Il valore della cooperazione nell'innovazione della didattica Moderatrice:Prof.ssa Maria Allo
martedì 28 aprile 2009
LABORATORIO DI SCRITTURA (CANTO X)
ANTONELLA SALVA'
1.Nel X canto dell’inferno Dantesco abbiamo varcato le porte della città di Dite, siamo nel VI cerchio. Gli abitanti della tetra vallata sono gli Eretici epicurei: non hanno creduto nella vita eterna. La condanna è eresia, nient’altro. Epicuro insegnava in un giardino di sua proprietà tra il IV ed il III secolo a.c. . Per molti secoli ha dominato una visione distorta della filosofia epicurea, che è stata associata a dissolutezza e concupiscenza, fino a quando nel XVII secolo, quando si cercherà di armonizzare l’atomismo epicureo e la fisica Galileiana con i precetti del cristianesimo. Lo scopo, diversamente da quello che accadeva nei centri accademici più importanti dell’epoca, era prettamente pratico: curare i turbamenti dell’anima. La filosofia epicurea ha posto come obiettivo della vita il conseguimento del piacere, ma il problema, o meglio la soluzione, sta nel capire cosa intenda per “piacere”. Sicuramente non quello carnale o sessuale. Il piacere è l’assenza di turbamenti dell’anima. Assenza di dolori del corpo.Quanto alla vita sociale, l’aspetto etico non è abbandonato, anzi è centrale. Per essere felici bisogna essere virtuosi. Le leggi vanno rispettate, ma è meglio rimanere il più possibile lontani dalla politica e dalla vita pubblica: l’unico rapporto umano che dà pienezza è l’ amicizia. Condividere una vita serena con gli amici, aiutarsi a vicenda, parlare e confrontarsi su problemi che possono dare turbamento. Qualche secolo dopo, fuori dalla Commedia, Dante Alighieri (priore di Firenze) il 24 giugno 1300 manda in esilio il suo miglior amico Guido Cavalcanti con i capi delle fazioni dei guelfi bianchi e neri per via di scontri in seno alla congregazione stessa. In Esilio, l’amico Cavalcanti, muore dopo aver contratto la malaria. Sicuramente Il Poeta avrà avuto le sue buone ragioni per farlo. Anche in questo post, non voglio dare giudizi morali, ma solo proporre spunti di riflessione. In sostanza la partecipazione ad una vita politica attiva, comporta questi rischi. Così mentre Epicuro consigliava una vita “nascosta”, Dante avrebbe tacciato di ignavia chi non si fosse schierato. Nel mondo Dantesco senza fede non si va da nessuna parte, o meglio si va in basso. In sostanza per Epicuro chi non ha problemi non ne crea ad altri, quindi lavoriamo prima di tutto su noi stessi, senza trovare soluzioni universali per il genere umano. Ricordiamoci che il giardino filosofico di Epicuro era un punto di ritrovo per gli amici ed una sorta di clinica dell’anima. La filosofia non come teoria, ma come cura. La vita è bella in sé, quindi la filosofia deve solo insegnare ad allontanare le sovrastrutture che non consentono di goderne a pieno. Inoltre, evento raro nella storia della Grecia classica, erano ammesse anche le donne (e persino gli schiavi), perché considerate simili agli uomini. Risparmio la concezione che ha delle donne il modello filosofico di Dante, Aristotele, che in ogni caso andrebbe considerata nel contesto storico-culcurale in cui è espressa. Merito ad Epicuro per la sua apertura mentale e la sua capacità di differenziarsi enormemente dal suo contesto. 2.Farinata è un uomo e come tale animato da forti passioni, che nel suo caso sono di natura politica. Potente capo ghibellino di Firenze, egli fu ripetutamente avversario della parte politica di Dante durante le sanguinose lotte, delle quali fu teatro la città toscana nel tredicesimo secolo. Facilmente comprensibile è perciò il tono del colloquio, fra il poeta e il ghibellino, ispirato alla durezza e alla drammaticità, caratteri questi che si manifestano principalmente nella prima parte del canto. Al di là tuttavia dell'odio fra fazioni avverse, al di sopra dello spirito di parte, un medesimo ideale li accomuna: il profondo, sincero amore per la Patria; ed è in ragione di ciò che Dante sosta riverente dinnanzi al suo avversario politico, è per questo che egli fa splendere al di sopra di tutto la dignitosa grandezza di Farinata. Del resto non si tratta della sola analogia che unisce la figura del ghibellino a quella di Dante: la tristezza, l'angoscia, l'umiliazione dell'esilio vengono conosciute da entrambi e per entrambi questa infausta tappa della personale esistenza causa un dramma che è familiare ancor prima che politico. 3.Un'altra figura che Dante incontra fra gli epicurei e che interrompe momentaneamente il suo dialogo con Farinata, sorgendo dallo stesso sarcofago, è Cavalcante, parente e coetaneo di Farinata nonché padre del poeta Guido Cavalcanti, amico in gioventù di Dante, al quale lo accomunano le delicate liriche stilnoviste. Cavalcante si rammarica di non vedere il figlio in compagnia del pellegrino e gli chiede, con apprensione, se egli ancora viva. Vedendo Dante perplesso, l'uomo si lascia cadere disperato. Cavalcante e Farinata hanno temperamenti diversi, ben mostrati da Dante; tuttavia entrambi sembrano partecipare con passione ai casi della vita terrena e sembrano non preoccuparsi della pena a cui sono condannati come peccatori. 4.Filippo II era un eretico ed epicureo. Anche in questo caso le sue simpatie per i ghibellini lo fecero collocare tra gli eretici.
