Oreste Albertini |
Spinoza definisce l’umiltà «tristitia orta ex eo quod homo
suam impotentiam sive imbecillitatem contemplatur» («tristezza sorta dal fatto
che l’uomo contempla la sua impotenza o debolezza») e la “tristitia” viene a
sua volta definita come «transitio a maiore ad minorem perfectionem» («passaggio
da una maggiore a una minore perfezione»). La differenza tra mitezza e umiltà
sta, a mio parere, in quel “tristitia”: la mitezza non è una forma di
“tristitia”, perché anzi è una forma del suo opposto, la “laetitia”, intesa
proprio come il passaggio da una minore a una maggiore perfezione. Il mite è
ilare perché è intimamente convinto che il mondo da lui vagheggiato sarà
migliore di quello in cui è costretto a vivere, e lo prefigura nella sua azione
quotidiana, esercitando appunto la virtù della mitezza, anche se sa che questo
mondo non esiste qui e ora, e forse non esisterà mai.
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