ETA' AUGUSTEA
TIBULLO
PROPERZIO
OVIDIO
LE METAMORFOSI DI OVIDIO ILLUSTRATE
I TRISTIA
TITO LIVIO
ETA' IMPERIALE
LUCIO ANNEA SENECA
eccovi un link per approfondire Tacito : http://www.antiqvitas.it/arch/arch.tac.htm
L'IDEALE MORALE E POLITICO DI TACITO
Il regno di Domiziano segna così profondamente l'animo di Tacito, che anche quando i tempi nuovi di Nerva e traiano sembrano disporlo alla speranza che il peggio sia passato, egli non riesce a rasserenare il suo spiritoe a distendersi in una visione più ottimistica del mondo.
Il pessimismo impregna costantemente la sua visione della storia, la quale gli appare come un processo verso forme sempre più elevate di corruzione e di degenerazione.Domiziano è il risultato ultimo di questo processo, ed il giudizio fortemente negativoespresso dallo storico sul suo principato finisce per coinvolgere anche gli imperatori che lo hanno preceduto. Infatti tanto i prìncipi della dinastia Giulio-Claudia, quanto quelli della casa Flavia (ma non nei confronti di Vespasiano il giudizio è meno drastico) escono malconci dalla sua narrazione.
Necessità del principato
Ma il giudizio negativo sui prìncipi non investe il principato come istituzione.Tacito è un aristocratico ed in quanto tale,dal punto di vista ideale , rimane legato alla repubblica, ma il suo realismo politico gli fa ammettere che essa non può essere attuata.
L'estensione dell'impero e la discordia tra le fazioni richiedono che alla guida della Stato ci sia un uomo solo, da cui dipenda la politica estera e quella interna, e che assicuri pace e stabilità.La necessità del principato è superiore allo stesso legittimo desiderio di godere delle libertà repubblicane.Tacito è convinto di questo , e realisticamente lo accetta; ciò che non accetta è la degenazione del sistema.
La condanna del servilismo e del dispotismo
Egli si è accorto che, come le libertà repubblicane , erano sfociate nella licenza e nell'anarchia, così il comando di uno solo ha generato servilismo e dispotismo . E sono proprio questi due aspetti
che egli condanna nella sua analisi storica.
La polemica contro l'aristocrazia senatoria
Essi stanno tra loro in un rapporto di causa -effetto in quanto per lo storico, contrariamente a quanto si potrebbe credere ,è il servilismo ad ingenerare il dispotismo.Di qui la sua polemica contro l'oligarchia senatoria , polemica che spesso assume toni ancora più aspri di quella contro la tirannide.Quello che una volta era il glorioso senato romano della repubblica appare appare a Tacito un'accozzaglia di ipocriti, di adulatori, di arrivisti, di delatori , di vili intriganti.
Non mancano personaggi dell'aristocrazia che hanno avuto il coraggio di opporsi al tiranno di turno, ma sono casi rari e costituiscono solo un'eccezione in un generale degrado.
Per Tacito, infatti, la storia del principato è contrassegnata , per un verso, dalla dissoluzione progressiva del compromesso tra governo di uno solo e libertà su cui aveva impostato il suo regno Augusto, e per l'altro dal contemporaneo processo di omologazione al sistema da parte dell'oligarchia senatoria.
L'ideale politico dello storico
I tempi nuovi di Nerva e di Traiano lasciano nutrire la speranza che quel connubiopossa essere ripristinato, e che con esso possa realizzarsi l'ideale politico dello storico, che prevede , da una parte la ricostruzione etica dell'uomo e del funzionario di Stato, dall'altra la rieducazione del popolo ai sani valori del mos maiorum, e dall'altra ancora una redifinizione delle qualità del principe.L'opera storica di Tacito nel suo insieme, oltre che avere funzione di RACCONTO-DENUNCIA , assolve anche questo ruolo propositivo.