SPADARO RICCARDO
1)Dante con il termine “Epicurei” intende coloro che ereticamente sostengono che l’anima è mortale. Per Epicuro l’anima è costituita di atomi, particolarmente sottili e mobili ed inoltre l’anima vive in stretta connessione con il corpo ed è per tale motivo che quando arriva la morte l'anima muore insieme al corpo. 2)Farinata degli Uberti: Farinata degli Uberti visse a Firenze all’inizio del XIII sec.,in un periodo tormentato dagli scontri interni tra guelfi e ghibellini. Dante: Dante nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà guelfa di parte bianca. A Firenze in quel periodo si andavano inasprendo i toni dello scontro politico fra i due schieramenti che dividevano il partito guelfo e attorno al 1301 con l’entrata a Firenze di Carlo di Valois alleato con il papa Bonifacio VIII la città andò ai guelfi neri e Dante quindi nel 1302 fu costretto all’esilio da Firenze. 3)Dante Alighieri e Guido Cavalcanti sono due grandi autori della letteratura italiana.La distanza tra di loro sul punto di vista temporale e di tematiche delle loro opere è molto lunga e variegata e riguarda principalmente il tema dell'amore.Infatti in Cavalcanti appare un amore deluso e tormentato mentre in Dante l'amore è il segno dell'elevazione e della pura passione verso la sua amata. 4)Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologica e culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso inoltre fu un apprezzabile letterato e un convinto protettore di artisti e studiosi inoltre la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
MARCO SIRACUSANO
1) Il pensiero di Dante e quello del filosofo Epicuro hanno un certo nesso; per il primo, nostro poeta, gli epicurei erano
coloro che sostenevano il fatto che l'anima muore quando muore anche il corpo.
Epicuro diceva che l'anima è formata da piccolissime particelle che si sgretolano al perire del corpo, sostanzialmente
entrambi credono che l'anima non è immortale.
2) Farinata si trovava a Firenze nel periodo delle lotte tra guelfi e ghibellini nel periodo del XIII secolo.
Dante visse nello stesso periodo sotto il partito dei guelfi bianchi. Con il passare del tempo il tono politico dei due
partiti andò inasprendosi e con Carlo di Valois la città andò ai guelfi neri, quindi Dante fu costretto all'esilio.
3)I due grandi poeti della letteratura italiana vissero nello stesso periodo a Firenze, ragion per cui divennere amici.
Trovandosi entrambi dalla parte dei Guelfi bianchi si impegnarono nel campo politico. Comune avevavo anche il tema
dell'amore, anche se in parte differente, per via dell'amore cupo di Cavalcanti e del concetto di amore più elevato di Dante.
4) Federico II di Svevia fu un nobile mecenate protettore di artisti e letterati, per questo la sua corte fu luogo di scambi
culturari per via della differente provenienza della gente che vi si incontrava, come arabi, ebrei, normanni e greci.
