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venerdì 18 dicembre 2009

E’ Natale di Giuseppe ungaretti


Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
|


Auguri!!!

Per un Natale e un nuovo anno, ricchi di piacevoli sorprese! .

venerdì 11 dicembre 2009

CANTIERE DI SCRITTURA DANTESCA (CANTO V)





Antonella Salva'


La terza anima chiede a Dante di pregare per lei una volta ritornato in terra: appartiene a Pia dei Tolomei, ed enuncia gentilmente e brevemente al pellegrino il luogo in cui nacque, Siena, e in cui fu uccisa, la Maremma. Allude attraverso una perifrasi al suo assassino: il marito. La donna era forse una nobile di Siena appartenente alla casata dei Tolomei, e, secondo ricostruzioni mai pienamente verificate storicamente, morta nel 1297 per mano del consorte, signore del castel di Pietra in Maremma. Sono state avanzate alcune ipotesi sul motivo dell'assassinio: alcuni storici antichi ritengono che Nello dei Pannocchieschi, il marito, l'abbia uccisa per risposarsi con Margherita Aldobrandeschi, secondo altri in seguito all'infedeltà della moglie. L'unica analogia tra i personaggi è la morte violenta subita e il pentimento avvenuto in punto di morte. Bonconte e Iacopo del Cassero sono entrambi morti in seguito a battaglie o avversioni di altri nobili e manifestano sentimento e coinvolgimento nel raccontare la loro storia a Dante. Il periodo in cui i due hanno vissuto è caratterizzato da lotte per il potere tra i vari signori italiani. Al contrario Pia dei Tolomei assume un tono recriminatorio verso il suo uccisore, sembra infastidita dal fatto che prima egli la prese come sposa e successivamente la uccise. L'atteggiamento della donna nel raccontare la propria storia a Dante è distaccato e freddo, come a sottolineare il suo completo distacco dalla vita e dal mondo terreno; è l'unica, tuttavia, dalla quale traspare un velo di cortesia, chiedendogli di farle il favore di ricordarla in terra solo dopo essersi riposato dal lungo viaggio.

2.Iacopo chiede a Dante, se passerà per Fano, di ricordare ai suoi parenti di pregare per lui affinché il tempo da trascorrere nell'antipurgatorio finisca.
Un'altra anima chiede a Dante di pregare per lei: essa appartiene a Bonconte da Montefeltro. Bonconte (in uno dei passaggi più vibranti dell'intera Commedia) sottolinea che, se in vita era appartenuto alla casata dei Montefeltro, ora egli è semplicemente se stesso, attraverso la formula "io fui di Montefeltro, io son Bonconte"(Vv.88); è quindi evidente un distacco totale dalla dimensione terrena. Bonconte nacque dal conte ghibellino Guido da Montefeltro (che Dante colloca nell'inferno tra i consiglieri fraudolenti) e partecipò alla cacciata dei Guelfi da Arezzo nel 1287. Ad Arezzo fu a capo dei Ghibellini contro i Senesi. Morì nella battaglia di Campaldino nel 1289, ma il suo cadavere non fu mai trovato. L'anima narra della sua cruenta morte e dell'invocazione a Maria per il perdono dei peccati in fin di vita. Specifica il luogo in cui morì esangue in seguito alle ferite ricevute: nel Casentino, nel punto in cui scorre l'Archiano affluente dell'Arno.
Questi penitenti sono accomunati dal sangue, che segna l'atmosfera di estrema violenza di quegli anni. Particolare è il ricordo di Bonconte sulla disputa avvenuta dopo la sua morte tra il diavolo e un angelo: entrambi reclamavano l´anima: l'angelo affermava che lui doveva avere l'anima perché Buonconte si era pentito, mentre il diavolo sosteneva che non era giusto che solo per il pentimento lui fosse perdonato per una vita di peccati. Il diavolo, sconfitto, vuole vendicarsi sul corpo di Bonconte. Provoca un violento temporale che fa straripare le acque che a loro volta si dirigono verso l'Arno. Il corpo viene così straziato dalla furia della corrente e trascinato affinché le braccia di Bonconte, poste a forma di croce sul petto, si sciolgano.

3.Dante e Virgilio si trovano nell'antipurgatorio e sulle pendici del monte incontrano una nuova schiera di anime che intona il salmo "Miserere". Esse sono le anime di coloro che sono morti di morte violenta e si sono pentiti solo in fin di vita. Vedendo Dante sono colte da desiderio di sapere il motivo per cui egli, essendo vivo, si trova nel purgatorio. Il primo interlocutore di Dante è Jacopo del Cassero. Questi nacque a Fano nel 1260 e nel 1289 partecipò alla battaglia di Campaldino, dove probabilmente conobbe Dante. Difese Bologna, città di cui era podestà (1296-97), dagli attacchi di Azzo VIII, signore di Ferrara. Nel 1298 venne eletto podestà di Milano e per raggiungere la città decise di passare da Venezia via mare e poi proseguire per terra, per evitare i territori dell'avversario. Nonostante ciò, mentre si trovava nel padovano venne raggiunto dai sicari di Azzo VIII e ucciso.