L’Agricola
Si tratta della prima delle due
monografie tacitiane, è stata composta e pubblicata tra la fine del 97 e
l’inizio del 98. L’opera, scritta in 46 capitoli, è una biografia encomiastica
in cui vengono scandite le tappe più significative della vita del suocero.
La figura che egli si appresta
a celebrare non è quella di un oppositore, ma al contrario, di un uomo colto e
prudente, che aveva attivamente collaborato con i principi, buoni o cattivi che
fossero, da Nerone a Domiziano. Le sue caratteristiche più importanti,
l’obbedienza, il senso della misura e la disciplina, l’avevano fatto progredire
indenne nella carriera fino all’importante carica di governatore della Britannia,
assegnatogli proprio da Domiziano.
È comprensibile che Tacito
provi un certo imbarazzo nell’esaltare una scelta di vita prudente e
opportunista quale era stata quella di Agricola. Così lo presenta come vittima
innocente di Domiziano: a questo scopo insiste sulla pericolosa gelosia che gli
splendidi successi militari del suocero avrebbero suscitato nel principe al
quale accredita anche la colpa della morte di Agricola, causata da veleno,
fattogli somministrare dall’imperatore.
Si tratta di una biografia un
po’ particolare. Mancano del tutto gli aneddoti, i pettegolezzi, i particolari
curiosi, e l’interesse si concentra in modo esclusivo sull’aspetto pubblico del
protagonista.Le notizie sulla vita privata sono ridotte a pochissimi dati
essenziali; anche il ritratto fisico dell’eroe, che non manca mai nelle
biografie, è appena accennato. Per contro l’excursus etnografico sulla
Britannia e la rassegna dei predecessori di Agricola nella provincia sono del
tutto inconsueti per una biografia. Insieme agli ampi discorsi diretti di
Calgaco e di Agricola e alla narrazione fortemente selettiva e asimmetrica, essi
avvicinano molto la biografia di Agricola ad una monografia storica del tipo del
De Catilinae coniuratione di Sallustio, di cui è probabile che Tacito
abbia tenuto presente lo schema.
Tematiche affrontate.
L’incolmabile distanza fra
presente e passato e fra sé e gli altri scrittori. Tacito afferma che un
tempo (nell’età repubblicana) compiere azioni memorabili e celebrarle era cosa
normale e consueta, mentre ora nell’accingersi a narrare la vita del suocero
defunto, egli si deve giustificare “tanto spietati e ostili alle virtù sono i
nostri tempi”.
Condanna al regime di
Domiziano. Con la soppressione delle libertà, con la messa al bando dei
filosofi, con un controllo poliziesco esercitato sulle persone e sulle loro
parole, ogni nobile attività letteraria e culturale è stata soffocata e
impedita. Solo con la morte del tiranno e con l’avvento della nuova e radiosa
era inaugurata da Nerva, che ha saputo unire principato e libertà, realtà un
tempo inconciliabili, si torna finalmente a respirare.
La lingua e lo stile.
Lo stile è in armonia con la
nobiltà e la dignità della materia. L’autore impiega una molteplicità di toni e
di registri, rifacendosi a modelli diversi.. Nelle narrazioni delle vicende di
guerra, in cui il frequente uso di infiniti storici in serie e le altrettanto
frequenti ellissi imprimono al racconto un andamento rapido, conciso e
incalzante; lo stile dei Tacito è molto simile a quello di Sallustio; nei due
discorsi contrapposti dei generali sul campo di battaglia a quello di Livio;
infine i capitoli finali di tono solennemente oratorio, e con periodi ampi e
simmetrici, mostrano una strittura e un ritmo tipicamente ciceroniani.
Denuncia
dell’imperialismo romano nel discorso di Càlgaco.
Il discorso di Càlgaco, capo
dei Calédoni, consiste quasi per intero in un veemente atto di accusa contro i
Romani, nel loro duplice aspetto di conquistatori e dominatori. È stato
sicuramente inventato da Tacito, che ha attribuito al generale barbaro argomenti
contro l’imperialismo romano.