BUCALO CARMELO
1) Con il termine epicurei in filosofia si intendono coloro che non credono nell'immortalità dell'anima. Dante nel canto X
sottolinea con questo termine coloro che stanno dentro le tombe o perchè meditarono a lungo sul destino dell'uomo e negarono
l'immortalità o perchè in esse si perpetua la morte spirituale di chi si allontana a Dio. Dal momento che nel Medioevo
cristiano non si concepivano nè atei nè altre religioni, il termine Epicuro non si può definire "eretico".
2) Farinata degli Umberti vissuto all'inizio del XII sec. e morto un anno prima di Dante, era a capo dei ghibellini di
Firenze, e riuscì a cacciare i guelfi dalla città nel 1248; dieci anni dopo il partito avverso si prese la rivincita mandando
in esilio lui e i suoi. Dante, nato nel 1265 da una famiglia di media borghesia guelfa di parte bianca e quindi moderata,
visse invece in un arco di tempo in cui a Firenze si intensificavano gli scontri politici che dividevano il partito guelfo.
Ma nel 1301 con l'entrata di Carlo di Valois la città andò nelle mani dei guelfi neri e a quel punto Dante nel 1302 fu
costretto ad andare in esilio.
3) Guido Cavalcanti e Dante Alighieri sono due grandi poeti della letteratura italiana che rappresentano lo Stilnovo.
Entrambi si impegnano in campo politico, mentre in campo poetico condividono lo stesso tema vale a dire la questione
dell'amore; ma mentre in Dante si eleva in Cavalcanti l'amore è oscuro.
4) Federico di Svevia fu un grande protettore di artisti e letterati; grazie alla sua voglia di conoscenza egli riunì alla
sua corte molti tipi di cultura: latina, araba greca ed ebraica.
ROSARIO BONACCORSI
1-Il filosofo greco Epicuro,durante
il medioevo era la figura piu importante,a cui si ispiravano gli uomini che non credevano nell'immortalità dell'anima.Questo fenomeno si diffuse sopratutto a Firenze,negli ambienti di alta borghesia.Il cristianesimo nel medioevo non concepiva gli atei,e le altre religioni.Epicuro era considerato "eretico".
2-Firenze durante il periodo di Farinata:
nel capoluogo toscano,ci furono molte guerre tra Guelfi e Ghibellini sopratutto di natura politica.L'imperatore Federico II tentò di battere i guelfi e proteggere gli uberti.
Firenze durante il periodo di Dante alighieri:
Negli anni del poeta fiorentino si ha libero accesso al governo.I guelfi bianchi controllano Firenze,Bonifacio VIII sosteneva invece i neri,con l aiuto di Carlo di Valois essi presero il sopravvento condannando all'esilio i bianchi.
In entrambi i periodi vengono messi in evidenza le continue lotte.Nel primo caso si hanno lotte tra due fazioni diverse.Nel secondo caso si hanno lotte all interno di uno stesso partito.
3-Il rapporto tra Dante alighieri e Guido cavalcanti,rappresenta lo stilnovismo.Ad un certo punto si dividono,anche se cavalcanti ricava da Dante il genere per comporre le sue commedie.La parte finale dell episodio mostra come gli eretici non siano solo Ghibellini,ma anche Guelfi come cavalcanti.
4-Federico II a differenza dei suoi contemporanei non si sofferma su tutto ciò che considera irrazionale.Egli ha riunito tre forme di cultura:Normanna,Araba e Greco-Latina.Formando una cultura abbastanza diffusa.
FEDE BONANNO
1.Nel canto X, Dante ritrova nel cerchio dei dannati gli eretici,ovvero gli epicurei, definiti coloro che non credono nell'immortalità dell'anima; essi condividevano il pensiero della filosofia epicurea,che ha come scopo la ricerca del piacere, ma non si intende come piacere quello carnale,bensì il non avere turbamenti riguardanti l'anima. Inoltre l'epicureismo è un movimento filosofico che punta al materialismo: infatti per Epicuro l'anima è costituita da atomi in stretta connessione tra loro, e per tale motivo quando muore il corpo muore anche l'anima.
2.Manente,detto appunto Farinata,degli Uberti, fu capo politico e militare dei Ghibellini fiorentini. Nel 1248,durante una lotta tra Federico II e la Chiesa, cacciò in esilio i Guelfi fiorentini. Quando essi, nel 1251 tornarono a Firenze, egli dovette andare in esilio con i Ghibellini. Al suo ritorno dovette opporsi al suo partito, i Ghibellini, poiche volevano la distruzione di Firenze, e questo gesto fu molto apprezzato non solo dai Guelfi, ma da Dante stesso, che gli rivolge parole d'elogio, e lo descrive come un'uomo fiero,superbo ma al medesimo tempo leale e coraggioso; In comune certamente si ha l'amore per la patria,ed è per questo che Dante ha voluto mettere in rilievo sopratutto la sua grandezza statuaria,valendosi quasi esclusivamente di termini fisici.