mercoledì 2 dicembre 2009

Cicerone - Laelius de amicitia (paragrafo 20)




Il valore dell'amicizia in Cicerone

Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio; qua quidem haud scio an excepta sapientia nihil melius homini sit a dis immortalibus datum. Divitias alii praeponunt, bonam alii valetudinem, alii potentiam, alii honores, multi etiam voluptates. Beluarum hoc quidem extremum, illa autem superiora caduca et incerta, posita non tam in consiliis nostris quam in fortunae temeritate. Qui autem in virtute summum bonum ponunt, praeclare illi quidem, sed haec ipsa virtus amicitiam et gignit et continet nec sine virtute amicitia esse ullo pacto potest.
trad.
Infatti l'amicizia non è niente altro che un accordo su tutte le cose divine ed umane, con benevolenza ed affetto; di esse certo non so se, eccettuata la sapienza, sia stato dato nulla di meglio all'uomo da parte degli dei immortali. Alcuni danno maggior importanza alla ricchezza, altri alla buona salute, altri al potere, altri agli onori, molti anche ai piaceri. Questi ultimi sono di certo propri delle bestie, le altre cose caduche ed incerte, poste non tanto nelle nostre volontà, quanto nella volubilità del caso. Coloro invece che ripongono il sommo bene nella virtù, certo fanno benissimo, ma questa stessa virtù genera l'amicizia e la mantiene e senza la virtù non vi può essere in nessun modo amicizia.


Tratto da Splash Latino - http://www.latin.it/autore/cicerone/rhetorica/laelius_de_amicitia/020.lat
Scritto nel 44 a poca distanza dal Cato maior, e come quest'ultimo dedicato ad Attico, il breve dialogo Laelius de amicitia è ambientato da Cicerone nell'anno 129, lo stesso del De re publica. Anche qui, come nell'importante dialogo sullo Stato, gli interlocutori appartengono al cosiddetto "circolo degli Scipioni": a pochi giorni dalla misteriosa morte di Scipione Emiliano durante le agitazioni graccane, Lelio rievoca davanti a C.Fanno e M. Scevola la figura dell'amico scomparso, e disserta sul valore e le finalità dell'amicizia in se stessa. Il clima è dunque quello di una composta tristezza, sullo sfondo di una situazione politica estremamente tesa: così com'era tesa la situazione a Roma nell'anno 44 di stesura del dialogo, con Cesare da poco assassinato e Cicerone che cercava il rilancio sulla scena politica.

Che il Laelius sia un'opera dai significati anche apertamente politici, è un dato spesso sottolineato dalla critica recente. Il
dialogo nasce sicuramente dalla volontà di superare l'antica e tradizionale concezione romana dell'amicizia come serie di legami personali a scopo di favoritismo politico, in una logica che oggi definiremmo "clientelare". Cicerone, sulla scorta della riflessione sulla filosofia compiuta negli anni di ozio forzato dall'attività pubblica, cerca invece di definire e stabilire i fondamenti etici del sentimento che lega gli uomini. Preliminare a questo è un allargamento della base sociale cui riferire il concetto di amicizia: non più solo gli aristocratici, ma chiunque possa rientrare nella fondamentale categoria ciceroniana dei boni. Quella del bonus è, come dice G. B. Conte, "una categoria che attraversa verticalmente gli strati sociali esistenti, senza identificarsi con alcuno di essi in particolare". Boni sono dunque gli uomini virtuosi, ai quali Cicerone già dai tempi dell'orazione Pro Sestio, lancia un forte invito ad occuparsi della cosa pubblica, ad entrare nell'agone politico. "Concedetur profecto verum esse, ut bonos boni diligant", ha detto Cicerone poco sopra nel Laelius. E' a questi virtuosi dunque che indica la via dell'amicizia perfetta, quella che mescola virtus e probitas, fides e constantia.
Le amicizie comuni e mediocri si allontanano di molto dall'amicizia ideale, la quale invece, pur non escludendo ricadute pratiche e vantaggi reciproci tra gli amici, è anzitutto e soprattutto profonda intesa e sintonia,sentimento e affetto disinteressato alimentato dalla frequentazione e dalla comunanza di vita , di carattere, di valori.
Il Laelius de amicitia si conclude con parole di esortazione agli interlocutori de dialogo e naturalmente anche ai lettori, affinchè considerino che virtù e amicizia sono indissolubili, e che anzi non si dà amicizia al di fuori della virtù.
L'amicizia propagandata da Laelius non è solo un'amicizia politica:si avverte anche un disperato bisogno di rapporti sinceri.

SPUNTI DI RIFLESSIONE

Che cos'è l'amicizia per voi?