Il brano può essere diviso in
due sequenze. La prima è dedicata ai metodi e ai fini delle guerre di conquista,
causate dall’insaziabile brama di potere e dall’avidità di ricchezza. Le accuse
sono mosse in una forma potente e originale, tutta giocata sulle antitesi (terrae/mare;
locuples/pauper; Oriens/Occidens; opes atque inopiam); la sferzante
requisitoria si conclude con lo smascheramento dell’ipocrisia e della malafede
di chi dà il nome di imperium alle rapine e al massacri e chiama pace il
deserto conseguente allo sterminio.
La seconda parte presenta dal
punto di vista dei popoli assoggettati, i metodi del governo romano nelle
province : abusi di potere e soprusi sono messi sullo stesso piano degli
obblighi normalmente imposti ai provinciali, come il servizio militare e i
tributi; tutti sono visti, infatti, da Càlgaco come segni di quella servitus
contro la quale il fiero capo barbaro incita i suoi a combattere.
Ipse eorum opinionibus accedo,
qui Germaniae populos
nullis aliis aliarum nationum
conubiis infectos
propriam et sinceram et tantum
sui similem
gentem extitisse arbitrantur.
(Tacito, Germania 4, 1)
Nello stesso anno dell'Agricola, il 98, Tacito
compose la Germania, che i manoscritti ci tramandano col titolo di De origine
et situ Germanorum: anche quest'operetta pone notevoli problemi di
interpretazione ed analisi.
Nunc demum redit animus
(ora finalmente ci torna il coraggio) aveva proclamato Tacito nel celebre
incipit del III capitolo dell'Agricola. Nerva sta esaurendo il suo biennio di
principato, ma ha designato in Traiano un successore prestigioso e forte.
Nondimeno i problemi politici sono gravi e incombenti: quando viene annunciata
l'adozione (cioè nel 97), Traiano è governatore della Germania superiore. Sul
suo nome si è incentrata l'attenzione di quella parte della classe senatoria che
poco si era compromessa sotto il quindicennio domizianeo, ma il trapasso non è
facile. Quando Nerva muore scoppiano sedizioni pretoriane contro il successore
designato. E qui accade l'evento strano: Traiano non torna affatto a Roma,
assorbito com'è dai suoi impegni militari sulla frontiera renana. Si rivela però
un abile politico: nomina suoi satelliti nei posti chiave delle magistrature
civili e dell'amministrazione pubblica; reprime la rivolta pretoriana e,
nonostante riduca della metà (sarà anche un accorto amministratore) il
tradizionale donativo concesso per l'ascesa al trono di un nuovo principe, la
successione avviene in modo indolore. In questo contesto, proprio nei mesi in
cui Roma attende il nuovo imperatore e mentre costui si attarda nelle operazioni
militari sul fronte germanico, Tacito scrive la Germania.
Opera di propaganda o monografia
storico-etnografica (magari in un primo tempo pensata per una delle opere
maggiori -probabilmente le Historiae- e poi diventata autonoma)? E se
opera di propaganda, a favore di cosa? A favore di una azione decisa da parte di
Traiano che ridimensionasse e riscattasse la storica sconfitta di Teutoburgo di
quasi un secolo prima oppure a favore di un prudente consolidamento del confine?
Indicazioni non ne abbiamo. Non sappiamo se a
Roma esistessero una corrente favorevole alla belligeranza estesa e continua
nel settore germanico e, contrapposta a questa, una corrente tendente al
prudente contenimento della minaccia barbarica. Non abbiamo, del resto,
indicazioni dalla stessa monografia tacitiana, ad eccezione di quell'urgentibus
imperii fatibus del capitolo 33, che richiama due analoghe espressioni
liviane,
ma che rimane di non facile interpretazione. Nondimeno appare scontato che
proprio da questa espressione si debba partire.
Tacito sembra quasi pronunciare la frase a mezza
voce, in un contesto del tutto inatteso e dopo aver proposto al lettore una
immagine così forte e brusca, da far quasi sbiadire la considerazione sui fati
che incombono sull'impero. Tacito sta passando in rassegna le popolazioni
germaniche e dopo Usipi e Tencteri, è la volta di Bructeri, Camavi e Angrivari.