3.Cavalcante dei Cavalcanti è il secondo personaggio che ritroviamo in questo canto, come epoca è collocabile alla stessa di Farinate. Cavalcante è il padre di Guido Cavalcanti,il grande amico di gioventù di Dante, e i quali sono accumunati da liriche stilnovistiche.Cavalcante si chiede come mai suo figlio non è in compagnia di Dante e gli chiede se è ancora in vita; vedendo Dante con un'espressione perplessa egli si lascia cadere nella tomba,credendo quindi suo figlio morto.
4.Farinata cita Federico II riguardo agli scontri che ebbe con la Chiesa. Federico II, imperatore svevo figlio di Enrico VI e di Costanza D'Altavilla, ebbe fama di eretico, e da fonti pare che poneva ogni sforzo nel cercare di dimostrare che l'anima è mortale. Dante che nonostante tutto lo ammira e lo stima, conferma la convinzione dei contemporanei e quindi per ciò lo colloca in questo girone.
martedì 21 aprile 2009
TRA I SEPOLCRI DEGLI ERETICI ( INFERNO CANTO X)
CANTO X
Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
3 lo mio maestro, e io dopo le spalle.
"O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com’a te piace,
6 parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
9 tutt’i coperchi, e nessun guardia face".
E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
12 coi corpi che là sù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
15 che l’anima col corpo morta fanno.
Però a la dimanda che mi faci
quinc’entro satisfatto sarà tosto,
18 e al disio ancor che tu mi taci".
E io: "Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
21 e tu m’hai non pur mo a ciò disposto".
"O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
24 piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patrïa natio,
27 a la qual forse fui troppo molesto".
Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
30 temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
33 da la cintola in sù tutto ’l vedrai".
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
36 com’avesse l’inferno a gran dispitto.
E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
39 dicendo: "Le parole tue sien conte".
Com’io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
42 mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?".
Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’apersi;
45 ond’ei levò le ciglia un poco in suso;
poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
48 sì che per due fïate li dispersi".
"S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte",
rispuos’io lui, "l’una e l’altra fïata;
51 ma i vostri non appreser ben quell’arte".
Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
54 credo che s’era in ginocchie levata.
Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;
57 e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d’ingegno,
60 mio figlio ov’è? e perché non è teco?".
E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch’attende là, per qui mi mena
63 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".
Le sue parole e ’l modo de la pena
m’avean di costui già letto il nome;
66 però fu la risposta così piena.
Di sùbito drizzato gridò: "Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora?
69 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".
Quando s’accorse d’alcuna dimora
ch’io facëa dinanzi a la risposta,
72 supin ricadde e più non parve fora.
Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
75 né mosse collo, né piegò sua costa;
e sé continüando al primo detto,
"S’elli han quell’arte", disse, "male appresa,
78 ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
81 che tu saprai quanto quell’arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
84 incontr’a’ miei in ciascuna sua legge?".
Ond’io a lui: "Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
87 tal orazion fa far nel nostro tempio".
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
"A ciò non fu’ io sol", disse, "né certo
90 sanza cagion con li altri sarei mosso.
Ma fu’ io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
93 colui che la difesi a viso aperto".
"Deh, se riposi mai vostra semenza",
prega’ io lui, "solvetemi quel nodo
96 che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
99 e nel presente tenete altro modo".
"Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
le cose", disse, "che ne son lontano;
102 cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s’appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
105 nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
108 che del futuro fia chiusa la porta".
Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: "Or direte dunque a quel caduto
111 che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che ’l fei perché pensava
114 già ne l’error che m’avete soluto".
E già ’l maestro mio mi richiamava;
per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
117 che mi dicesse chi con lu’ istava.
Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico
120 e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio".
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
poeta volsi i passi, ripensando
123 a quel parlar che mi parea nemico.
Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: "Perché se’ tu sì smarrito?".
126 E io li sodisfeci al suo dimando.
"La mente tua conservi quel ch’udito
hai contra te", mi comandò quel saggio;
129 "e ora attendi qui", e drizzò ’l dito:
"quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell’occhio tutto vede,
132 da lei saprai di tua vita il vïaggio".
Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
135 per un sentier ch’a una valle fiede,
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
Approfondire
1. Nel canto X, Dante parla di "epicurei"in un significato più estensivo di quello che noi oggi attribuiamo al termine.Confronta questa accezione medievale con i contenuti specifici della filosofia epicurea.
2. Farinata degli Uberti muore un anno prima della nascita di Dante.Le vicende di cui è protagonista a metà del Duecento presentano differenze ma anche analogie
rispetto a quelle di Firenze dantesca . Sviluppa il confronto.
3. Ricostruisci i rapporti tra Dante e Cavalcanti.
4. Fra gli "epicurei", Farinata cita Federico II.Approfondisci la figura dell'imperatore svevo da un punto di vista culturale.
venerdì 10 aprile 2009
AUGURI DI BUONA PASQUA
martedì 7 aprile 2009
LABORATORIO DI SCRITTURA ( CANTO VI)
LEOTTA MARY
IL CANTO DÌ CIACCO. Come il precedente,anche il canto VI tratta compiutamente un intero cerchio infernale,quello dei golosi. Possiamo individuare al suo interno tre momenti:l incontro con Cerbero,la mostruosa belva infernale posta a guardia dei dannati(vv1-33):il lungo episodio centrale dell’incontro con Ciacco (vv34-93). L intero brano è tradizionalmente noto come il primo dei grandi “ “ canti politici ” ” della Commedia, in diretta e progressiva relazione con i canti sesti del Purgatorio e del Paradiso.
TEMA POLITICO = La riflessione politica si riferisce in questo canto all’ambito comunale,e precisamente a Firenze . Dante affida a un fiorentino, fervente di amor patrio,il compito di esprimere il proprio personale giudizio sulle vicende politiche della sua città. Si tratta di un giudizio di condanna per la corruzione , il malgoverno, la faziosità degli interessi di parte che impediscono una giusta e felice vita sociale. D’altra parte la trattazione politica in Dante diventa sempre occasione di vivace polemica e appassionata invettiva;per questo,qui e altrove, trova consona espressione nei toni solenni e autoritari della profezia. Quella di Ciacco è la prima ,importante profezia sui destini di Firenze e ,implicitamente ,su quello di Dante. Il goloso fiorentino riferisce delle violente dispute fra il partito dei Bianchi e quello dei Neri ,che si contendevano il potere in quelli anni. La precisione dei dati è naturalmente da imputare al fatto che la scena è immaginata nel 1300,mentre viene scritta anni dopo,quando gli episodi riportati sono già venuti. Ma per comprendere appieno il significato e le cause di tanto dissesto politico in Firenze ,bisognerà ampliare il campo d’osservazione e ricondurre la situazione a Firenze nel contesto italiano ed europeo delle lotte fra papato e impero:a questo saranno dedicati i canti sesti delle due successive cantiche
MARY PAFUMI
Se la rappresentazione di Cerbero e delle pene a cui sono sottoposti i dannati mettono in risalto la grande capacità descrittiva ed evocativa di Dante, l'incontro con Ciacco ne mette in risalto l'impegno civile e politico.
Ciacco, terminato in questo cerchio per la dannosa colpa della gola, è in verità un uomo di corte intelligente e niente affatto volgare. Il suo incontro con Dante rappresenta il motivo principale di questo canto. Dante, conversando con lui, gli rivolge tre domande: “se tu sai a quale risultato arriveranno i cittadini in quella città divisa dimmelo”; “dimmi se vi è ancora qualche cittadino giusto”; “dimmi la causa di tanta discordia”.
Ciacco, rispondendo a queste precise domande del poeta, profetizza particolari eventi storici che riguardano Firenze, infatti dice che dopo una lunga contesa, i fiorentini, divisi tra Bianchi e Neri arriveranno ad uno scontro violento e i Bianchi cacceranno in esilio i Neri, ma successivamente i Neri riusciranno a prendere il potere e terranno i Bianchi sotto il loro dominio per diversi anni, nonostante questi ultimi si lamentino di questo. Inoltre dice che ci sono solo due cittadini giusti, ma che non vengono ascoltati e che a scatenare la discordia sono stati i tre vizi: superbia, invidia e avarizia.
