grecia si vive già nel periodo alessandrino, a Roma Livio Andronico fa rappresentare la prima opera teatrale della latinità dando così inizio al cosiddetto periodo arcaico, che convenzionalmente è fatto terminare nel 78 a.C., anno della morte di Lucio Cornelio Silla.


Si è conclusa la prima lezione di Letteratura latina .

Alla prossima, naturalmente dopo la verifica !!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ragazzi,
Dopo tutto il lavoro svolto dalla prof anche a casa dovrete impegnarvi moltissimo altrimenti vanificate anche il suo entusia oltre che la sua professionalità.
Una mamma

Anonimo ha detto...

Cara collega,
Lo sai che tante persone fruiscono del frutto del tuo lavoro? Evidentemente i tuoi percorsi sono di pubblica utilità confesso: anch'io ho fatto delle copie!
comunque GRAZIE

Mariella Foti