A questo punto l'immagine-choc: “non è mancato un certo favore degli dei verso
di noi: infatti non siamo stati privati nemmeno dello spettacolo della
battaglia. Più di sessantamila sono morti: e non è accaduto sotto le spade e le
frecce dei Romani e inoltre, fatto ancor più splendido, per offrire gioia ai
nostri occhi”.
Tacito gioisce dei nemici in conflitto tra loro,
a procurare mutua rovina e morte. Allora è chiaro che siamo all'interno di una
analisi politica: il punto chiave viene dalla speranza che gli avversari si
uccidano tra loro, togliendo difficoltà, forse altrimenti insormontabili,
all'esercito romano: “spero proprio che rimanga e anzi cresca nei popoli se non
l'amore verso di noi, almeno l'odio tra di loro, poiché il fato incombe
sull'impero e nulla di più utile ci può dare la fortuna se non la discordia tra
i nemici.
Il dato è importante e riprende due luoghi del
tutto analoghi dell'altra opera di questi mesi, l'Agricola:
nel primo caso Tacito riflette in prima persona, nel secondo fa parlare
addirittura Calgaco in un passaggio fondamentale del suo discorso. Di converso
viene in mente Galba che, ormai incalzato dal suo destino, sapeva che quanto è
destinato dal fato, pur se riconosciuto, non può essere evitato.
È chiaro che sono giri di pensiero e riflessioni
abituali per Tacito e per la sua visione in negativo del momento politico. È
possibile riassumere così: un destino tremendo pesa sull'impero perché ai suoi
confini urge un grande, bellicoso, indomabile popolo. Questo popolo può essere
contrastato soprattutto sfruttandone i dissidi interni.
La visione politica si arricchisce (ma solo a
questo punto: l'ammirazione per l'incorrotta virtù patria dei Germani non può
essere assunta come unica motivazione della monografia) del motivo etico.
Accogliendo in parte anche l'affascinante
interpretazione di A.A. Lund (che nella sua introduzione alla Germania del
1988 parla di mundus inversus), pare evidente che Tacito ammira/teme del
popolo germanico la grande forza, lo slancio guerriero, la solidità delle
strutture sociali, i forti legami familiari, la virtus in
contrapposizione alla civiltà romana inaridita in un vuoto formalismo e
sostenuta ormai soltanto dalla fame di ricchezza, benessere e successo. Insomma
la civiltà emergente che minaccia la civiltà che ha esaurito o sta esaurendo il
suo slancio vitale.
I matrimoni dei Germani non si prestano a calcoli
di interesse, le loro donne sono caste, i figli vengono allevati in casa (si
legga la sezione dei capitoli 18-20); i liberti non hanno lo strapotere che
hanno nella società romana (il fatto che i liberti siano in condizione di
inferiorità è sicuro indizio di libertà]);
i giovani ricevono scudo e framea alla stessa età in cui i giovani romani vivono
l'imbelle cerimonia di indossare la toga virilis.
E poi il discorso sulla ricchezza che attraversa
l'intera monografia. Tacito si chiede se non sia stato un beneficio degli dei
aver negato ai barbari la consapevolezza del valore di oro e argento;
riflette amaramente sul fatto che i Germani hanno imparato dai Romani ad
apprezzare gli oggetti preziosi;
infine, per limitarsi a pochi esempi, chiude con un bruciante epifonema uno
degli ultimi capitoli: come esercitano i Romani la loro auctoritas?
Raramente, afferma, il nostro è un aiuto militare: più spesso li aiutiamo col
denaro e i soldi non valgono meno delle armi.
È forse questa l'estrema sintesi della visione
tacitiana: puntiamo sui conflitti interni dei nostri avversari e li corrompiamo
col nostro denaro.