Spinella Davide
Dante, tramite Ciacco riesce a prevedere il futuro di Firenze, come la vittoria dei guelfi neri ai guelfi bianchi e secondo Ciacco, la causa di questi contrasti, è perchè Firenze è stata macchiata della superbia, dell'avarizia e dell'invidia, proble ma che tuttora si manifesta nella società contemporanea. Il girone dei golosi è stato definito da Dante come il girone della pioggia eterna, maledetta, fredda e greve, che costringe a far urlare le anime logorate da Cerbero, feroce cane a tre teste, considerato da Dante come un'animale pauroso, con gli occhi rossi, la barba sporca, il ventre largo e le mani graffiate, i golosi erano ritenuti come dei maledetti ed erano sofferenti delle pene atroci del girone.
CHARLIE GRIOLI
1)Dante pone al dannato Ciacco tre domande:
1) A cosa arriveranno (verranno) i cittadini della città divisa (partita, cioè divisa in due parti, Firenze)?
2) Perché è assalita da tanta discordia?
3) C'è qualche giusto?
Ciacco risponde allora con precisione fiscale e alle tre domande nello stesso ordine nel quale gli sono state poste:
-La prima risposta è la celebre profezia su Firenze, la prima della Commedia, che tratta delle lotte tra guelfi bianchi e neri tra il 1300 e il 1302: dopo una lunga tenzone (dopo molte lotte) essi verranno al sangue (le zuffe del Calendimaggio 1300, dove uno dei Cerchi venne ferito gravemente in volto) e la parte selvaggia (cioè campagnola, i bianchi, perché i capi fazione, i Cerchi, venivano dal contado) caccerà l'altra con molta durezza; poi sarà questa altra parte a cadere entro tre anni (tre soli) e salirà l'altra fazione, grazie alla forza di qualcuno che ora sta in bilico (che testé piaggia, è Bonifacio VIII nel 1300 ancora neutrale); questa fazione terrà superbamente le fronti alte per molto tempo, tenendo l'altra sotto gravi pesi, per quanto essa pianga e si indigni.
-superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i cuori .
-Ci sono solo due giusti e nessuno li ascolta: forse più che a due figure reali si deve pensare all'eco biblico dell'episodio della Genesi dove Abramo cercando di salvare una città corrotta dalla distruzione fa un patto con Dio, cercando almeno cinquanta uomini "giusti"; alla fine, nonostante lo sconto a dieci, egli non riesce a trovare nessuno tranne Lot e le sue figlie.
Dopo queste parole Ciacco torna muto ed è Dante che deve sollecitare un'altra richiesta: "Qual è la sorte di un gruppo di fiorentini illustri della passata generazione, «ch'a ben far puose li 'ngegni?» li addolcisce il cielo o li avvelena l'inferno? Essi sono Farinata degli Uberti, Arrigo (non più nominato nella Commedia), Mosca dei Lamberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci. Ciacco dice che essi sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell'Inferno per diverse colpe. Qui avviene un'altra tappa del processo di conversione del poeta: dopo aver visto che anche gli effetti della poesia amorosa, al quale aveva aderito in gioventù, possono portare alla dannazione, con l'episodio di Paolo e Francesca, adesso il poeta scopre che anche il valore politico in vita non garantisce la salvezza divina. Infine Ciacco prega Dante di ricordarlo nel mondo dei vivi, poi si interrompe bruscamente: "più non ti dico e più non ti rispondo". Allora storce grottescamente gli occhi, forse per lo sforzo di restare seduto mentre il suo destino lo spinge nuovamente in basso; china la testa e sprofonda di nuovo nella fanghiglia.
2) Il canto nella sua parte centrale si articola intorno al tema politico della situazione di Firenze e dell’esito delle lotte civili con la notazione che la parte perdente , I Bianchi sarà oppressa da molte vessazioni e sarà espulsa dalla città, e della ricerca delle cause del fallimento del Comune che è da ritrovare nella forza incendiaria delle tre faville che furono l’avarizia, l’invidia e la superbia. In Dante nasce la consapevolezza che la politica è di per sé una realtà implicitamente demoniaca e che essa si colloca all’interno del quadro religioso se vuol positivamente svilupparsi.