Solo a questo prezzo, è possibile neutralizzare
il pericolo che viene da gente dall'integra vita morale, giustamente ambiziosa,
pronta al mutamento. È uno dei tanti approdi, realisticamente aspro e dolorante,
dell'indagine storiografica tacitiana.
BIOGRAFIA
1 . Vita
Non si hanno molte notizie sulla vita di Petronio . Nelle citazioni antiche si parla di un Petronius Arbiter, ma arbiter non era un cognomen diffuso a Roma . L'autore del Satyricon uò essere identificato con Tito Petronio Nigro . Fu preconsole della Bitinia e poi console, compiti che svolse in modo egregio .
Viene oramai accettata l'identificazione dell'autore del Satyricon con il Petronius che fu membro di spicco della corte neroniana e ricordato da Tacito nei suoi Annales . Proprio negli Annales Tacito descrive l'ondata di repressione attuata da Nerone dopo la congiura di Pisone, avvenuta nel 65 d . C . , in cui Petronio trovò la morte . Tacito riserva a quest'ultimo un lungo ritratto . Viene descritto come un uomo dal lusso raffinato, ammesso tra i pochi intimi di Nerone come elegantiae arbiter (arbitro d'eleganza) .
La favola di AMORE E PSICHE
1 . Vita
Non si hanno molte notizie sulla vita di Petronio . Nelle citazioni antiche si parla di un Petronius Arbiter, ma arbiter non era un cognomen diffuso a Roma . L'autore del Satyricon uò essere identificato con Tito Petronio Nigro . Fu preconsole della Bitinia e poi console, compiti che svolse in modo egregio .
Viene oramai accettata l'identificazione dell'autore del Satyricon con il Petronius che fu membro di spicco della corte neroniana e ricordato da Tacito nei suoi Annales . Proprio negli Annales Tacito descrive l'ondata di repressione attuata da Nerone dopo la congiura di Pisone, avvenuta nel 65 d . C . , in cui Petronio trovò la morte . Tacito riserva a quest'ultimo un lungo ritratto . Viene descritto come un uomo dal lusso raffinato, ammesso tra i pochi intimi di Nerone come elegantiae arbiter (arbitro d'eleganza) .
Scelse il suicidio dopo esser stato accusato da Tigellino, geloso della sua amicizia con l'imperatore, di connivenza con Scevino, uno dei congiurati di Pisone . Tacito riporta il racconto della morte di Petronio: si tagliò le vene in presenza degli amici alternando i discorsi seri a quelli faceti . Nel suo testamento non adulò nè Nerone nè Tigellino, come era invece consuetudine, ma mise per iscritto tutte le nefandezze del prinicipe . Infine inviò il testamento a Nerone e ruppe l'anello al fine d'impedire che il suo sigillo potesse essere usato per rovinare qualcuno . Era consuetudine, tra gli uomini di potere caduti in disgrazia, scrivere in punto di morte un testamento per lodare l'imperatore con l'obiettivo di evitare l'esproprio dei beni dei propri cari . Tacito però non scrive nulla sulle sue opere letterarie . Di certo sappiamo che Petronio con la sua personalità originalissima affascinò i suoi contemporanei e anche i posteri (tra cui il senatore-storico Tacito) . La frivolezza e la dedizione al piacere non sono dunque la vera natura dell'autore del Satyricon, ma una simulazione compiaciuta . POWER POINT video |
Un maestro di retorica al servizio del potere INSTITUTIO ORATORIA IN 12 LIBRI
Rappresenta una summa di tutta la sua riflessione sull'arte del dire
Temi
dell'opera:
La
corruzione dell'eloquenza, di cui Quintiliano si era già occupato
nell’opera specificamente dedicata all’argomento, è per lui
conseguente alla degradazione morale di un’intera generazione
ed è particolarmente evidente dal decadimento delle scuole (in
cui l'affermarsi delle declamationes è per Quintiliano un
sintomo di decadenza anche letteraria e di gusto).
L'Institutio
oratoria vuole essere proprio il programma di rifondazione della
scuola.
Anzitutto
Quintiliano prende in esame, nei primi due libri, la delicata questione
del rapporto educativo, delineando quale dev’essere il ruolo del
docente a tutti i livelli d’insegnamento ed indicando come
necessità primaria la serietà morale; da questa parte introduttiva
emerge con chiarezza l’altissimo concetto dell’educazione proprio
dell’autore, l’estrema serietà del suo impegno in tal senso, l’acume
psicologico con cui si accosta al discente, con profondo amore e
straordinario rispetto, fornendo indicazioni di valore universale agli
insegnanti ed agli educatori di tutti i tempi.
Quindi,
nel delineare i contenuti dell’insegnamento medio superiore,
Quintiliano riprende programmaticamente l'eredità di Cicerone,
adattandola ai propri tempi, nella convinzione che un uso linguistico
"sano" sia nello stesso tempo conseguenza e causa di un
atteggiamento mentale (e di conseguenza morale e sociale)
"sano". Uno stile come quello di Seneca, ad esempio,
che disarticola il periodo e sottintende i connettivi sintattici,
risulta a parere di Quintiliano profondamente diseducativo per i
giovani, perché impedisce loro di cogliere i nessi logici esistenti fra
le cose; al contrario, uno stile che preveda una rigorosa organizzazione
sintattica li abituerà a stabilire rapporti gerarchici corretti fra i
molteplici aspetti della realtà: questo modello stilistico "classico"
è chiaramente identificato da Quintiliano nelle ampie e ben
strutturate architetture linguistiche di Cicerone.
Lo
stile del perfetto oratore, tuttavia, non deve riecheggiare quello
ciceroniano in modo pedissequo e manieristico: Quintiliano auspica
soprattutto l'equilibrio fra i due eccessi più in voga al
momento, quello dell’asciutto arcaismo e quello dell'asianesimo
sovraccarico ed ampolloso (Lucano) oppure conciso e martellante
(Seneca); per questo suo ideale di equilibrio classico Quintiliano sarà
molto amato dalla cultura del Rinascimento.
Come
Cicerone, così anche Quintiliano è convinto che il buon oratore debba
possedere un'ampia cultura; tuttavia per lui la filosofia appare
meno importante che per Cicerone.
L'intellettuale
e il potere:
Quintiliano
nel 12° libro dell’Institutio affronta il delicato tema dei rapporti
fra l’intellettuale ed il potere imperiale.
Egli
accetta l'autorità del principato, ma non incondizionatamente: deve
trattarsi di un "buon" principato, di un governo illuminato
che permetta all’intellettuale di ritagliarsi i suoi spazi di
indipendenza e di dignità professionale, di svolgere un ruolo
importante per il principe e per la società, evitando gli opposti
eccessi (deprecati anche da Tacito) della sterile opposizione al
principato e del servilismo, fungendo da guida per il senato ed il
popolo.
Il
suo è per molti versi un giudizio miope ed antistorico: in una
realtà come quella del principato, la sola libertà possibile per un intellettuale
"integrato" è quella dell’ossequio nei confronti delle
direttive di regime, e se la situazione può apparire positiva è solo
perché si verifica casualmente una coincidenza di vedute tra il
letterato ed il princeps: in caso contrario non vi sono
correttivi possibili ed all’intellettuale non resta che il silenzio.
D’altronde come potrebbe essere diversamente, quando l’oratore non
è che un subalterno (principescamente stipendiato!), un "burocrate
della parola" (Conte), un onesto funzionario che comunica al
pubblico le direttive del princeps, mediate dalla forma
letteraria?
Ben
più lucida sarà la diagnosi formulata da Tacito (se è suo il Dialogus
de oratoribus), secondo il quale la fine della libertà
repubblicana ha determinato di fatto per gli intellettuali, e per gli
oratori in particolare, la perdita di ogni incidenza politica e
l’impossibilità di ricoprire un ruolo socialmente rilevante (di qui
la decadenza dell’eloquenza e della cultura in genere).
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