3)La pena dei golosi è una punizione di contrappasso per analogia: in quanto simili a bestie in vita saranno accovacciati per terra come animali, nella loro sporcizia e flagellati dalle intemperie. Essi infatti sono prostrati a terra e la pioggia li fa urlare come cani (come bestie); essi si fanno schermo l'un l'altro (strisciando quindi come vermi) e si rigirano spesso, questi miseri profani. In questo canto il contrappasso, può essere anche per opposto: come in vita i golosi sono andati alla ricerca delle più grandi prelibatezze culinarie, così all'inferno sono costretti a stare sdraiati nel fango sotto una pioggia greve e maleodorante.
CONTI NIBALI STEFANO
1)Dante pone a Ciacco tre domande:
1)a quali estremi arriveranno i Fiorentini, divisi in Bianchi e Neri,
2) Se tra i Fiorentini vi è qualche persona giusta,
3) qual è il motivo per cui Firenze è stata assalita da tanta discordia.
Ciacco risponde che i Bianchi governeranno per breve tempo, ma entro tre anni i Neri prenderanno il potere con l’aiuto di Bonifacio VIII; pochissimi sono gli onesti e non più ascoltati; le cause della corruzione sono la superbia, l’invidia e l’avarizia. Nelle parole di Ciacco vi è la prima denuncia delle condizioni morali e politiche di Firenze, ma anche una generale condanna degli odi fratricidi e della corruzione in cui è caduta l’umanità. Tra i tre peccati individuati da Dante come causa del degrado della città, l’avarizia è il più grave ed è socialmente destabilizzante, in quanto ha mutato la struttura economica di Firenze.
2)La parte centrale del canto si articola intorno alla situazione politica di Firenze e dell’esito delle lotte civili con la notazione che i Bianchi ( la parte perdente) sarà oppressa da molte vessazioni e sarà espulsa dalla città. In Dante nasce la consapevolezza che la politica è una realtà implicitamente demoniaca.
3) La legge del contrappasso: In vita furono avidi di cibi raffinati, ora si rotolano nel fango puzzolente, in vita divorarono cibi prelibati, ora sono dilaniati da Cerbero.
SANDRO DELPOPOLO
1)Dante, a Ciacco, pone tre domande inerenti alla politica del suo tempo. La prima:"a che verranno l cittadin de la città partita?La seconda:”S'alcun v'è giusto”;La terza:”E dimmi la cagion per che l'ha tanta discordia assalita".Ciacco,a tali domande, risponde nel seguente modo:"Dopo lunga tencione...la parte selvaggia caccerà l'altra con molta offensione”;”Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli,e che l'altra sormonti con la forza di tal che testè piaggia”.Ciò significa che inizialmente saranno i bianchi ad avere la meglio ma dopo soli tre anni saranno soppiantati dall'altra fazione. Con le altre due risposte Ciacco afferma che vi sono solo due giusti,che in quanto tali obbediscono alle leggi(col numero due non si intende una quantità stabilita ma solo un numero irrilevante).All'altra domanda Ciacco risponde che la superbia,l'invidia e l'avarizia sono le tre "faville"che hanno scatenato il conflitto. 2)Il tema centrale di questo canto va a riprendere alcuni riferimenti a situazioni già avvenute. Tra questi abbiamo il declino del comune che fu assalito dalle tra faville. Dante inoltre è consapevole che la situazione politica possiede una realtà "demoniaca".In quanto oltre all'impero,anche il papato si mostra non come un'istituzione guidata da Dio bensì guidata da interessi materiali. 3)La pena dei golosi come le altre pene si rifà alla legge del contrappasso. Tale pena consiste nel rimanere a terra,a nutrirsi di fango,sono afflitti dalla pioggia. Con tale pena,i golosi hanno la giusta pena per aver commesso peccati di gola.
domenica 5 aprile 2009
LA VISIONE POLITICA DI DANTE ATTRAVERSO LA PROFEZIA DI CIACCO
Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
e ch'io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l'è nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
ch'ella ci vide passarsi davante.
«O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
mi disse, «riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».
E io a lui: «L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch'i' ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
loco se' messo, e hai sì fatta pena,
che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente».
Ed elli a me: «La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa». E più non fé parola.
Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l'ha tanta discordia assalita».
E quelli a me: «Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l'altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n'aonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi».
Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni
e che di più parlar mi facci dono.
Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se 'l ciel li addolcia o lo 'nferno li attosca».
E quelli: «Ei son tra l'anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo».
Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.
E 'l duca disse a me: «Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:
ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch'in etterno rimbomba».
Sì trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;
per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
crescerann' ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran sì cocenti?».
Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.
Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta».
Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'i' non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
Troppo viva era ancora nell' anima di Dante e nella sua carne la memoria della battaglia perduta in Firenze, contro le trame della Curia papale. E d’altronde non era certo facile intravedere nella realtà una prospettiva di riunificazione imperiale. In tutta Europa la tendenza era piuttosto quella dell’affermazione di realtà politiche autonome, nazionali o regionali (si pensi al prestigio e alla forza crescenti della monarchia francese e di quella inglese, o anche del regno di Aragona in Spagna); nella stessa Italia la crisi degli istituti comunali preludeva piuttosto al formarsi delle signorie e degli stati regionali, tutt’altro che disponibili ad una sottomissione all’Impero (se non puramente formale). Per pensare dunque ad una restaurazione imperiale bisognava che Dante si sollevasse sulle sue stesse motivazioni personali e proiettasse sulla realtà contingente un disegno ideologico ai limiti dell’utopia. Ma nell’Inferno, dove continuano a premere le ragioni autobiografiche, al centro dei suoi interessi politici è ancora Firenze e l’oggetto principale della sua polemica è l’avidità dei concittadini, che li schiera più in difesa della propria parte che in difesa della libertà del Comune, proprio nel momento in cui essa ha più bisogno di essere difesa.Spunti per la riflessione
L'incontro con Ciacco, un fiorentino,offre al poeta lo spunto per aprire uno dei temi che risulteranno fondamentali nel poema:l'indagine sulla situazione politica a lui contemporanea, che , inauguratasi qui con l'analisi delle drammatiche tensioni che conducono alla rovina la città ,Firenze si allargherà poi a esaminare l'Italia, l'Impero, la Chiesa.
1.Delineate , attraverso la profezia di Ciacco, la prospettiva dalla quale Dante guarda alla realtà politica.
2.Dall'intervento di Ciacco emergono riferimenti a vicende politiche contemporanee,Individuatele.
3.La pena della gola è particolarmente degradante.Evidenziate, ricorrendo ad alcuni esempi, il registro linguistico che caratterizza la rappresentazione dei golosi.
1. Epicuro con la sua filosofia materialistica, nel medioevo rappresentava tutti coloro che non credevano all'immortalità dell'anima e in generale di una concezione terrena della vita. Tale eresia, che prese il nome appunto da Epicuro in età medievale, era molto diffusa ai tempi di Dante a Firenze, sopratutto negli ambienti intellettuali e veniva attribuita per lo più ai ghibellini. Il Medioevo cristiano non concepiva nè atei nè altre religioni, ragion per cui Epicuro non si può dire "eretico".
2. FIRENZE AL TEMPO DI FARINATA DEGLI UBERTI:
a Firenze ci furono lotte tra guelfi e ghibellini. Sulla scena politica incontriamo Federico II che tenta di abbattere i guelfi e che protegge gli Uberti; i guelfi sono ostretti ad andare in esilio.
FIRENZE AL TEMPO DI DANTE ALIGHIERI:
gli ordinamenti di giustizia sono ritirati per cui si ha libero accesso al governo. I guelfi bianchi avevano il controllo su Firenze. Papa Bonifacio VIII sosteneva i neri e con l'aiuto di Carlo di Valois i neri presero il sopravvento con condanne all'esilio per i maggiori esponenti della parte bianca.
Possiamo notare quindi che in entrambi i periodi si hanno lotte interne. Nel primo caso però si hanno lotte di due partiti diversi, mentre nel periodo di Dante abbiamo lotte all'interno di un partito stesso.
3. il rapporto tra Dante e Guido Cavalcanti rappresenta il nucleo dello Stilnovo. Furono loro a gettare le basi della nostra lingua. Se ad un certo punto si ha una rottura, come testimonia il X canto dell'inferno di Dante, rimane il fatto che Cavalcanti è tra i pochissimi poeti da cui Dante attinge per la composizione della Commedia. Inoltre l'episodio di Cavalanti serve a mostrare che eretici non solo solo i ghibellini, come Farinata, ma anche i gueli, di fatti Cavalcanti fu un guelfo.
4. Federico II ebbe un'illimitata sete di conoscenza e a differenza dei suoi contemporanei non credeva a tutto ciò che non poteva essere spiegato con la ragione. Egli riunì tre forme di cultura: quella normanna, quella araba e quella greco-latina generando così una cultura di massa.
CHARLIE GRIOLI